Scendo dall’auto e vedo un uomo robusto, con dei grossi e spioventi baffi bianchi che mi viene incontro sorridente, è Giuseppe. Mi fa entrare nel patio e facciamo subito amicizia, mi mostra il quaderno dove ha annotato tutte le numerose telefonate ricevute, poi mi fa vedere la Multipla. È di colore verde pisello, è stata riverniciata dopo essere andata in pensione ed è il vero modello Taxi da piazza di Milano del 1962.
Parliamo per ore e mi mostra tutti gli accessori che conserva gelosamente: la scritta Taxi, il tassametro Argo e tante altre cose, alla fine decide di vendermela. Devo promettergli, però, di accudirla con passione e di non rivenderla se non per necessità.
La settimana dopo la porto dal mio carrozziere che mi ripristina il colore originale nero e verde (il colore è un retaggio del Ventennio, il duce aveva disposto camicia nera e pantaloni verdi per i taxi) tra i due colori vengono verniciate due sottili strisce rosse e bianche lungo le fiancate; poi vado in Via Messina, sede storica dell’officina dei taxi, e faccio montare il tassametro.
Con Giuseppe siamo rimasti grandi amici, vado a trovarlo spesso per sentire i suoi preziosi consigli sulla macchina, mi fermo volentieri a cena da lui con la mia futura moglie, viene al mio matrimonio e gli chiedo se vuole guidare il Taxi per accompagnare la sposa in chiesa, ma non si fida, ha problemi di vista e ha smesso di fare il tassista, mi fa comunque l’onore di venire alla cerimonia.
Rimane una bell’amicizia tra noi per anni, è un uomo sincero e onesto, gioviale e simpatico, un personaggio di altri tempi. Un giorno mi telefona la moglie per un consulto, vado a visitarlo il giorno dopo, ma il suo diabete un po’ trascurato ormai ha già fatto dei danni, dopo qualche mese lo portano in una struttura di lungodegenza, l’ultima volta che vado a trovarlo non mi riconosce più.