Alpine-Renault A310, sorella di un dio minore

L’erede della A110 non è riuscita a replicarne il successo, forse per le attese eccessive degli appassionati. Eppure è una macchina equilibrata e godibilissima, che nella seconda parte della carriera ha finalmente avuto anche il V6
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Se c’è una cosa difficile in campo automobilistico è la vita del modello che deve sostituire un’icona. È quanto accade alla Alpine-Renault A310 quando, nel 1974, prende il posto della A110. L’A110 è stata troppo vincente, troppo bella, troppo tutto. L’A310, rivisitazione soprattutto estetica e nata a quattro cilindri, segna il passaggio dell’azienda dalle mani del fondatore, Jean Rédélé, alla Renault, avvenuto nel 1973 (si completerà quattro anni più tardi, con l’acquisizione definitiva della Casa di Dieppe da parte della Règie). Sarà un compito difficilissimo per quel modello, che nelle attese degli appassionati deve essere competitiva con la sempreverde Porsche 911, che sostituisce sé stessa, e nuove rivali come la Lancia Strato’s. La partenza è ad handicap: la nuova berlinetta francese dovrebbe evolvere in una GT, ma nasce a 4 cilindri, mentre le due concorrenti di cui sopra sono sei cilindri; e la Strato’s può vantare addirittura una parentela Ferrari.
L’A310 dovrebbe essere una evoluzione della A110, non una semplice sostituta. Prova ne sia che, nonostante l’impostazione tecnica simile (telaio monotrave e motore posteriore a sbalzo), la nuova è più lunga (330 mm), più larga (120 mm) e più pesante (150 kg) della vecchia, e non più due posti secchi, bensì 2+2 anche se i posti dietro sono proprio striminziti. Dovrebbe quindi sposare la filosofia della vecchia Alpine GT4 con le prestazioni e l’immagine della A110. Quando però si vedrà che dal punto di vista motoristico nulla è cambiato, molti storceranno il naso. Per essere davvero più “maturo” del vecchio modello, il nuovo dovrebbe avere per lo meno un motore a sei cilindri, come le più accreditate concorrenti. Motore che arriverà soltanto cinque anni dopo la presentazione.
Il 1973 è l’anno cruciale: l’Alpine vince nientemeno il mondiale Rally, battendo Ford, Lancia, Porsche; ma la guerra nel Kippur costringe il fondatore Jean Rèdèlè, figlio del concessionario Renault di Dieppe, a vendere proprio al Costruttore nazionale. A quel punto il progettista Michel Beligond ha già disegnato la nuova A310, seguendo gli stilemi in voga in quel momento, cioè opposti a quelli della A110, che con le sue linee arrotondate da “berlinetta” ha evoluto il concetto estetico delle precedenti A106 e A108.
L’A310 ha una linea molto filante e il retrotreno sviluppato anche in altezza. Alcune soluzioni spiccano per originalità, come il frontale con la batteria di sei fari (di cui i due centrali sono di profondità) nascosti dietro un plexiglass che occupa il frontale a tutta larghezza. La vista posteriore è molto grintosa, la macchina è bassa e larga e il cofano motore è coperto dalla “persiana” in plastica nera che ricorda quella della Lamborghini Miura: è un design quasi da fast-back, stilema all’epoca parecchio in voga. All’inizio si considera anche di usare al posteriore le luci sopra il paraurti, come sulle Renault 15 e 17, ma alla fine si preferisce usare quelle della Renault 8 montate in modo tradizionale. Anche perché il paraurti in realtà è poco più che una modanatura con funzione aerodinamica.
(Il servizio completo su Automobilismo d’epoca di novembre 2018)
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