Fiat 600, una storia lunga 60 anni

Il 9 marzo del 1955 viene presentata a Ginevra l’erede della Topolino, un’auto che ci ha accompagnato nel miracolo economico degli anni Cinquanta ed è rimasta a listino fino al 1970

Fiat 600, una storia lunga 60 anni

La Fiat 600 è una tipica espressione dell’Italia degli anni 50, quelli del miracolo economico: tutta concretezza, voglia di vivere e capacità di trarre il massimo dal minimo. Nell’impostare il progetto, l’ing. Dante Giacosa (il “padre”, oltre che della stessa 600, anche della 500 e delle altre Fiat di successo di quel periodo) mantenne il passo di due metri della Topolino. Scelse un motore a quattro cilindri, inizialmente raffreddato ad aria, e decise di metterlo in posizione posteriore perché con una disposizione più convenzionale non avrebbe permesso un’abitabilità sufficiente per quattro persone, mentre una soluzione con motore e trazione anteriore avrebbe aumentato i costi. Provando i prototipi, il collaudatore Carlo Salamano (grande pilota degli anni 20 e 30 che, in termini sia di immagine sia di esperienza, per la Fiat di allora rappresentava quel che Michael Schumacher potrebbe rappresentare per la Ferrari nel 2020) individuò il principale problema della macchina così concepita nell’eccessivo sovrasterzo che, quando si curvava bruscamente, innescava paurosi ondeggiamenti con rischio di ribaltamento. A questo si cercò rimedio spostando la batteria nel vano bagagli e aggiungendo pesi sull’asse anteriore, ma senza successo. Infine, ci si accorse che la ruota anteriore esterna, coricandosi sotto la forza centrifuga, sterzava più del dovuto: bastò allora modificare gli snodi dello sterzo per risolvere definitivamente l’inconveniente.

 

QUANTI PROBLEMI SUI PRIMISSIMI ESEMPLARI

Tutto a posto, quindi? Non proprio: per dire il vero, quando le prime 600 iniziarono a circolare, dopo il debutto al Salone di Ginevra il 10 marzo del 1955, qualche problema c’era ancora: mancavano le piastre d’appoggio per i sollevatori da officina, i finestrini scorrevoli se richiusi fino a fine corsa schiacciavano le dita, il rivestimento del padiglione si scollava, l’indicatore del livello della benzina oscillava e l’acqua del radiatore tendeva a bollire. A tutto si trovò un rimedio, ma raggiunto lo scopo i perfezionamenti non si fermarono mai. La prima serie di modifiche (del 1956) comportò un radiatore maggiorato, un carburatore modificato, la balestra anteriore irrobustita, la scocca resa più rigida da un maggiore numero di punti di saldatura, le calotte copri mozzo di nuovo disegno e, a richiesta, la versione Trasformabile, con tetto apribile di tela.

 

NEL 1957 ARRIVANO I FINESTRINI DISCENDENTI

Nel marzo dell’anno successivo, al Salone di Ginevra, debuttò il così detto modello ‘57 con i vetri discendenti, i fanalini posteriori ridisegnati, il comando dei lampeggiatori e delle luci sul canotto dello sterzo, i pomelli e il volante di colore più chiaro, il cruscotto imbottito nello spigolo inferiore, i sedili di nuovo disegno e le tasche portacarte ricavate dai rivestimenti delle porte. Dal punto di vista meccanico, una nuova regolazione del carburatore e l’aumento del rapporto di compressione permisero mezzo Cv in più, mentre una balestra anteriore più flessibile e una diversa taratura degli ammortizzatori migliorarono ulteriormente la tenuta di strada. Dopo soli otto mesi, al Salone di Torino, la “600/‘57” presentò nuove modifiche estetiche: i fari con cornice a tegola, i profili cromati laterali e sotto le porte, i paraurti con rostri, gli spruzzatori lava vetro e, con sovrapprezzo di 7.500 lire, la verniciatura in colore contrastante per il tetto. In questo caso il bordo esterno dei cerchi riprendeva la tinta del padiglione, mentre un profilo cromato alla base del parabrezza segnava la linea del cambio di tinta.

