05 January 2016

Benzina verde e auto d’epoca: aromatici, sali ed altri additivi

Ancora oggi, quando la benzina rossa è ormai solo un ricordo, sull’alimentazione della propria auto non tutti i proprietari di vetture storiche hanno le idee chiare. Ecco un breve compendio di tutto quanto è bene sapere

Benzina verde e auto d’epoca: aromatici, sali ed altri additivi

Diciamo la verità: al vedere quel liquido verde scendere nel serbatoio di una Giulia o di una Fulvia, qualche dubbio rimane. Ma davvero sarà la stessa cosa della rossa con cui abbiamo allattato intere generazioni di Weber? Sicuri che non nuocerà alla vettura? Pochi proprie tari sono assolutamente convinti che quel carburante dal colore malaticcio non abbia proprio nessun effetto collaterale sul loro motore. Per quanto la chimica (che al pari della matematica non è un’opinione) garantisca che tra la composizione della rossa e quella della verde le differenze siano minime: limitate a componenti accessorie rispetto alla formulazione di base, quali il piombo (completamente scomparso), il benzene e altri aromatici (drasticamente calati) e nuove sostanze a base manganese o potassio, come il MTBE, entrate in scena per sostituire piombo e aromatici. E proprio su questi additivi si è acceso il dibattito: quanto possono incidere su motori progettati per un tipo di carburante che non corrisponde più a quello che oggi esce dalla colonnina? Per capirci di più, occorre fare un passo indietro.

 

LA BENZINA “SUPER” NASCE NEL 1939

Siamo agli inizi del 900, e i pionieri della tecnica automobilistica scoprono presto che la benzina, frazione “leggera” (ovvero dal basso peso molecolare) del petrolio greggio, si sposa perfettamente con i rapidi miglioramenti tecnologici del motore a ciclo Otto (candela, carburatori, distribuzione, volano). Per la benzina ha inizio una poderosa affermazione che, accompagnata da una continua evoluzione, non conoscerà arresti fino alla crisi petrolifera del 1973. Agli inizi il numero di ottano (NO assume valori attorno a 60, finché i chimici della Esso, avendo notato le caratteristiche antidetonanti dei sali di piombo, iniziano ad introdurne piccole percentuali nel combustibile facendone salire il NO fino a 75: è il 1939 e nasce la “super”. Nel dopoguerra, grazie anche allo sviluppo del settore aeronautico, il miglioramento delle tecniche di produzione e trasporto stabilizza il NO “naturale” della benzina attorno a 80-85, e i sali di piombo lo portano oltre 90. E’ questa la rossa distribuita a partire dagli anni 60. Il contenuto di piombo, dagli anni ’70 al 1990, si assesta infine attorno al valore di circa 0,40 g/l per un NO pari a 97÷98. Il 1990 è un anno decisivo. In piena Guerra del Golfo, le Compagnie petrolifere e l’UNRAE (Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri) si riuniscono a Roma e si accordano per far scendere il contenuto di piombo a 0,15 g/l già a partire dall’anno successivo, fissando nel contempo la data di morte della rossa: il 1° Gennaio 2002. Nel corso dei lavori viene utilizzato lo studio di una commissione intergovernativa che, fin dal 1985, evidenziava come il prodotto ottimale dal punto di vista della convenienza energetica ed economica fosse una “verde” con NO pari a 95.

 

LA “SUPERPLUS”, QUESTA SCONOSCIUTA

I legislatori stabiliscono anche l’arrivo, entro il 2001, della verde “premium” a 97÷98 ottani (di solito chiamata SuperPlus) in grado di rimpiazzare la rossa. E qui i destini dei vari Paesi, come spesso accade in Europa, si dividono. In alcuni Paesi, come Germania e Svizzera, le Compagnie petrolifere trovano un mercato ricco sia di disponibilità economiche sia di premure verso l’ambiente e accelerano l’introduzione della SuperPlus, che sostituisce la rossa nei distributori ben prima della fatidica data del 1° Gennaio 2002. In Italia questo non accade e la rossa continua a sgorgare dagli oltre 30.000 distributori nazionali. A questo punto, però, le Compagnie ritengono troppo oneroso investire per differenziare nuovamente il mercato e rinunciano a introdurre la SuperPlus adducendo la motivazione che le automobili in circolazione, ormai, sono universalmente dotate di sensori anti-battito in testa, che modificano l’anticipo in base al NO della benzina in modo da evitare detonazione e con seguenti problemi meccanici. Sono gli anni degli eco-incentivi alla rottamazione e l’euforia per lo svecchiamento del parco circolante fa passare sotto silenzio le esigenze delle auto storiche, che per numero e chilometraggio incidono in misura minima sull’inquinamento complessivo ma che pure hanno la loro indiscutibile dignità e il diritto di continuare a funzionare. A questo punto inizia la confusione. Gli appassionati si trovano presi un po’ alla sprovvista: le Compagnie intensificano la produzione e promozione degli additivi in grado di elevare il NO, ma i pareri si dividono fra chi li ritiene indispensabili per evitare danni irreparabili al motore e chi li boccia come pretesto per spillare soldi con prodotti che male non fanno, ma nemmeno servono. Intanto, nel 2000 Shell rompe gli indugi e immette sul mercato la V-Power, una benzina con NO pari addirittura a 99. E una seconda benzina ad alto contenuto ottanico (la Plus 98) è proposta da qualche mese a questa parte anche da IP. Questo è il panorama dell’offerta dei distributori italiani ad oggi. Non è particolarmente varia, ma possiamo già anticipare che non comporta rischi per le storiche. Vediamo perché.

