23 August 2014

Audi RS2 Avant e ....Mercedes-Benz 500 E

Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 la Porsche era molto diversa dall’impresa efficiente e di successo che conosciamo oggi. Soprattutto a livello di prodotto, e quindi di impatto sui conti dell’azienda....

Mercedes

Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 la Porsche era molto diversa dall’impresa efficiente e di successo che conosciamo oggi. Soprattutto a livello di prodotto, e quindi di impatto sui conti dell’azienda, non era un bel momento. La 911 / 964, pur in un quadro globale di eccellenza sportiva e di prestazioni al vertice, risentiva della sempre più temibile concorrenza anche orientale e aveva manifestato qualche lacuna nell’affidabilità che ne aveva minato la credibilità presso il pubblico più competente. Il “peso” dei modelli a motore anteriore, con dati di vendita assai inferiori alle aspettative, si faceva sentire con sempre maggiore intensità sui bilanci della Casa e le ultime “carte” giocate su questo tavolo, 968 e 928 GT / GTS, non erano in grado di invertire la tendenza consolidata presso la clientela, attratta dalle “vere” Porsche con il motore dietro.

 

Nello stesso momento, in condizioni industriali e finanziarie completamente differenti, c’erano due Case tedesche (e due Marchi) con esigenze opposte. Audi era nel pieno di un progresso pianificato meticolosamente e realizzato con teutonica efficacia, che l’avrebbe portata da un’immagine di auto quasi da socialismo reale, alla condizione odierna di marca premium. Per conferma, affiancareabbasuna foto di un qualunque modello anni Settanta a uno del Duemila. Mercedes era alla ricerca della sportività progressivamente svanita nei suoi prodotti dagli anni ’60 in poi. Le “frecce d’argento” erano un ricordo sbiadito di fronte alle opulente e ovattate berline 200 - 300 e S, apprezzatissime per comodità ed efficienza meccanica ma lontane anni luce da un qualsiasi barlume di sportività. Last but not least, l’AMG era ancora un preparatore esterno, apprezzato e supportato dalla Casa, non ancora organico; quindi, non spendibile come marchio in una nicchia di mercato sempre più selettiva ed esigente e sempre meno nicchia, di sportive “cattive” in abito da berlina. Mercato saldamente presidiato dai rivali della Bmw con la M5, presentata nel 1984 (e prima c’era stata la M 535i), ma che vedeva addirittura concorrenti oggi del tutto scomparse come la Lancia, con la Thema 8.32 del 1986, o la Opel Omega Lotus del 1989. Un quadro di questo tipo era quindi favorevole allo sfruttamento della capacità produttiva in eccesso disponibile a Zuffenhausen per ricavare versioni sportive garantite dalla competenza Porsche.

 

Con una sfumatura significativa: la 500 E del 1990 (model year 1991) era una Mercedes a tutti gli effetti, studiata dalla Casa della stella e assemblata dalla Porsche con un limitato intervento tecnico, in un rapporto quindi quasi di subfornitura. La RS2 del 1994 derivava invece dalla contemporanea Audi 80, rivista dai tecnici Audi in collaborazione con la Porsche che aveva previsto profondi interventi meccanici e modifiche estetiche che rimandavano alle coupé di Stoccarda, tanto da essere marchiata, anche esternamente, come Audi-Porsche. Le due Case avevano allo scopo costituito addirittura una società ad hoc, denominata Audi Porsche ARGE (acronimo tedesco che sta per Arbeitsgemeinshaft, ovvero consorzio o jointventure), la cui indicazione appare anche sui documenti della vettura e sul libretto di uso e manutenzione. I due modelli si proponevano peraltro a mercati molto differenti:Mercedes puntava alle berline vitaminizzate; la RS2 esplorava invece un settore finora quasi vergine, quello delle giardinette, come qualcuno ancora le chiamava, supersportive; ed estremizzando così il concetto proposto da Volvo con le 240 Turbo all’inizio degli anni ‘80 e abbozzato anche dall’Alfa Romeo con i prototipi delle 75 Turbo Sportwagon, ma dove, a parte qualche originale e snobistica “shooting brake” inglese degli anni sessanta, nessuno aveva mai osato posizionarsi con una proposta concreta e adeguatamente sviluppata.

