04 December 2015

BMW Z1

Con le sue due porte portiere scorrevoli verticali stabilì un autentico salto quantico. Ma anche i materiali impiegati e la tecnica costruttiva ....

La genesi

Fu un autentico salto quantico: quando, nell’autunno 1988, BMW annunciò la Z1 alla stampa internazionale nella città italiana di Punta Ala, il suo diretto antesignano era parcheggiato nel cortile sul retro dell’albergo; si trattava di una BMW 507 risalente alla fine degli anni Cinquanta – l’ultima sportiva biposto a essere inserita nella gamma BMW. In effetti, il salto nel tempo che portò alla Z1 era di gran lunga superiore ai circa 30 anni intercorsi. Le soluzioni avveniristiche adottate guardavano al futuro – in verità, alcune delle idee più rivoluzionarie sono straordinarie oggi come allora.

Il tutto ebbe inizio con un’idea molto ardita. Al Consiglio di Amministrazione di BMW venne in mente di allestire in una filiale ultramoderna una specie di think tank, completamente isolato da tutti gli altri uffici di sviluppo. L’idea era di dare libero sfogo a ingegneri, tecnici e designer BMW altamente qualificati, affinché potessero trasformare in realtà le loro idee creative migliori.

L’idea fu realizzata agli inizi del 1985. A meno di cinque minuti di macchina dalla sede centrale del Gruppo, nacque una società high-tech totalmente dedicata che sarebbe diventata un benchmark in tutto il mondo: BMW Technik GmbH, nota a livello internazionale semplicemente come “ZT”. Dopo soli sei mesi, il team di 60 persone produsse esattamente i risultati auspicati: concept concreti, studiati per dare nuovo impulso alla produzione automobilistica, nell’ambito di un progetto pilota per l’impiego di nuovi materiali, l’utilizzo di diversi tipi di strutture e la riduzione dei tempi di sviluppo. Non ci volle molto per coniare un nome per tutto questo: Z1.



La genesi...
Il progetto veramente si vendette da sé. All’inizio, nessuno si era sognato di mettere in produzione una concept car spacciandola per un’elegante roadster – ma era troppo pregevole e il pensiero di una nuova sportiva BMW era troppo accattivante. Il Consiglio di amministrazione di BMW diede il via libera e, quasi dodici mesi più tardi, non solo c’era un modello di styling da ammirare, ma era pronto anche il primo prototipo in grado di viaggiare su strada. Il primo agosto 1986, BMW annunciò pubblicamente: “BMW Technik AG ha messo a punto il suo primo prodotto. La BMW Z1, uno studio, è stata concepita sulla base di specifiche fondate sulla lunga tradizione BMW, ma tenendo al contempo presenti le esigenze di mobilità future”.

Un’occhiata fu sufficiente per sapere esattamente su cosa si sarebbe basata la sportiva biposto dalle proporzioni compatte : si facevano sempre più pressanti le richieste dei clienti di una roadster che continuasse l’eredità delle leggendarie sportive BMW del passato. La 328 e la 507 erano entrate nei libri di storia come icone di sportività e stile, e per decenni non c’era stato nulla che potesse prenderne il posto. Era ormai ora di colmare questo vuoto con qualcosa di veramente moderno. Il comunicato stampa affermava: “BMW Technik è stata incaricata dal Consiglio di Amministrazione di BMW AG di studiare e realizzare un concept di automobile che soddisfi ampiamente il desiderio di “libertà sulle quattro ruote, piacere di guida e prestazioni”.  “Giovane”, “dinamica” e “aggressiva” dovevano essere le parole che meglio descrivevano la Z1, insieme a “una nuova dimensione di guida”. Gli attributi caratteristici della roadster BMW furono fusi con la tecnologia più innovativa. Tra gli ingredienti vi erano le prestazioni superiori, la possibilità di guidare con la capote abbassata, un senso di pura originalità e un tocco di stravaganza. La Z1 aveva tutte le credenziali giuste: peso contenuto e baricentro ribassato, motore centrale anteriore e dimensioni compatte. Ma il clou era indubbiamente la tecnologia pionieristica che si rifletteva nel peculiare concept della portiera scorrevole in verticale e della struttura di supporto in lamierino metallico con rivestimento esterno in materiale plastico.
 

