04 April 2015

Epoca, la Porsche 911 Carrera RS 2.7

La Carrera RS 2.7 è concepita come un’auto da corsa, ma entusiasma anche chi vuole andarci a spasso. Prevista in 500 esemplari per le corse, ne hanno fatte 1.580. È un mito dell’automobilismo...

INTRO

Solo alla soglia del nuovo millennio la 911 Carrera RS 2.7 del 1972/1973 (serie F) ha ceduto il primato della Porsche stradale più scattante di tutti i tempi. Ma ancora oggi affascinano le sue prestazioni e la bellezza asciutta e muscolosa, sulla quale spicca impertinente la “coda d’anatra”. Le linee sono quelle piacevolmente familiari del modello originale disegnato da Ferdinand Alexander “Butzi” Porsche nel 1963. Non ci sono dunque i paraurti di sicurezza e le dotazioni che dal 1974 hanno ritoccato il volto delle 911. Qui ogni dettaglio è una delizia per l’appassionato della guida veloce. Solo a guardarla, la Carrera RS 2.7 promette un piacere quasi peccaminoso; oggi praticabile solo in pista, con tanta invidia per chi ha avuto il privilegio di guidarla negli annipre-Autovelox. Anche nella meccanica la Carrera RS 2.7 non scardina le radici del progetto originale.

RAFFREDDATA AD ARIA
Per intenderci è ancora raffreddata ad aria, non ha il Vario-cam e ha una sola candela per cilindro, eppure è una Porsche con contenuti nuovi per l’epoca: la prima che per prestazioni e immagine è entrata nell’olimpo delle grandi “supercar”. Leggenda La Carrera RS 2.7 rappresenta la massima evoluzione della 911 prima dei cambiamenti imposti dalle norme sulla sicurezza e sugli scarichi. È il risultato di un progetto teso unicamente a massimizzare le prestazioni per battere nelle corse qualsiasi altra GT, comprese le 12 cilindri. Non a caso il modello si chiama RS, che sta per Renn Sport, in italiano Corsa Sport, e ogni scelta tecnica è congruente con l’assunto del progetto. Come in ogni auto da leggenda, aleggia po’ di leggenda sulle sue origini. Si racconta che il 14 maggio 1972 l’ingegnere Ernst Fuhrman, direttore tecnico Porsche e appassionato di corse, abbia assistito alla gara di Hockenheim dove la Porsche 911 T 2.4 maggiorata di Hartmut Kautz gareggiava nella Divisione 1 fra GT di Gr. 4 e Turismo di Gr. 2.  Dominarono proprio le “Turismo”, con quattro Ford Capri RS 2600 nelle prime quattro posizioni, mentre Kautz si classificò sesto a un giro. L’indomani Fuhrman espresse il suo forte disappunto nel reparto corse, dove Wolfang Bergher gli spiegò con chi doveva prendersela: Michael Kranefuss, responsabile sportivo della Ford che, da interprete scaltro dei regolamenti, aveva omologato un modello speciale svuotato di tutto per ottenere la massima riduzione del peso. 

LEGGEREZZA

Fuhrman lasciò il reparto pensieroso. In effetti, la Porsche aveva sempre perseguito la leggerezza come strategia vincente nelle corse, ma fino ad allora nessuno aveva pensato di alleggerire in modo così radicale la 911. «Ora è giunto il momento» -pensò probabilmente fra sé e sé- e avviò una drastica cura dimagrante. I tecnici ridussero lo spessore delle lamiere della carrozzeria; ordinarono allo specialista Glaverbel i cristalli laterali spessi la metà degli originali e chiesero il parabrezza e il lunotto più sottili al consueto fornitore Saint Gobain. Per i paraurti, il cofano motore, l’armatura dei sedili e il serbatoio scelsero le resine plastiche. Eliminarono tutti i materiali fonoassorbenti, l’orologio, i sedili posteriori, il cassetto portaoggetti, le tasche porta carte, le alette parasole, insomma, tutto ciò che non serviva per le corse. Ridussero così di circa 100 kg il peso, senza risparmiare sulla qualità e sulla cura nel montaggio. Le altre linee guida del progetto riguardarono l’aerodinamica, la caratterizzazione estetica e, ovviamente, il potenziamento del motore. 