 

 Al primo sguardo non era molto dissimile dalle tranquille 250 D che solcavano le autostrade europee e italiane già dai primi anni ‘80. Soltanto a uno sguardo superficiale, però, perché l’assetto abbasunasato, i cerchi allargati e lo sguardo incattivito dai piccoli fendinebbia permettevano immediatamente di distinguere la 500 E dalle altre W124. E questo da ferma. In movimento, poi, la musica cambiava ancora. Si poteva guidare con un filo di gas, fidando sulla robusta coppia del V8 abbinato all’automatico a quattro marce, godendo del comfort ai massimi livelli delle berline Mercedes dell’epoca. Oppure si poteva anche schiacciare sull’acceleratore, cambiando radicalmente musica. La 500 E era stata concepita per superare in prestazioni il riferimento tra le berline sportive dell’epoca, la Bmw M5. E, pur con un telaio concepito per tutt’altra destinazione, l’unione con il V8 da oltre 300 Cv produceva i suoi effetti. Con un’accelerazione bruciante, una ripresa ancor più impressionante in grado di lasciare al semaforo ben più di una pur blasonata sportiva. Il segreto stava nel trapianto di un motore di 5 litri in un’auto dimensionata per potenze di circa la metà. Un motore normale per una Classe S. E in grado così di assicurare prestazioni d’eccezione insieme all’affidabilità che ogni cliente Mercedes esige da una vettura con la Stella. Affidabilità e fruibilità erano e sono i principali pregi di questo modello, che fa da berlina quotidiana e da mostro pistaiolo.

 

A livello di progetto la Mercedes aveva fatto le cose in gran parte in autonomia, sfruttando il motore OM 119 della 500 SL con alcune importanti modifiche: il basamento era stato unificato con quello del più piccolo 4,2 litri in modo da ottenere un gruppo meno sviluppato in altezza con evidenti benefici sul baricentro e l’iniezione era una Bosch LH-Jetronic a controllo elettronico con sensore di massa dell’aria. Cambio automatico a quattro marce, con possibilità di scelta del programma di cambiata tra Sport ed Economy e rapporto al ponte accorciato per compensare in accelerazione l’aumento del peso rispetto alle equivalenti roadster, anche a scapito di un inevitabile aumento dei consumi. L’assetto specifico prevedeva un abbassamento del corpo vettura di 23 mm, con sospensioni autolivellanti posteriori a controllo idropneumatico di serie mentre l’impianto frenante prevedeva dischi autoventilanti da 320 mm davanti e 278 mm dietro, maggiorati a 300 mm dal febbraio 1993. Una serie di affinamenti che, uniti a particolari di carrozzeria specifici, come parafanghi allargati e paraurti dedicati, e ad un interno rivisto in chiave sportiva e dotato di quasi tutti gli optional all’epoca disponibili, facevano crescere il prezzo a livelli stratosferici: oltre il doppio rispetto a quello della pur non economica 300 E. Il tutto per una vettura che poteva essere allestita in modo molto discreto, grazie alla gamma colori molto simile a quella delle versioni standard.