Un approccio del tutto diverso ...

La risposta fu travolgente – l’azienda fu inondata di richieste dei clienti, mentre l’opinione pubblica si domandava se mai BMW avesse avuto davvero il coraggio di costruire l’automobile. BMW taceva, ma, dietro le porte “blindate” lo sviluppo per una produzione di serie procedeva alacremente. Era evidente che, per le insolite caratteristiche del design e dei materiali usati, la Z1 sarebbe stata costruita in gran parte a mano. E altrettanto evidente era che questo avrebbe significato una produzione limitata e un prezzo al pubblico elevato. Ciononostante, il Consiglio di Amministrazione di BMW decise di andare avanti con il lancio.

Quasi esattamente due anni dopo aver finalizzato lo studio della Z1 e un anno dopo l'annuncio del concept, il 10 agosto 1987 BMW mise in tavola le sue carte con il seguente annuncio: “Il tempo delle speculazioni è finito, l’enigma è svelato: BMW AG presenterà la Z1 Roadster al Salone di Francoforte”. L’accelerazione del processo di sviluppo era stato un compito pilota per questo progetto e, dopo uno sviluppo di soli tre anni, un numero limitato di quest’auto sportiva con motore centrale da 170 CV, applicato nella porzione anteriore, sarebbe entrato in produzione su piccola scala a partire dal giugno 1988. “Quando la produzione su ordinazione marcerà a pieno ritmo, ogni giorno, sei appassionati potranno iniziare a godere di un piacere di guida puro e non limitarsi a sognarlo.”

L’inchiostro dell’annuncio non si era ancora asciugato, che a Monaco arrivarono i primi pre-ordini. Il Salone dell’Auto di Francoforte non era nemmeno iniziato, quando una rivista di automobilismo scrisse: “L’ondata di euforia dà motivo di sospettare che l’ultima persona che inoltrerà un ordine immediato non metterà le mani sulla Z1 prima del 2000!”


BMW e lo storico Salone dell’Auto di Francoforte del 1987
Quando finalmente il Salone aprì i battenti, l’11 settembre, i visitatori accorsero a frotte allo stand BMW per vedere una straordinaria collezione di numeri primi, tutti destinati a entrare nella storia dell’automobilismo. Furono presentate in anteprima mondiale la 750i motorizzata con il primo 12 cilindri prodotto in Germania dal dopoguerra, la prima Serie 3 Touring di tutti i tempi, che aprì la strada a una nuova tipologia di auto, e, ovviamente, l’avanguardistica Z1, la prima roadster BMW da circa trent'anni. La roadster era esposta con grande risalto, su uno sfondo costituito da una parete di acqua, per un effetto strabiliante; una rivista di attualità tedesca ritenne che fosse “l’automobile probabilmente più fotografata di tutto il Salone”.

Con così tanti clienti disperatamente impazienti di essere tra i primi a ordinare una Z1, una rivista di automobilismo tedesca decise di tentare la fortuna acquistando direttamente la Reed Green esposta nello stand. Nonostante i 150.000 DM offerti in contanti, il team BMW fu irremovibile: proprio non era possibile, perché quella Z1 era una delle dieci automobili di prova, e tutte erano strettamente necessarie. Inoltre, la Z1 doveva ancora effettuare le prove di omologazione, per cui in nessun caso sarebbe stato possibile vendere la roadster – neanche a fronte dei due milioni di marchi tedeschi, pari al costo effettivo del prototipo!

Così iniziò il temporeggiamento – che durò oltre un anno, perché si giunse all'autunno 1988 prima che la Z1 entrasse in produzione. Il prezzo previsto era di 80.000 marchi tedeschi. Nel frattempo, la clientela potenziale poteva consolarsi con il primo dépliant commerciale dal titolo “Per pura passione di guida: la BMW Z1 High-Tech Roadster”.

Ottobre 1988: la Z1 – un approccio del tutto diverso
La Z1 era veramente diversa in tutto e per tutto. Una monoscocca autoportante composta da singole parti in lamierino di acciaio costituiva l’ossatura dell’automobile. Dopo essere stato saldato, l’intero telaio era stato galvanizzato per immersione a caldo, non solo per garantire alla monoscocca una protezione continua contro la corrosione, ma anche per renderla più rigida: il rivestimento di zinco fungeva da elemento di congiunzione e supporto, soprattutto intorno alle linee di giunzione dei pannelli e sulle sovrapposizioni di giunti. Il risultato fu una maggiorazione di circa il 25% della resistenza alla torsione della monoscocca.

