15 September 2014

Epoca, la Ferrari 250 GT # 1739 (1960)

Un ricco imprenditore genovese con idee tutte sue sulle Ferrari fece realizzare varie Special sulla meccanica del Cavallino...

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È inutile cercare la Ferrari 250 prototype EW nei cataloghi ufficiali: non c’é. È un esemplare unico che ha la sua spiegazione racchiusa nella sigla EW, che non significa “Early Wheelbase” anche se è stata allestita su uno dei primi autotelai (early wheelbase, in inglese) della serie 250 GT Tipo 539. La decodifica esatta è Enrico Wax. Il dottor Enrico Wax, ricco imprenditore genovese di lontana origine russa, cambiava Ferrari come noi comuni mortali cambiamo scarpe. Era dunque assiduo cliente di Maranello e gran pagatore, ragione sufficiente per essere tenuto in gran considerazione dal Commendatore. Ma c’è di più.

Enrico Wax traeva i suoi profitti dall’import-export, principalmente di liquori, ma anche di pellami. In questa veste era stato occasionale fornitore di Ferrari. Così, fra l’acquisto di una GT e la vendita di una partita di pelli, i due erano in qualche modo in confidenza. Una ragione in più perchè Enzo Ferrari accettasse i “capricci” di Wax, che non si accontentava dei modelli di serie. Wax prediligeva le versioni da corsa, che poi faceva vestire con carrozzerie “lusso”. In questo modo nel maggio 1953 si era fatto confezionare la 250 Mille Miglia telaio # 310 MM, seguita nel febbraio 1954 dalla 375 Mille Miglia telaio # 0378 AM, quindi nell’aprile 1956 dalla 250 GT Competizione telaio # 0425 AM. Maranello Dopo tre anni e altre Ferrari “fuori ordinanza”, nell’estate 1959 Enrico Wax era di nuovo a Maranello.

Enzo Ferrari lo accompagnò nel reparto corse, dove stavano allestendo tre telai del nuovo tipo 539, più comprensibilmente identificabili con le parole 250 “passo corto” o “short wheel base” (SWB), che in inglese significa la stessa cosa. Dei tre il # 1739 era il più completo e già mostrava i dettagli da corsa come il parafiamma in alluminio, i supporti del cambio alleggeriti da fori, le foglie delle balestre lucidate e le boccole di attacco rigide. Ferrari illustrò tutto ciò con ardore e Wax alla fine chiese quel telaio per una nuova “special”. Ferrari lo aveva destinato a una berlinetta ufficiale, ma non seppe dire di no anche perché probabilmente l’interlocutore aveva già messo mano al carnet degli assegni. Non rimaneva che concordare i dettagli. Il telaio # 1739 sarebbe stato dunque allestito con un motore 128/F identico a quello delle berlinette ufficiali di Le Mans, vale a dire con i condotti lucidati, l’aspirazione libera, il rapporto di compressione 9,8:1 e 280 CV.

In più Wax chiese la civetteria dei coperchi delle valvole in rosso raggrinzante, come le 250 Testa Rossa. In più Enzo Ferrari aggiunse di suo quattro Tiragas SNAP (per esteso Silenziatore Neutralizzatore Atmosferica Pressione) concepiti dall’ufficiale, poeta e inventore Aldo Settimo Boni. Così l’autotelaio # 1739 adottò per primo questi dispositivi, che poi equipaggiarono diverse 250 GT e GTO ufficiali.-

GELOSIA
Alla prontezza dell’acquisto non corrispose altrettanta velocità nel completamento del telaio. Non dipese solo dai ritardi dovuti a certi particolari cambiati in corso d’opera, come i freni a tamburo sostituiti dai dischi, ma soprattutto dagli indugi sulla scelta del carrozziere. Wax aveva indicato “Nuccio” Bertone anche perchè questi aveva da poco assunto Giorgetto Giugiaro, un giovane designer del quale si dicevano meraviglie.

