Il nome prescelto per questo progetto comune è quello del figlio prediletto di Enzo Ferrari, che morì nel 1956 per la distrofia muscolare e aveva preso parte al progetto di un motore 6 cilindri, che fu poi montato, nelle sue varie evoluzioni, su molte auto da competizione della Ferrari, siglate per l’appunto con questo nome (Dino 156 F2, Dino 206 SP, Dino 246 F1 e Tasmania). La “Dino”, quindi, era figlia delle corse e dei nuovi regolamenti delle competizioni di F2, che imponevano l’adozione di motori prodotti in almeno 500 esemplari. Il motore della Dino stradale (ovviamente modificato rispetto a quello impiegato nelle corse), era il primo sei cilindri di serie prodotto a Maranello, e fu progettato per soddisfare queste nuove norme regolamentari.
Questo stesso motore, con le modifiche di cui si è parlato, fu poi impiegato anche sulle Dino Fiat, Coupè e spider, che furono assemblate, in un primo tempo, nella catena di montaggio della fabbrica di Maranello. La Dino portò anche a un cambiamento nelle sigle di riconoscimento delle vetture di Maranello: nel suo nome, infatti, i primi due numeri indicavano (tolti due decimali) la cilindrata, e l’ultimo il numero dei cilindri, mentre in precedenza il numero che identificava il modello era più semplicemente riferito alla cubatura unitaria di ogni cilindro. La Dino è stata inoltre la prima espressione di un profondo cambiamento a livello estetico e meccanico, essendo a tutti gli effetti la prima Ferrari stradale a montare un 6 cilindri posteriore trasversale.
Nuovo stile
Questa nuova impostazione meccanica, portò come conseguenza una profonda rivoluzione anche nello stile, che Pininfarina delineò con grande abilità. Le forme tonde e compatte di questo piccolo gioiello dello styling sono rimaste un canone estetico indelebile nella storia delle auto sportive. I parafanghi anteriori di questa berlinetta, sinuosi e bombati, hanno senza dubbio un fascino che ricorda i prototipi da competizione che la Ferrari portava in pista in quegli anni, così come la sua calandra profilata e sporgente, che delinea un frontale davvero aggressivo nella sua splendida eleganza.
La Dino, poi, fu la prima Ferrari prodotta in serie sulla quale comparivano le derive posteriori laterali, che collegavano armonicamente il lunotto verticale con l’ampio cofano posteriore orizzontale. Un accenno di questa geniale soluzione estetica era comparso su alcune auto da competizione prodotte in precedenza dalla Ferrari, quali la 250 LM, e in un caso sporadico anche sulla Ferrari 375 MM speciale di Pininfarina, costruita in esemplare unico per il regista Roberto Rossellini, meglio conosciuta come “la Ferrari di Ingrid Bergman”. Il primo prototipo che prefigurava le forme della Dino,era stato presentato al salone di Parigi del 1965, con il nome “Dino Berlinetta Speciale”, montava un motore 6 cilindri di 1600 cc, con basamento Ferrari e testa a due candele per cilindro, e aveva il muso molto rastremato, rivestito da un’ampia carenatura in plexiglass, che avvolgeva la fanaleria anteriore. Il secondo prototipo, che si avvicinava molto a quelle che sarebbero state effettivamente le linee definitive della Dino, fu esposto, invece, al Salone di Torino, nel 1966, denominato Dino Berlinetta GT. La produzione della Dino iniziò nel 1968, con la 206 GT: la vettura era dotata, come detto, di una carrozzeria in alluminio con linee molto arrotondate e filanti, che sembravano disegnate dal vento, e finivano in una coda tronca come le più recenti tendenze aerodinamiche imponevano.