La seconda peculiarità della scocca della Z1 era il pianale incollato e in parte avvitato al telaio – e realizzato in plastica. In collaborazione con gli specialisti di MBB – adesso fusa in EADS – gli ingegneri di Z1 avevano sviluppato un materiale che combinava il peso ridotto con un’elevata capacità di carico, era immune alla corrosione, sicuro nelle collisioni e produceva contorni regolari della sottoscocca. La soluzione era una combinazione di materiali in fibra composita uniti “a sandwich”. La struttura risultante di due strati di resina epossidica rinforzata con fibra di vetro inframmezzati di schiuma poliuretanica, formava un pianale di soli 15 chilogrammi.

In più, questa struttura aveva il valore aggiunto di poter preassemblare l’unità pianale separatamente, prima di incollarla al telaio e, in alcuni punti, avvitarla alla struttura in acciaio. Speciali rinforzi di irrigidimento, integrati nella struttura a sandwich, consentivano di applicare forze elevate in prossimità, per esempio, dei punti di montaggio del telaio e dei sedili. In sostanza, questo pianale aumentava la resistenza alla torsione statica della monoscocca di un ulteriore dieci per cento.

Con l’ausilio ulteriore dei longheroni laterali alti e sovradimensionati e dell’incastellatura del motore, questa struttura si caratterizzava per la resistenza e la sicurezza straordinarie in caso di incidente. Un tubo trasversale nella zona del cruscotto veniva combinato con il tubo utilizzato per rinforzare il telaio del parabrezza, così da assicurare una protezione altamente efficace anche in caso di collisione laterale. E poiché il tubo inserito nel telaio del parabrezza collegava direttamente i due montanti A, esso garantiva anche una protezione contro il ribaltamento.
 

Le portiere..

La monoscocca fu avvolta nella plastica, benché fosse pronta ad andare su strada così com’era: la Z1 fu il primo modello a presentare un esterno in plastica le cui parti verticali erano tutte realizzate in termoplastica stampata a iniezione. Resistenti e immuni ai danni, i pannelli erano collegati a vite. In teoria, con un secondo set completo di pannelli esterni era possibile passare da una Z1 rossa a una blu nello spazio di un’ora, adoperando nient’altro che un cacciavite.

Diversi tipi di plastica furono utilizzati per le diverse parti della pannellatura, secondo la funzione cui erano destinate. Le pareti laterali anteriore e posteriore, le portiere e le coperture dei longheroni laterali erano in termoplastica high-tech, nota per essere altamente resistente agli impatti, che ovviava quasi del tutto al rischio che colpi di lieve entità generassero protuberanze e ammaccature. La pannellatura per i paraurti anteriore e posteriore possedeva invece proprietà molto diverse – la plastica estremamente elastica utilizzata tornava interamente nella sua forma originaria dopo aver subìto impatti a 4 km/h (2,5 miglia orarie).

Il cofano e lo sportello del bagagliaio così come il coperchio del vano capote erano realizzati in speciali fibre composite. Durante la produzione di questi componenti plastici, diverse fibre di vetro (secondo i requisiti del componente), sezioni dell'anima in schiuma e i necessari elementi di fissaggio, quali perni e sostegni di collegamento, venivano posizionati nello stampo allo stato asciutto. Dopo aver chiuso lo stampo, la resina epossidica veniva iniettata e compressa in sequenze termiche accuratamente controllate. I componenti così realizzati combinavano l’eccellente qualità di superficie e l’elevata resistenza con un assorbimento di energia precisamente definito in caso di incidente. Nonostante questi vantaggi, gli ingegneri BMW ammisero: “sembrerebbe impossibile che nel futuro prevedibile venga usata una maggiore quantità di plastica per realizzare l’esterno di automobili di produzione di massa”.