Enzo Ferrari era buon amico di Bertone perchè negli anni ‘50 aveva corso con le auto del Cavallino. Tanto poteva bastare per portare rapidamente a buon fine l’operazione. Ma bisognava fare i conti con la gelosia di Pinin Farina, il carrozziere ufficiale delle Ferrari. “Nuccio” e “Pinin” si ammiravano a vicenda, ma erano rivali. Lo mostravano a ogni salone dell’auto sfidandosi nello stile con stupende fuoriserie. Erano ancora più rivali sul piano commerciale perchè entrambi, per continuare a crescere, lottavano per acquisire commesse dalle Case costruttrici. La loro sfida sul piano commerciale si era risolta spesso con accordi fra gentiluomini. Per esempio, dall’Alfa Romeo “Nuccio” aveva ottenuto la commessa delle Giulietta Sprint, mentre “Pinin” si era assicurato quella delle Giulietta Spyder. L’equilibrio raggiunto ripartendosi clienti e modelli rischiava ora la crisi a causa della Ferrari di Wax. I timori di “Pinin” non erano del tutto infondati.

In effetti, Ferrari stava preparando in segreto una piccola GT (quella che poi che divenne l’ASA 1000) e stava pensando proprio a Bertone per le carrozzerie di serie. In ogni modo il Commendatore rassicurò tutti: da una parte spiegò a “Pinin” che l’idea di carrozzare l’autotelaio # 1739 non era partita da lui e dall’altra ammonì Bertone che un’eventuale collaborazione non sarebbe andata oltre la “Ferrarina”. I chiarimenti richiesero tempo, così l’autotelaio # 1739 arrivò presso Bertone soltanto il 7 gennaio 1960. Anche la permanenza presso il carrozziere non si poté dire breve. Infatti, il certificato d’origine, che per le automobili equivale al certificato di nascita, porta la data del 17 ottobre 1960. Qualche fonte riferisce che la # 1739 priva di parte della meccanica sia stata esposta a Ginevra nel marzo 1960. Ipotesi che sarebbe avvalorata dai fogli di montaggio Ferrari dai quali emerge che il motore, il cambio e il ponte trovarono definitiva sistemazione nell’estate 1960, ma le ricerche sulle cronache del Salone di Ginevra nelle riviste specializzate italiane dell’epoca hanno dato esito negativo.

 

PRIMA APPARIZIONE

La prima apparizione della # 1739 si può quindi fare risalire al Salone di Torino nel novembre 1960, quando Bertone la espose nel proprio stand e stupì il pubblico in un modo del tutto nuovo. Per questa particolare creazione egli rinunciò alle linee ardite e provocatorie, che erano la sua abituale cifra stilistica, e spostò la sfida nel campo dell’estetica classica, nel quale Pinin Farina era maestro indiscusso.

Nella grazia senza tempo della # 1739, Bertone e il ventunenne Giugiaro inserirono in ogni modo molte novità per il “mondo Ferrari”: come il padiglione su montanti sottilissimi, i brancardi e il tetto in metallo satinato, i parafanghi integrati nel cofano motore con apertura a conchiglia, i cerchi a vela bimetallici, lo sbrina-lunotto e la coda tronca. L’impatto di ogni elemento innovativo appare però ancora oggi temperato da un’esecuzione molto composta e misurata, che poggia su linee tese mai interrotte da elementi decorativi estranei al puro linguaggio dell’alluminio plasmato. Erano prudenti perfino i colori, bianco perlato (fornito da Wax) per la carrozzeria, e pelle Connolly Turquoise Green VM 3476 (verde turchese) per gli interni.

A lavoro finito, Bertone probabilmente si accorse che il senso della misura aveva privato il frontale della 250 prototype EW dell’identità Ferrari e rimediò con uno stemma Ferrari di formato gigante per impedire che il blasone del costruttore passasse inosservato. All’interno l’insieme delle linee classiche e delle innovazioni diedero un risultato che oggi appare bizzarro perché tenne conto delle particolari richieste del committente.

