Dopo quattro vittorie consecutive al “Monte-Carlo” di auto con motori posteriori fuoribordo (1968-’70 Porsche 911 e 1971 Alpine Renault A110) si pensava che il periodo delle trazioni anteriori nei rally fosse definitivamente tramontato. In altre parole, che il vantaggio di avere la direzionalità facilitata dalle ruote motrici collegate al volante fosse stato soppiantato da quello derivante dalla trazione dovuta al peso del motore sulle ruote motrici in uscita di curva. Alla direzionalità avrebbero pensato gli pneumatici continuamente evoluti sia nelle mescole sia nelle chiodature in caso di ghiaccio.
Del resto, una vettura a trazione posteriore per i Rally (la Strato’s) era da tempo in preparazione anche alla Lancia; ma all’inizio della stagione 1972 non era ancora pronta (debutterà alla fine dell’anno al Tour de Corse) e quindi la squadra Lancia HF si presentava a Montecarlo con sei Fulvia 1600 HF affidate a Sandro Munari/Mario Mannucci, Sergio Barbasio/Piero Sodano, Amilcare Ballestrieri/Arnaldo Bernacchini, Harry Kallstrom/Gunnar Haggbom e Simo Lampinen/Solve Andreasson.
Come si vede, nulla di dimesso ma una compagine forte per quanto non favorita e quindi priva di dannose pressioni psicologiche; molto decisa, tuttavia, a ben figurare guadagnando più punti possibile per l’Europeo della specialità. Come è andata a finire, tutti gli appassionati di automobili lo sanno bene e quelli con i capelli grigi possono ancora ricordare le emozioni che percorsero tutto l’ambiente dopo la spettacolare vittoria della “mitica” (aggettivo che usiamo di rado ma che qui ci pare sia d’obbligo) Fulvia n. 14 di Munari e Mannucci, che si mise dietro tutta la più quotata concorrenza mondiale.
Cucina
Ripensando a quei giorni, le reazioni possono essere le più varie, fino ad arrivare a quella del nostro lettore Mattia Losi, giornalista milanese, che ha voluto creare una replica di quella vettura da tenere per sé.Ignorando con una scrollata di spalle chi gli consigliava di limitarsi a un modellino scala 1/18, è passato direttamente alla 1/1 partendo da una 1,3 S II serie; dopo un anno di lavoro e una spesa che ha prontamente dimenticato, il risultato è quello che si può vedere in queste pagine.Ma perché partire da una seconda serie se l’obiettivo era replicare una prima serie?
E’ presto detto: visto che, in ogni caso, sarebbe stato impensabile sacrificare una “fanalona” per questa operazione, era comunque indispensabile che all’interno campeggiasse una leva del cambio corta come quella della 1600 HF e questa era l’unica possibilità.Già qualche licenza, nella definizione dell’abitacolo, si è resa necessaria per evitare operazioni di dubbia riuscita, come la rimozione del tunnel centrale e la sostituzione della gomma a rivestimento del pianale con l’introvabile “moquette” presente sull’originale; la rinuncia a montare il roll-bar è invece riconducibile all’intenzione di usare occasionalmente l’auto con tutta la famiglia.
A compensazione si segnala la perfetta riproduzione della plancia, rivestita in finta pelle su base in alluminio sagomata nella cucina di casa, e della strumentazione priva di tachimetro sostituito da un navigatore satellitare asportabile; volante Ferrero dell’epoca, sedili Fusina e pannelli porta sono invece pressoché identici all’originale comprese le cinture di sicurezza a quattro punti ancorate al pianale e il rivestimento del padiglione riverniciato in nero sul grigio chiaro della 1,3 S.
Pedoni
Nella definizione di tanti piccoli particolari dell’interno neppure l’amicizia con di Losi con Sergio Rombolotti, non dimenticato pilota ufficiale Lancia HF, ha potuto togliere del tutto i dubbi in quanto i suoi ricordi parlano di abitacoli continuamente modificati, anche durante una stessa gara, in base ai gusti dei piloti: impossibile quindi replicare fedelmente un quadro in continuo mutamento.
Dove invece le infedeltà all’originale si riducono quasi a zero è nell’aspetto esteriore; le uniche tre, veramente piccolissime, le elenchiamo subito onde evitare ai lettori un esercizio tipo “aguzzate la vista”: la mancanza (per la sicurezza dei pedoni) dei ferma cofani rapidi, la diversa foggia dei cappellotti al centro delle ruote che qui sono esteticamente più pregevoli -dotati come sono del marchio Lancia- rispetto ai posticci tappi lucidi della versione originale e infine il posizionamento della targa posteriore del Rally di Monte-Carlo ‘72 che non poteva essere applicata al lunotto, come appare nell’unica foto dell’epoca della n. 14 vista di coda, perché non concesso dal Codice della Strada.
Per il resto la fedeltà è totale e questo grazie, in primis, alla determinazione del proprietario ma anche a un paio di colpi di fortuna: il primo dei quali il ritrovamento, presso un ricambista, di un muso completo di una 1600 HF I serie che (secondo colpo di fortuna) il carrozzaio incaricato dei lavori ha adattato alla scocca della seconda serie così bene che anche chi è al corrente del “trapianto” non riesce a individuarne i segni. Anche la verniciatura è perfetta e, considerando che si è cambiato colore alla scocca (la vettura di partenza era Grigio Escoli metallizzato), non si tratta di un risultato così scontato; le parti in nero opaco, poi, sono state realizzate, dopo lunghi studi di ingrandimenti di foto dell’epoca, seguendo i contorni originali anche quando incongrui come appaiono nella parte bassa della vettura; in questa fase è risultata impagabile la disponibilità del Museo Lancia che, in via straordinaria, ha concesso al proprietario di fotografare l’esemplare in possesso della collezione della Casa.
Così anche gli adesivi risultano identici all’originale al millimetro, comprese le placche della gara, pur se realizzate in materiale adesivo anziché in alluminio; si è preferita questa soluzione, esteticamente ininfluente, per evitare di doverle poi avvitare alla carrozzeria creando potenziali inneschi di ruggine.