Speciale sistema di verniciatura con tre diversi gradi di durezza 
Le quattro finiture di vernice previste per la Z1 non erano semplici colori dai nomi altamente evocativi di Green metallic, Dream Black metallic, Fun Yellow e Top Red; esse presentavano anche una diversa composizione chimica. Il lavoro di sviluppo, svolto in collaborazione con i fornitori, aveva portato alla creazione del sistema di verniciatura Varioflex, che soddisfava ogni esigenza di verniciatura di materiali plastici diversi.

All’epoca, le convenzionali tecniche di verniciatura per il metallo non imponevano alla vernice speciali requisiti di flessibilità, in quanto era relativamente semplice ottenere un’elevata lucidatura della superficie e mantenere il colore uniforme. D’altro canto, le diverse esigenze in relazione ai componenti specifici e ai diversi materiali plastici utilizzati sulla BMW Z1, richiedevano un sistema di verniciatura che offrisse tre diversi livelli di flessibilità: flessibilità elevata per paraurti e pannellatura dei longheroni laterali, flessibilità media per portiere e deflettori e un rivestimento di vernice duro – come su un corpo metallico – per cofano, sportello del bagagliaio e copertura del vano capote. Mentre tutti i componenti erano sottoposti alla stessa verniciatura di base, che dava il colore vero dell'automobile, le parti venivano trattate con vernici trasparenti diverse, secondo il grado di elasticità richiesto.

Le portiere scorrevoli verticali
Vista dall’esterno, la Z1 aveva l’aspetto di una roadster sofisticata ma sostanzialmente convenzionale – se non fosse stato per le porte. Si ritraevano elettricamente nei longheroni laterali, consentendo sia al conducente sia al passeggero di viaggiare con la portiera aperta – una caratteristica mai uguagliata. Inoltre, questo modo di viaggiare particolarmente dinamico era anche perfettamente sicuro e legale, grazie alla protezione laterale garantita dai longheroni alti.

Il meccanismo delle portiere e dei finestrini laterali era comandato da due motorini elettrici e da una cinghia dentata. I motori integravano una funzione freewheel per consentire, eventualmente, di azionare a mano porte e finestrini. Per evitare di caricare la porta con ulteriore peso, tutti i componenti elettrici e meccanici erano integrati nella scocca dell’automobile. Un doppio dispositivo di blocco meccanico che agiva sulle portiere in posizione aperta o chiusa impediva il tintinnìo e l’eccessivo movimento delle portiere durante la marcia. Ovviamente era possibile abbassare i finestrini laterali indipendentemente dalle portiere: dopo aver aperto e richiuso le portiere, i finestrini tornavano automaticamente nella posizione precedente.

Priva di alettoni e spoiler: un modello di design aerodinamico...
L’aspetto della Z1 mascherava il suo talento da vera sportiva. Originariamente concepita come un laboratorio di test automobilistici, l’aerodinamica straordinaria era stata la principale priorità per lo sviluppo. L’intento era di centrare l’obiettivo senza ricorrere ai consueti supporti aerodinamici, quali spoiler e alettoni; piuttosto, era la forma di base della vettura stessa, incluso la sottoscocca, a dover fornire i risultati desiderati.

L'estremità frontale molto appiattita della Z1, i raccordi dolci su cofano e parabrezza, con un’angolatura di 62°, fornivano tutti gli ingredienti giusti per consentire il deflusso ottimale dell’aria lungo la parte superiore dell’automobile. La sottoscocca perfettamente liscia dava luogo a una superficie senza soluzione di continuità, che si protendeva dall’estremità frontale all’assale posteriore. La parte al di sotto della vettura andava leggermente rialzandosi verso il retro, con una forma a diffusore, così da dirigere il flusso dell'aria sulla marmitta posteriore trasversale, conformata ad ala per ridurre notevolmente il sollevamento dell’assale posteriore.

L’aspetto dell’automobile attestava che si trattava di qualcosa di veramente speciale. Dopo tutto, uno degli highlight dell’innovativo concept della Z1 era la peculiare rivisitazione del concept della roadster. La forma allungata delle roadster classiche veniva abbandonata a favore di sbalzi corti e una lunghezza complessiva compatta rispetto all'interasse. I giunti lungo i pannelli laterali erano del tutto diversi dal design convenzionale dell’epoca. Il nuovo concept delle portiere generava un longherone laterale ampio e senza giunture con un’altezza di entrata elevata, mentre il bordo superiore dei paraurti e dei longheroni laterali formava una linea continua. La Z1 era rastremata intorno alle portiere, cosa che conferiva ai deflettori un aspetto ampio e svasato che rimandava alla M3. Anche la mascherina del radiatore a forma di rene di BMW era stata rinnovata ed era interamente integrata nel profilo del paraurti anteriore, facendolo apparire più piccolo e compatto.