 

FILO DI FERRO
La vistosa ala posteriore, che la fantasia popolare battezzò “Entenbürzel” (coda d’anatra) è la modifica che più colpì l’immaginario collettivo. Anche qui aleggia un po’ di leggenda. All’origine ci sarebbe addirittura la Fiat 850 Sport Coupé di Tillman Brodbeck, giovane tecnico della Porsche, che interrogò il suo professore di aerodinamica su quella specie di “labbro” che la vetturetta aveva sulla coda. Il professore sorrise osservando che le preoccupazioni della Fiat probabilmente non erano andate oltre l’estetica, ma ormai in Brodbeck era scattata la molla che lo spinse a chiudersi per una settimana nella galleria del vento dell’università di Stoccarda con un cofano grezzo, un cannello da saldatore e un gran rotolo di filo di ferro. Iniziò a tagliare il filo, a sagomarlo, a sovrapporne i pezzi e a saldarli fino a ottenere una specie di ala, che fece crescere fino a quando ottenne buoni risultati nelle prove. Quando mostrò quel “coso”, tutti lo presero in giro, ma il collaudatore Günther Steckkönig accettò di provarlo in pista. Quando scese dalla macchina strillò: “Funziona!” A quel punto il designer della Casa, Tony Lapine, ricevette l’incarico di dare un aspetto gradevole a quell’improvvisata appendice aerodinamica.

 

SPOILER
L’ala definitiva ridusse la portanza sul posteriore del 75%, migliorò il raffreddamento e aiutò anche a tenere puliti i fanali! Senza ala, a 230 km/h la portanza sul retrotreno arrivava a 145 kg, generando un netto sovrasterzo nelle curve veloci. Con il valore ridotto a 45 kg divenne però necessario fare qualcosa per evitare l’alleggerimento dell’avantreno. Si ideò dunque lo spoiler che, per le competizioni, poteva alloggiare un radiatore dell’olio. La combinazione dei due dispositivi aumentò l’aderenza del 20%, arretrò il centro di pressione aerodinamica e ridusse la sensibilità al vento laterale. Inoltre stabilì un rapporto ideale fra la portanza sugli assi (45% sull’anteriore e 55 % sul posteriore), la stessa proporzione che c’era fra la distribuzione dei pesi, condizione ideale per un comportamento stradale costante alle varie velocità.

 

MOTORE

Contribuirono all’ottimizzazione del comportamento anche la saldatura del supporto tra la traversa tubolare della sospensione posteriore e il tunnel centrale, che rese più rigido l’insieme, le barre di torsione con diametro di 18 mm anziché 15 mm, gli ammortizzatori a gas Bilstein e i cerchi posteriori con canale di 7” invece di 6. Non è infine da trascurare il ruolo degli pneumatici a profilo ribassato. L’insieme permise di curvare con un’accelerazione laterale di 0,912 g, il valore più alto raggiunto fino ad allora da un’automobile di serie.

MOTORE
Sul motore di 2,7 litri (tipo 911/83) non ci sono leggende, ma pura tecnologia. Nella configurazione originale era difficile aumentare la cilindrata oltre i 2,5 litri senza cambiare i carter perché i cilindri, realizzati con il sistema Biral, avevano spesse canne di ghisa attorno alle quali erano fuse le alette di raffreddamento in alluminio. Perciò, se si lasciava invariato l’interasse fra i perni di manovella e si allargava il diametro interno dei cilindri, le canne diventavano troppo sottili. Però per la 917 da corsa la Porsche aveva sviluppato la tecnologia Nikasil, cioè cilindri interamente in alluminio con sottili riporti elettrolitici di nichel-carburo di silicio nelle zone d’attrito.