 La Porsche aveva collaborato fin dall’inizio all’avventura 500 E, mettendo a disposizione le sue competenze specifiche. Competenze che sarebbero state poi sfruttate anche per l’assemblaggio. Così le carrozzerie verniciate lasciavano le linee Mercedes di Sindelfingen per percorrere i circa 30 km che le separavano da Zuffenhausen. Qui ricevevano la meccanica e gli arredi ed erano deliberate per la consegna ai clienti finali. Ci volevano 18 giorni per completare il processo, a garanzia di una vettura che, sotto l’aspetto di una berlina di grande serie, celava la cura solitamente dedicata a una supercar. La prima serie della 500 E andò avanti per alcuni anni: presentazione a ottobre 1990, avvio della produzione a febbraio del 1991 e termine a luglio del 1993, con una lieve modifica intervenuta a ottobre del 1992, quando la potenza era diminuita di circa 14 CV per limitare le emissioni inquinanti. A luglio 1993 intervennero, sulla carrozzeria, le modifiche introdotte sulla contemporanea serie W 124, e fu modificato anche il nome in E 500 (la lettera E ora indicava la serie di modelli e non più l’alimentazione a iniezione). Poche modifiche, concentrate principalmente nella fanaleria e nel cofano anteriore, con il radiatore incluso all’interno e non più in rilievo, e la coda appena rivista.

 

La produzione cessò nel 1995, non prima che le ultime E 500, in unulteriore viaggio tra le eccellenze del Made in Germany, raggiungessero Affalterbach, altri 30 km di distanza, per diventare E 60 AMG, con il propulsore V8 incrementato di cilindrata fino al limite dei sei litri, una potenza di oltre 380 CV e un assetto specifico, su cui era possibile montare cerchi da 17” con pneumatici 245/45. Secondo i dati ufficiali Mercedes furono costruiti 10.479 esemplari di tra prima serie, seconda ed E 60. In realtà la E500, con il suffisso AMG e costruita tutta in Mercedes, divenne parte integrante della nuova gamma della successiva Serie E W 210: sicuramente più confortevole e moderna, probabilmente più veloce, brillante e meno assetata. Senz’altro però anche più fredda e meno selvaggia rispetto alla progenitrice. Se la Mercedes doveva recuperare un’immagine sportiva perduta, l’Audi doveva ancora costruirla.

 

 

Audi

La scalata verso l’Olimpo delle vetture top di gamma, o premium come si usa dire oggi, era appena cominciato e notevoli risultati sportivi erano già stati ottenuti con la straordinaria quattro, che aveva portato nei rally (e nelle piste d’America) una rivoluzione pari forse a quella della Lancia Strato’s all’inizio degli anni ‘70. Si trattava adesso di collegare l’immagine vincente nei rally con le vetture di normale produzione. La RS2 si può considerare il primo passo di questa strategia. E, come talvolta accade nei corsi della storia, la sua nascita fu quasi casuale all’interno di un programma così rigidamente teutonico come era quello della sfida a Bmw e Mercedes. Le esigenze che si incontrarono erano tre: il desiderio di Audi di proporre qualcosa di molto sportivo ma non esclusivo come la quattro stradale, la disponibilità di un telaio ampiamente collaudato e di un certo successo come quello dell’ultima serie dell’Audi 80, codice interno B4, e la necessità per Porsche di trovare commesse esterne per riempire le linee di produzione al momento afflitte da una preoccupante scarsità di ordini. Così, quando fu prospettato loro di occuparsi del progetto RS2, a Zuffenhausen la proposta venne accolta con grande entusiasmo: il coinvolgimento Porsche sulla RS2 fu in effetti ben più significativo rispetto alla Mercedes, sia per la minore dimestichezza dei tecnici Audi con le elevate prestazioni, sia per la maggiore complessità del progetto.