 

ONDA
La plancia contornata da una palpebra imbottita, che in alto prende un movimento a onda, è la parte più innovativa e la più riuscita, tanto che poi Bertone ne riprese il motivo in un’infinità di modelli: dalla Simca 1000 Coupé alla Fiat Dino Coupé. Nella # 1739 stride la posizione del contagiri e del tachimetro al centro, dove l’abbassamento dell’onda consigliava di disporre gli strumenti di diametro minore.

A Wax però gli strumenti grandi piacevano al centro, dove già li aveva fatti sistemare da Scaglietti nella 410 Superamerica # 0671 SA che si era fatto confezionare su misura nel 1957. Ancora più stravagante appare la batteria di interruttori e spie luminose raggruppati davanti al passeggero, che fanno pensare che il dott. Wax viaggiasse sempre con qualcuno accanto (immaginiamo un graziosa segretaria), con la delega ad azionare interruttori e a controllare spie. All’epoca destò sensazione anche la leva del cambio con l’impugnatura a mazza da golf, ma l’idea non era del tutto peregrina, perchè oggi sappiamo che qualche anno dopo la Mercedes ed altre Case si ispirarono a questa soluzione per rivoluzionare i pomelli del cambio che fino ad allora non prescindevano da forme rotonde.

 

NOIA
Come spesso accadeva, la nuova “special” venne presto a noia al volubile Enrico Wax, che alla fine del 1961 la cedette alla famiglia Tacchini. Qui rimase fino al 1974, quando Giuseppe Medici, illuminato appassionato di Reggio Emilia, la portò ufficialmente nel mondo delle auto da collezione. Gli americani all’epoca erano più sensibili degli italiani a certe cose, così nel 1976 la # 1739 attraversò l’Atlantico e trovò un nuovo proprietario in Robert Solomon di Encino, un sobborgo di Los Angeles. L’anno dopo, pur rimanendo nell’aerea di Los Angeles, trovò un nuovo proprietario a La Jolla. Qui nel 1981 subì il primo restauro. Il lavoro evidentemente era piuttosto approssimativo, perché fra il 1982 e il 1984 Steve Tillack la restaurò per la seconda volta riportando all’originalità molti particolari, come il tetto satinato, ma derogò dal colore facendola rossa. “Red sell well” (il rosso si vende bene), dicono gli americani, e la vettura ora in rosso, nel gennaio 1984 cambiò di mano per 100.000 $ nell’asta Barrett-Jackson di Scottsdale. Nel settembre dello stesso anno però tornò presso la Tillack & Co, che vi appose un cartellino di vendita maggiorato a 130.000 $.

Dopo cinque anni e varie peripezie la “ex-Wax”, ancora in rosso e con il tetto satinato, tornò da Tillack, che questa volta sul cartellino scrisse 2.500.000 $. La stessa cifra che chiese in un annuncio pubblicato nel settembre 1989 sulla rivista inglese Thoroughbred & Classic Cars. Record In ogni modo la # 1739 rimase in California, precisamente a Santa Barbara, nelle mani del nuovo proprietario Roger Karlson. Lo stesso Karlson il 24 agosto 1994 la introdusse nel dorato mondo dei concorsi d’eleganza, iscrivendola nella classe 6 dell’International Ferrari Concours di Monterey. Nel 2000, dopo una parentesi Hollywoodiana con lo scrittore Lance Hill, la nostra Ferrari finì a Monterrey, in Messico, nella Caballeriza Collection di Lorenzo Zambrano.

Rimase con lui nell’attuale grigio argento con interni rossi fino al 2009, partecipando a diversi concorsi, dove ottenne vari premi, compreso il 2° di classe a Pebble Beach e il Platinum award nella classe 4 FCA a Monterey. Messa all’asta a Maranello il 17 maggio 2009 all’interno di Leggenda e Passione RM Auctions, non stimolò alcun rilancio oltre il valore di stima e rimase invenduta. Non è accaduta la stessa cosa lo scorso 21 novembre 2013 all’asta newyorkese “Art of the Automobile”, quando l’offerta più alta ha toccato il valore record di 7.040.000 $.

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