Bastò applicare al motore 911 questa tecnologia, che rendeva superflue le canne di ghisa, e di colpo divenne possibile allargare il diametro interno fino ad aumentare la cilindrata circa a 3,7 litri, cosa che in seguito effettivamente avvenne. Per il momento la Casa si limitò a maggiorare l’alesaggio a 90 mm per ottenere la cilindrata di 2687 cc. A parte questo, il motore di 2,7 litri tipo 911/83 non differiva dal 2,4 tipo 911/53 della contemporanea Porsche 911 S: stessa corsa, stesso diagramma della distribuzione, stesso diametro dei condotti e delle valvole, stesso rapporto di compressione: un bel risparmio dal punto di vista costruttivo!

Solo la marmitta era diversa, realizzata per la prima volta in acciaio inossidabile per ragioni di peso e dotata anche di una sonorità inconfondibile come corollario. Musica pura, insomma. Marketing La cilindrata di 2,7 litri e il minor attrito dei cilindri al Nikasil, permisero di salire con la potenza a 210 CV, contro i 190 CV del 2,4 S, pari a un aumento del 10 %. Contemporaneamente la coppia massima salì da 22 kgm a 5200 giri a 26 kgm a 5100 giri con un incremento del 18 %, che rese necessaria una molla della frizione più dura.

CAMBIO
Il cambio a 5 marce rimase invariato, tranne i rapporti della quarta e della quinta leggermente più “lunghi” a vantaggio della velocità massima (250 km/h). Dal canto loro i primi tre rapporti, divenuti “corti”, permisero uno scatto bruciante: 5,5 secondi per passare da 0 a 100 km/h, come la Lamborghini P 400 Miura! Si decise che una 911 con queste prestazioni doveva evocare immediatamente le corse e distinguersi dalle altre a prima vista. I tecnici e gli uomini del marketing concordarono nel recuperare il nome Carrera, che in passato aveva distinto i modelli più veloci, preferirono infine la sigla RS all’iniziale SC.

Gli uomini del marketing sollecitarono il colore bianco, che era il colore da corsa nazionale delle auto tedesche, e stabilirono che le sigle Carrera e RS dovevano comparire un po’ dappertutto. Il già citato Tony Lapine ricevette l’incarico di mettere in pratica queste indicazioni. E qui torna un po’ di leggenda. Ecnalubma Lapine partì dalla scritta Carrera dell’omonima 356 del 1963. Cambiò un po’ la lettera C, compattò le altre lettere e poi passò la palla a Eric Strenger, fine grafico e illustratore dei poster della Casa. Strenger prese a cuore il compito: disegnò altre scritte aggiornate e di volta in volta appese i fogli con le sue elaborazioni fuori dalla porta del proprio studio in modo che chi passava potesse giudicare. Alla fine tutti concordarono su quella che poi divenne la grafica definitiva. Ma non è tutto.

CARRERA
I cataloghi e i depliant delle 911 Carrera 2.7 abbigliate con la scritta prescelta erano ormai stampati quando un giornalista suggerì a Lapine di mettere la parola Carrera alla rovescia sul muso, come ecnalubma (ambulance allo specchio) sul muso di certe ambulanze perché la parola riflessa si leggesse correttamente nei retrovisori delle auto che dovevano darle strada. Lapine non volle giocare sulle cose serie (ma lo fece un anno dopo la BMW con la scritta obruT sulla 2002 Turbo), però iniziò a pensare a qualcosa di altrettanto insolito per colpire l’attenzione. L’idea giusta gli venne vedendo le pellicole negative delle foto della bianca Carrera RS 2.7 prototipo in prova con Edgard Barth. Negativi Osservò che le lettere in negativo avrebbero dato un effetto inedito e spettacolare perché l’occhio, specialmente da vicino, non avrebbe percepito tutti i contorni e l’osservatore, più o meno inconsciamente, avrebbe dovuto azionare il cervello per decifrare la scritta. Si impuntò quindi perché le Carrera RS di serie uscissero con le scritte in negativo, cioè nello stesso colore della carrozzeria, parzialmente delimitate da fasce nel colore dei cerchi. Cosa che effettivamente avvenne.