 

1958: NUOVO CODICE DELLA STRADA, NUOVI INDICATORI DI DIREZIONE

Nel 1958, gli sforzi della Fiat si concentrarono nell’adeguare la produzione alla poderosa crescita della domanda, perciò si rimandò ogni modifica al 1959. In quell’anno apparvero ben due serie di modifiche. Al Salone di Ginevra, in marzo, debuttarono la dinamo da 230 Watt invece dei precedenti 180 Watt, il nuovo specchio retrovisore, l’interruttore dei fari diverso e soprattutto il carburatore 26 IM, che permise 24,5 Cv di potenza massima e finalmente la velocità di 100 chilometri l’ora. In ottobre, al Salone di Torino, fu poi la volta della verniciatura dei cerchi delle ruote in grigio metallizzato (prima erano color crema), dei pomelli e del pulsante del clacson neri (prima erano beige) e della fanaleria adeguata al nuovo Codice della Strada (lampeggiatori anteriori tondi, ripetitori laterali arancione, fanalini posteriori ingranditi, spia anabbaglianti, spia abbaglianti), mentre il freno a mano precedentemente applicato trasmissione passò ad agire sulle ruote posteriori. Poco dopo (dal motore numero 764.729) cambiò il materiale della ventola di raffreddamento: non più lamiera d’acciaio saldata, ma in fusione monolitica d’alluminio.

 

1960: CON LA “750” ARRIVA LA MAGGIORATA

Nel giugno del 1960, la meccanica della 600 subì la modifica più importante dalla sua storia: la cilindrata passò da 633 a 767 cc, per “staccare” maggiormente il modello dalla Nuova 500 e per assecondare la clientela che s’era mostrata disposta a pagare un po’ di più per avere prestazioni leggermente superiori. Con il motore di 767 cc, la 600 D (questo il nome del modello) sviluppava 29 Cv, grazie anche alle valvole maggiorate e a un nuovo carburatore con pompa di ripresa. La velocità massima passava a 110 km/h grazie anche alla nuova coppia conica 8/39. Insieme con l’aumento della cilindrata debuttarono il filtro dell’olio centrifugo, l’albero motore con perni di biella maggiorati, il filtro dell’aria piatto, il ricircolo dei vapori dell’olio, la frizione irrobustita, i cilindretti dei freni maggiorati e l’avviamento elettromagnetico comandato dalla chiave invece che dall’antiquata levetta sul tunnel, dove rimase solo quella dello starter. Le modifiche alla carrozzeria riguardarono i deflettori sui finestrini anteriori, il ripiano portaoggetti sotto il cruscotto, il posacenere e il cofano motore con tre feritoie per parte in più.

 

BASTAVANO 15.000 LIRE PER AVERE IL TETTO APRIBILE

Fra gli optional della 600 D debuttarono gli schienali dei sedili anteriori ribaltabili (5.000 lire), mentre i pneumatici a fi anco bianco (6.500 lire) adottarono una fascia più stretta e l’opzione tetto apribile costò meno (15.000 lire). Altre piccole modifiche meccaniche (nuovo spinterogeno dal motore numero 1.038.311, filtro a cartuccia accanto al centrifugo dal motore numero 1.101.669, carburatore Weber 28 ICP o Solex PIB-2 dal motore numero 1.118.557) accompagnarono l’esistenza della 600 D fi no al maggio del 1964, quando (a partire dalla vettura numero 1.821.001) intervenne un’altra importante modifica: l’adozione delle porte di sicurezza, cioè incernierate davanti. Questa modifica, imposta dalle normative sulla circolazione ormai vigenti nella maggioranza dei Paesi d’Europa, comportò la sparizione delle antiestetiche cerniere esterne e la modifica delle maniglie interne ed esterne delle porte. Cambiò leggermente pure la forma delle tasche portacarte sulle porte.

 

1965: COPRIMOZZI E FARI ANTERIORI IN COMUNE CON LA NUOVA 850

L’ultima modifica di un certo rilievo estetico avvenne in occasione del Salone di Torino nel novembre 1965. Dalla scocca numero 2.035.001 sparirono i profili lucidi su fi ancate e cofano, mentre debuttarono i fari anteriori maggiorati, la calandra semplificata con un solo “baffo”, i rostri sui paraurti con inserti di gomma, i lampeggiatori anteriori privi di basetta d’alluminio lucido, le calotte copri mozzo simili a quelle della Fiat 850 e il serbatoio del carburante più capace (31 litri invece di 27). Anche la “Fanaloni”, al contrario di quanto molti affermano, ebbe la sua versione con il tetto apribile di tela, ma se ne costruirono pochissime: uscì di scena nel 1969. La versione base uscì dal listino nel 1970.

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