Gli interni della nuova roadster BMW erano molto funzionali ma, soprattutto, molto esclusivi: i sedili e i pannelli delle portiere erano guarniti con nuovi materiali di lusso e pelle pregiata. La posizione di seduta ribassata, il tunnel di trasmissione voluminoso e i longheroni ampi richiedevano un nuovo concept tecnico per i sedili della Z1, per cui la roadster fu dotata di sedili a pozzetto interamente in schiuma, che garantivano gli elevati livelli di sostegno laterale necessari per mettere alla prova la straordinaria tenuta in curva di questa sportiva. I gusci posteriori in plastica verniciata nello stesso colore della carrozzeria avvolgevano lo schienale con poggiatesta integrato. Il sedile del guidatore era regolabile in altezza e il sedile del passeggero poteva essere reclinato in avanti per meglio sfruttare il sistema per la gestione dei carichi lunghi.
 

Motore...

Gli organi di trasmissione e il telaio della Z1 erano derivati dalla Serie 3. Al lavoro, sotto il cofano, c’era il classico motore BMW con 6 cilindri in linea, montato in posizione centrale anteriore, con una cilindrata di 2,5 litri che chiamava a raccolta 170 CV. Un tubo centrale in alluminio correva dalla scatola del cambio manuale a cinque velocità al differenziale posteriore, per realizzare un collegamento rigido alla torsione e alla flessione. L’assale anteriore a snodo singolo, derivato dalla Serie 3, si occupava delle ruote anteriori, mentre sulla parte posteriore era impiegata una struttura nuova di zecca: un assale multi-link con due bracci di controllo trasversali e uno longitudinale. In Germania fu chiamato “asse Z”, che era l’abbreviazione di “assale sferico a doppi bracci oscillanti comandato a livello centrale” piuttosto che un riferimento al nome del nuovo modello. La cinematica dei tre bracci di controllo assicurava un’eccellente stabilità direzionale e un efficace controllo anti-squat e anti-dive. Questa configurazione dotava la Z1 di caratteristiche di maneggevolezza simili a quelle di un go-kart, con il carico assiale in rapporto di 49:51 e il baricentro ribassato di dieci centimetri rispetto alla versione berlina equiparabile.

La Z1 era perfettamente a proprio agio quando si snodava lungo le tortuose strade di campagna  intorno a Punta Ala, riscuotendo consensi unanimi. Si riteneva che offrisse un “piacere di guidare supremo” ed era ossequiata come “l’automobile del perfetto guidatore”. Come osservarono non senza sorpresa i collaudatori internazionali in occasione della presentazione, neanche le strade più dissestate riuscivano a impensierire il telaio o a provocare torsioni evidenti. La Z1 raggiungeva  una velocità massima di 225 km/h (140 miglia orarie) e poteva passare da 0 a 100 km/h (62 miglia orarie) in soli otto secondi. “Per il guidatore della Z1, non sono le semplici prestazioni a rendere tanto interessante quest’auto compatta," riferì un famoso collaudatore “piuttosto, è il modo in cui viaggia il più irrazionale di tutti i modelli BMW. Agile come un go-kart, con una risposta istantanea dell’acceleratore, affronta le curve come se fosse sui binari – si adatta al guidatore come un guanto, procurandogli tanto divertimento nella guida! La sensazione generata dall’esperienza di guida pura viene amplificata dal fatto che praticamente si sta seduti all’aria aperta – è come una motocicletta su quattro ruote”. Il prezzo della Z1 era ormai salito a 83.000 DM ma non fu mai un deterrente.  Circa 4.000 ordini erano già pervenuti, il che significava che la Z1 era esaurita fino alla fine del 1990.  Quando i primi modelli uscirono dalla linea di montaggio, agli inizi del 1989, le commesse pronte per la consegna erano già state pubblicizzate nei quotidiani con un sovrapprezzo di 20.000 DM.

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