BIANCO
Per quanto riguarda il colore bianco che doveva distinguere le Carrera RS 2.7, la Casa effettivamente mise a punto la tinta speciale denominata Grandprixweiss (codice Glasurit 908, codice Porsche P5 o R4), che distinse poi molti esemplari, ma alla fine dovette fare i conti con la clientela, che espresse anche altre preferenze. Le scritte rimasero i soli elementi decorativi del modello, che per il resto nulla concedeva all’ornato: nessuna finta presa d’aria, nessuna griglia supplementare, nessun fregio inutile, insomma tutto quello che c’era, c’era perché serviva e basta. Molto professionale. Ancora oggi la Carrera RS 2.7 mostra un’energia intensa, quasi muscolare, in ogni particolare. Rimaneva il problema di vendere le 500 vetture programmate per ottenere l’omoloulgazione FIA nel Gr. 4 (vetture GT preparate). Gli uomini del marketing erano preoccupati, dove trovare 500 piloti da corsa ai quali vendere la vettura? 

500 ESEMPLARI

La presentazione della 911 Carrera RS 2.7 al Salone di Parigi il 5 ottobre 1972 cancellò ogni dubbio. Il pubblico normale, che inconsciamente attendeva una 911 veramente esclusiva, quasi da corsa, ma legale per l’uso stradale, le riservò un’accoglienza entusiastica. Nel primo giorno d’apertura la Casa vendette 51 esemplari e nei quindici giorni successivi la clientela prenotò l’intera produzione prevista.

Le richieste tuttavia non accennarono a fermarsi. Fu quindi necessario prevedere una seconda serie: altri 500 esemplari che la Casa programmò volentieri per arrivare ai 1000 che le avrebbero consentito di omologare il modello nel Gr. 3 per le corse delle vetture GT di serie. Previde inoltre nuovi bracci delle sospensioni posteriori in alluminio più lunghi. In questo modo il passo aumentò da 2.268 mm a 2.271 mm, un’inezia che tuttavia servì per tenere le ruote posteriori più parallele al suolo. La millesima 911 Carrera RS 2.7 uscì dalla fabbrica il 9 aprile 1973, ma le richieste non si fermarono anche se nel passaggio dalla prima alla seconda serie il prezzo era un po’ aumentato.

L’ultima 911 Carrera RS 2.7, distinta dal telaio # 9113601590, uscì dalla fabbrica nel luglio successivo. Alla fine dello stesso mese iniziarono i lavori per adeguare le linee di montaggio alla produzione dei nuovi modelli 911 della serie G, quelli con i “soffietti”nei paraurti, per intenderci, che fecero automaticamente apparire la 911 Carrera RS 2.7 come un “vecchio modello”, anacronistico da tenere in produzione. Peccato: la nuova Carrera RS 3.0, che la sostituì al vertice della gamma, era più pesante e perciò meno scattante, anche se disponeva di 230 CV, 20 CV in più della gloriosa “RS 2.7”.

QUOTA MEZZO MILIONE
La Porsche 911 Carrera RS 2.7 debuttò nei listini italiani nel febbraio 1973 con le versioni denominate Stradale e Touring, vendute rispettivamente a 7.327.800 lire e 7.870.000 lire tasse escluse. Un mese dopo le Case tedesche aumentarono i prezzi e il nuovo listino della Stradale fu fissato in 7.694.190 lire mentre quello della Touring salì a 8.264.830 lire. In luglio un nuovo aumento portò il prezzo della Stradale a 8.354.400 lire e quello della Touring a 8.973.900 lire, che tasse comprese diventavano 8.748.000 per l’una e 9.645.000 per l’altra. Nel mese di settembre il modello uscì dai listini italiani.

