Citroën Dyane, per sempre giovane

Anticonformista per natura e sostenuta da un'eccezionale campagna di comunicazione, l’utilitaria francese ebbe
in Italia un gran successo. Piaceva ai giovani, e all’utenza matura, per gli stessi motivi: praticità, economia e facilità di uso
1/11 Archivio Citroen Communication
La chiamavano “auto in jeans”, nella campagna pubblicitaria geniale di Titti Fabiani della B-Communications. Per dire che era una macchina giovane, spensierata, pratica e utile, come i pantaloni del tessuto blu che, volendo, si possono anche non stirare. Erano gli anni della moda casual, di cui i jeans erano il simbolo: pantaloni da lavoro che le nuove usanze permettevano di usare anche per uscire a cena e per occasioni formali. Erano gli anni, anche, degli indiani metropolitani: la Dyane ormai c’era già da due lustri, quando venne il 1977 con le ragazze con i vestiti a fiori e i ragazzi che scimmiottavano i pellerossa, nel tentativo di esorcizzare la violenza politica che sempre più caratterizzava le manifestazioni che dovevano essere pacifiche. Un mondo di gioventù che predicava la pace, contrapposto alle associazioni extraparlamentari, e poi terroristiche, giovani eredi dei figli dei fiori sconfitti dalla droga e poi dalla disillusione. Per molti di loro la Dyane, e ancora di più la 2CV, erano auto perfette: economiche, comode, facili, divertenti. Non macchine da vecchi, insomma, però la sua praticità non passava inosservata, anche se ci voleva un po’ di coraggio a usarle se la carta d’identità non era proprio freschissima.
“Hai la macchina dei capelloni?” si sentiva ripetere ogni tanto la nonna, quando qualche suo conoscente scopriva che andava in giro con la “duecavalli”. Avevi voglia di spiegare che era una Dyane: le consuetudini erano dure a morire. Così come i pregiudizi e gli stereotipi di chi pensava che fosse sconveniente per una signora quasi anziana farsi vedere in giro con un’auto da “giovinastri”. La nonna non se ne curava, tanto che di Dyane ne ebbe addirittura due, ed erano l’ideale per portare in giro i nipoti, andare a prenderli a scuola, portarli in campagna d’estate e, perché no, anche insegnargli un po’ a guidare. E poi quel cambio strano, né al pavimento né al volante, era proprio comodo. Ecco, magari non tanto mettere la prima, ma la seconda altroché, bastava spingere in avanti per infilarla come un coltello nel burro tiepido. Tanto il motorino bicilindrico era così elastico, e la macchina così leggera, che bastava procedere a 1 km/h per avere l’abbrivio sufficiente a tenere il rapporto. Anzi, si avviava in seconda anche partendo da fermo. E se poi la velocità era appena superiore, vai di terza, e poi la quarta anche a 40 km/h. Dopodiché, bastava avere pazienza e in qualche km si raggiungevano i 100 all’ora. Dopo, anche in autostrada non serviva più fare nulla: estate o inverno, con il raffreddamento ad aria si andava senza problemi, con 5mila lire c’era benzina per andare da Milano a Tortona e tornare due volte, e ci si dimenticava pure del meccanico. Tranne quella volta che la seconda rimase inserita per tutto il tragitto, perché il cambio si bloccò per scarsa manutenzione e la nonna era sì sbarazzina con la Dyane, ma tutto sommato preferiva evitare di fermarsi finché era possibile, meglio evitare di dover fermare qualcuno per chiedere aiuto e magari poi dover pure salire in auto con lo sconosciuto per farsi portare fino al meccanico più vicino e insomma per quei 70 km a 40 all’ora alla fine un’oretta e mezzo fu sufficiente, e meno male che il boxerino era robusto e reggeva bene al fuorigiri…
(L’articolo completo su Automobilismo d’epoca dicembre/gennaio in edicola)
© RIPRODUZIONE RISERVATA