Peugeot 406 e Lancia k: vestivamo (coupé) alla torinese

Due Coupé V6, 3.0 24 valvole da 200 CV, di gusto e produzione torinese (Pininfarina docet),
nate nel solco delle rispettive tradizioni, anche stilistiche. Ora sono entrate nel... limbo dell'età ventennale
1/8 La Lancia k era un’ammiraglia a tutto tondo, disponibile in versione berlina, station wagon e coupé.
Foto di Michele Di Mauro

Due granturismo fuori dagli schemi compiono vent’anni nel 2017, entrando di fatto nel limbo tutto italiano delle “ventennali”, quelle storiche che tali sono solo in alcune regioni d’Italia. Polemiche a parte, accomunate dall’obbiettivo di far fronte all’offensiva tedesca, le coupé youngtimer di Peugeot e Lancia condividono molte scelte stilistiche e filosofiche, oltre che anagrafiche e persino geografiche: come vedremo c’è tanta Italia anche nella bella coupé francese.

Manifesto di stile

Considerata all’unanimità una delle più belle coupé del periodo e una delle più belle Peugeot di sempre, la 406 riporta idealmente la casa del Leone indietro nel tempo alle coupé di fascia medio-alta disegnate a Torino; alla collaborazione con Pininfarina, avviata nel lontano 1951, si devono infatti tanti dei migliori prodotti Peugeot, incluse le coupé derivate dalle berline 404 e 504, due autentiche best-seller della produzione marchiata col Leone.
Rispetto ad esse, alla 406 va aggiunta la peculiarità di essere l’unica Peugeot non prodotta presso uno stabilimento della Casa, poiché la realizzazione e l’assemblaggio della carrozzeria, completamente specifica, per la prima volta avviene negli stabilimenti Pininfarina di Grugliasco e San Giorgio Canavese. La 406 Coupé appare infatti del tutto differente dalla berlina e dalla Station Wagon, almeno esternamente. Grazie alle linee tese e in particolare alle “ali” che incorniciano lunotto posteriore e baule, vista da certe angolazioni la Peugeot assomiglia piuttosto ad altre creature dello stilista con la “f”, di quelle che sullo stemma, nella stessa posizione “rampante” del Leone, sfoggiano un altro quadrupede… rampante. Somiglianza sottolineata ancor di più dopo il restyling della 406 Coupé, che nel 2003 le ha donato una ben più vistosa e grintosa bocca anteriore con tanto di griglia a quadrettoni all’epoca in voga dalle parti di Maranello.

L'origine da uno "scarto" Fiat

Pochi lo sanno, ma le belle linee della 406 Coupé derivano in realtà da una proposta realizzata da Pininfarina per la Fiat Coupé, poi scartata in favore di quella ben più dirompente disegnata da Chris Bangle, che condivideva le linee di produzione del carrozziere torinese negli stessi anni. Un progetto esteticamente assai valido, che a Torino hanno saputo declinare “in francese” con estrema abilità, realizzando un prodotto stilisticamente impeccabile, che riesce ancora oggi a mostrarsi grintoso ed elegante allo stesso tempo, nonostante una pulizia formale ai limiti del francescano. Fari sottilissimi, una calandra ridotta a una fessura tra il cofano motore e il paraurti, niente nervature o appendici aerodinamiche. Sono talmente pochi i tratti sulla carrozzeria che quasi disturbano i sottili paracolpi in plastica sulle fiancate, gli unici dato che non ve ne sono nemmeno sui paraurti. Specifici anche i fanalini posteriori romboidali, più piccoli e smussati rispetto a quelli delle altre versioni.
Una realizzazione completa quindi per il carrozziere di Grugliasco, che per poter evadere la consistente commessa di produzione deve applicare in casa propria i protocolli Peugeot relativi a costi, metodi, progettazione, sperimentazione, qualità, logistica, acquisti e marketing, per soddisfare la richiesta francese di una vettura che assolutamente non tradisca alcuna differenza qualitativa col resto della gamma del marchio del Leone.
All’interno plancia e comandi secondari sono componenti carry-over derivati dalla gamma 406; pannelleria e sedili sono invece specifici, e conferiscono alla Coupé un’identità propria e un’atmosfera a bordo di maggior prestigio e una percezione di qualità superiore. Merito principalmente della opulenta selleria in pelle che riveste i sedili sportivi, anch’essi specifici, dalla profilatura ben marcata. Un ambiente molto piacevole anche dopo vent’anni; se non fosse per l’antiquato display monocromatico sulla console centrale che fornisce le indicazioni principali e ospita un navigatore satellitare ormai preistorico, la 406 parrebbe ben più giovane di quella che è.
Con 4,615 metri, la 406 Coupé registra una lunghezza complessiva maggiore di quella della berlina da cui deriva, seguendo un approccio piuttosto coraggioso e inusuale per una sportiva, che però così non sacrifica eccessivamente l’abitabilità e può permettersi una carrozzeria molto slanciata e affilata come una lama di coltello. Coraggioso perché la strada di un’intera carrozzeria specifica moltiplica i costi di produzione in maniera esponenziale; inusuale perché, di solito, quando si vuol realizzare una coupé partendo da una berlina, si cerca di “salvare il salvabile” mantenendo quante più parti è possibile della vettura donatrice. Esattamente quanto viene fatto nelle stesse settimane con la Lancia “k”.

Passo corto

Presentata al Salone di Torino del 1996 e prodotta nell’ex-stabilimento Lancia di Chivasso dalla Carrozzeria Maggiora, la Coupé entra nei listini ad aprile 1997. La ricetta seguita è esattamente l’opposto di quanto fatto con la Peugeot: alla grossa berlina di produzione il Centro Stile Lancia di Orbassano ha tolto due porte e abbassato leggermente il tetto. Poi, seguendo un’imposizione arrivata dalla dirigenza e mal digerita dai designer (prassi all’epoca piuttosto consueta a Torino) ha accorciato il passo di dodici centimetri e, per economie di scala, ha mantenuto entrambi i paraurti, i cofani e l’intero frontale (parafanghi e parabrezza compresi) della quattro porte.
Con questi presupposti, fare una macchina bellissima è diventata un’impresa impossibile. Il Centro Stile prova a dare comunque il meglio di sé, andando addirittura a scomodare quel mostro sacro che è la Flaminia Coupé (qui ritorna la mano di Pininfarina), riprendendone le due “creste” ai lati della coda, che donano un tocco classico e personale alla vettura, per il resto non particolarmente proporzionata, soprattutto per gli sbalzi eccessivi rispetto al passo, condizionati da paraurti e cofani già in produzione. Anche le luci posteriori sono di recupero, provenienti dalla Delta 2a serie. Un peccato, perché le perplessità del pubblico derivanti dall’estetica controversa e molto poco sportiva finiscono per penalizzare un prodotto altrimenti valido dal punto di vista prestazionale e del comfort di marcia, voci degne delle migliori granturismo dell’epoca. La decisione di accorciare in misura così evidente il passo, causa primaria del poco equilibrio nella vista laterale, effettivamente regala alla “k” Coupé una maneggevolezza sul misto invidiabile, da vera sportiva. Ma l’handling è davvero così importante per un’auto da gran turismo come questa Lancia e per il pubblico a cui essa si rivolge? Probabilmente no, soprattutto se si opta per la pastosa versione 3.0 V6 della nostra prova, tra l’altro proposta dalla Casa con la sola trasmissione automatica.
L'articolo completo è stato pubblicato sul numero di Automobilismo d'Epoca - ottobre 2017
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