Tornò nel 1994 nelle quotazioni delle principali riviste specializzate in auto storiche con una valutazione decisamente alta: 100 milioni di lire. Nel 1999 lo sgonfiarsi della bolla speculativa, che fino a lì aveva fatto lievitare i prezzi delle auto storiche, fece calare le valutazioni a 80 milioni di lire, che i listini riportarono con puntigliosa precisione anche al cambio in Euro 41.320. Nel 2005 le valutazioni correnti erano attorno ai 47.000 Euro, due anni dopo salivano a 48.000.

Nel 2009 con un gran balzo si portavano a 125.000 Euro, che più o meno è la valutazione corrente. Oggi negli annunci di vendita italiani si può trovare qualche esemplare a un prezzo leggermente inferiore, ma la vera sorpresa viene dalle aste internazionali, dove le quotazioni sembrano davvero impazzite negli ultimi due anni. In pratica si è passati dai 232.500 dollari (172.000 Euro*) della Porsche 911 RS Touring telaio # 911 360 0463 venduta all’asta Bonhams al Quail Lodge Resort nel 2009 ai 550.000 Dollari (407.000 Euro*) pagati per la Carrera RS 2.7 Touring telaio 911 3600 813 all’asta Gooding di Amelia Island nel 2013 o ai 473.000 Dollari (350.000 Euro*) pagati per la Carrera RS 2.7 Touring telaio # 9113600631 nell’asta della stessa Gooding a Peeble Beach. Non è facile interpretare questi dati, come sempre bisogna considerare lo stato di originalità e di conservazione o restauro di ogni singola vettura, le circostanze in cui è stata venduta, il particolare momento socio-economico e così via. In ogni modo rimane il fatto che le quotazioni delle Carrera RS 2.7 hanno fatto un bello schizzo in alto. Resta da vedere se la tendenza al rialzo durerà ancora. *Al cambio del 6 novembre 2013.

UN NOME DA CORSA
Carrera è un nome famoso per le Porsche. Deriva dalla Carrera Panamericana, la leggendaria competizione che negli anni ‘50 si correva su 3.000 km di strade e stradine dal confine del Guatemala a quello degli Stati Uniti. Una Porsche vi partecipò per la prima volta nel 1953 con il pilota privato José Herrarte, che vinse la classe con una 356. L’anno dopo due Spyder 550 ufficiali occuparono i primi posti di classe, corrispondenti a clamorosi secondo e terzo assoluti. Nel 1955 la Casa mise in commercio una 356 molto sportiva, dotata del motore bialbero che aveva sbalordito in Sudamerica. Questa versione si chiamò Carrera proprio per ricordare l’affermazione nella gara panamericana. Da allora il nome Carrera distinse i modelli più sportivi della Porsche, interessando tutte le evoluzioni dell’originaria 356 Carrera e i modelli speciali da corsa, come la 356 GL Carrera Abarth del 1959-1960, la 2000 GS GT detta “Dreikantshaber” del 1963, la 904 GTS del 1964 e infine la “sei cilindri” 906 del 1966. Poi la denominazione cadde in disuso. Riprese nel 1972 proprio con la 911 Carrera RS e continua ai nostri giorni per definire i modelli più veloci della gamma.

QUESTIONE DI PESO
Di solito si distinguono le Porsche 911 Carrera RS 2.7 in due versioni, Touring e Alleggerita, ma all’uscita della linea di produzione non c’era distinzione: i primi 1000 esemplari erano identici in una configurazione definita RSH, dove “H” sta per Homologation, cioè Omologazione. Completato il montaggio con quattro pneumatici 165-15 per contenere il peso, ogni esemplare era avviato a una pesa pubblica nei pressi di Stoccarda, dove le autorità competenti verificavano il peso (960 kg) e rilasciavano il certificato di conformità ai fini dell’omologazione. Dopo la pesa, ogni vettura rientrava in fabbrica per la preparazione finale.

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