 

Ampiamente supportato comunque dalla Porsche, che firmò anche esternamente il modello che, accanto al nome Audi e alla sigla RS2, riporta nei loghi identificativi anche quello della Casa di Zuffenhausen. In effetti le elaborazioni sulla RS2 erano piuttosto consistenti. Partendo dal motore 2,2 litri cinque cilindri in linea sovralimentato con quattro valvole per cilindro già presente sulle S2 coupé e Avant, i tecnici Porsche avevano studiato una sovralimentazione più efficace, con turbina di maggiori dimensioni e pressione aumentata, rivedendo anche l’intercooler, di maggiore superficie, e il profilo degli alberi a camme per modificare l’alzata delle valvole di scarico. Modificato anche il profilo del collettore di scarico, e rivista completamente la logica di funzionamento della centralina elettronica. Modifiche minori interessarono il filtro dell’aria, gli iniettori di maggior portata, il regolatore di pressione della pompa della benzina identico a quello montato sulla coeva 911, l’impianto di scarico e il radiatore, entrambi maggiorati rispetto alla vettura di partenza. Modificato anche l’assetto, con ammortizzatori differenti e molle leggermente più corte e rigide. Il cambio era simile al manuale a sei marce della 968, qui adattato alla trazione integralementre l’impianto frenante Brembo derivava da quelli montati all’epoca da Porsche, come testimoniato dal logo impresso sulle pinze. Le pinze erano fisse a 4 pistoncini con disco autoventilante da 304 mm (299 mm dietro) come sulla Porsche 968 ClubSport.

 

Nella produzione fu proposto anche un impianto maggiorato, con dischi autoventilanti anteriori da 322 mm mutuati dalla 911 / 993 turbo, mentre dietro restavano quelli da 299 mm ma forati e con pastiglie specifiche più efficienti. Si guadagnava in efficienza frenante, tanto che in alcuni Paesi europei l’aggiornamento era effettuato in garanzia, ma si perdeva la possibilità di montare gomme invernalisul cerchio da 16” tipo 911 / 964. In questo caso è quindi necessario procedere all’omologazione dal cerchio da 17” che possa ospitare gomme da 205/50-17, omologazione concessa anche da Audi Italia senza particolari problemi. Differenziale centrale L’esterno era stato adeguatamente “porschizzato”: paraurti specifici con anteriore dotato di fanaleria che richiamava la 911 / 993, cerchi e specchi esterni Cup di disegno analogo a quelli della coupé Porsche, fascia posteriore catarifrangente che congiungeva i due gruppi ottici a sviluppo orizzontale. Anche l’interno, con fondi della strumentazione bianchi e sedili anteriori Recaro, non lasciava dubbi sulle effettive potenzialità del mezzo. Il tutto per una vettura ultrapotente (316 CV, quasi come la contemporanea 911 3.6 turbo, chene aveva 360) ma in grado di scaricarla con estrema efficacia.

 

La trazione integrale permanente, con differenziale centrale in grado di variare la ripartizione della coppia dal 75% anteriore - 25% posteriore fino a valori speculari in funzione della caratteristiche del fondo stradale, disponeva anche di blocco del differenziale posteriore fino a 25 km/h, e permetteva accelerazioni brucianti e tenuta laterale ai massimi livelli, anche con gli occhi di oggi che 300 CV sono dotazione comune; e il consumo non era esagerato. Il processo produttivo era simile a quello della 500 E: le scocche verniciate, complete di cambio e trasmissione, plancia e sedili posteriori, erano spedite a Zuffenhausen insieme al motore, costruito con specifiche Porsche sulle linee Audi di Salzgitter già usate per i motori cinque cilindri della Audi S2. Il tutto era trasportato alla Porsche per il montaggio dei pezzi, come freni, paraurti e specchi esterni, di origine Stoccarda ed effettuato l’assemblaggio finale. Strumenti e sedili erano anch’essi forniti e montati da Porsche. Le stime iniziali di produzione parlavano di 2.200 esemplari, in ossequio alla cilindrata del modello. In realtà, nel breve periodo che va da inizio 1994 al 1995, ne furono costruite 2.891 in tutto. E, con la sua uscita di produzione, venne meno anche il glorioso cinque cilindri 2,2 litri Audi protagonista, sulle piste da rally di tutto il mondo, di una delle più affascinanti storie della specialità.

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