 

AROMATICI, SALI E ALTRI ADDITIVI

Per ottenere una benzina ad alto numero di ottano ci sono due strade. La prima è l’impiego di componenti più leggere e pregiate. Ma hanno elevato NO anche i composti aromatici, che rappresentano circa il 40% in massa della benzina e tra i quali si annovera il benzene, già da tempo riconosciuto come sostanza tossica e decurtato dalle benzine. La seconda strada per elevare il NO è, più semplicemente, l’additivazione con sostanze anti-catalitiche che inibiscono la detonazione, di solito interrompendo le reazioni di pre-fiamma. Le prime sostanze di questo tipo ad essere impiegate sono stati i sali di piombo, particolarmente efficienti ma anche dannosi per la salute (il piombo emesso dallo scarico si deposita nel sangue causandone il progressivo avvelenamento). In tempi più recenti si sono dunque cercati sostituti non tossici e fra questi ha prevalso l’MTBE, sul quale però non tutti gli esperti sono d’accordo (sembra che abbia tendenza a depositarsi nelle falde acquifere). L’MTBE fa parte della famiglia dei composti ossigenati, aventi alto NO e quindi in grado, quando mescolati alla benzina, di elevarne il NO complessivo. Tra tutte queste sostanze, i sali di piombo sono gli unici ad avere tra i loro “effetti collaterali” anche benefiche proprietà lubrificanti: la loro molecola tende infatti a depositarsi in uno strato sottilissimo sulle superfici metalliche, e la sua forma sferoidale determina una riduzione degli attriti oltre ad inibire il deposito di residui carboniosi. Proprio di quei residui, cioè, che creando i temuti “punti caldi” nelle zone in cui il motore è soggetto a forte stress termico innescano il dannosissimo fenomeno dell’autoaccensione. La protezione da questi depositi è dunque di primaria importanza soprattutto nei punti, come la zona delle valvole, non raggiunti dall’olio di lubrificazione. Uno dei problemi più frequentemente segnalati dopo il passaggio dalla rossa alla verde fu proprio il cedimento delle sedi delle valvole di scarico (quelle soggette alle maggiori temperature) sui motori più anziani: un fenomeno più accentuato nei motori ad albero a camme in testa, perché il tipo di azionamento tende a far “ruotare” maggiormente la valvola rispetto a quello ad aste e bilancieri, facendole progressivamente smerigliare la propria stessa sede. La portata del fenomeno è stata però molto ridimensionata successivamente grazie alla migliorata formulazione della verde. Inoltre, è stato dimostrato che i depositi dei sali di piombo hanno un’elevata persistenza sulle pareti a cui aderiscono: di conseguenza bastano i chilometri percorsi dal veicolo storico nel corso della sua giovinezza per garantire una protezione sufficiente per tutta la vita, perlomeno per le percorrenze normalmente richieste. E’ la stessa ragione per cui i veicoli alimentati a metano o GPL non hanno mai evidenziato particolari problemi: i pochi km percorsi a benzina bastavano per far formare lo strato protettivo. Altri punti a rischio sono le parti in gomma, nei confronti delle quali la benzina verde può risultare più aggressiva. Ma si tratta di parti di basso costo e facile reperibilità, che si possono sostituire con gomme nuove (è anzi consigliabile farlo comunque, almeno per le parti non in vista, dato che l’invecchiamento delle gomme è un fenomeno inevitabile).

 

A VOLTE IL PROGRESSO PUÒ ESSERE ECCESSIVO

Oggi, i materiali e le tolleranze di lavorazione consentono di ottenere una tenuta impeccabile anche nei punti maggiormente sollecitati e delicati del motore, il cui consumo di olio si è ridotto praticamente a zero. Sui motori storici, invece, un po’ d’olio trafila spesso: ed è meglio così, perché proprio questo leggero “passaggio” di lubrificante garantisce una lubrificazione sicura anche in presenza di benzine particolarmente “secche” come la Shell V-Power. A volte, addirittura, nel revisionare un motore i meccanici compiono dunque un percorso inverso a quello dei loro predecessori, introducendo in determinati punti valori di “gioco” superiori a quelli che le odierne tecnologie consentirebbero: per esempio, per fare in modo che la tenuta dei gommini delle guide valvole non sia assolutamente perfetta, accade che li sostituiscano con altri leggermente più larghi o, addirittura, che tolgano l’anello metallico di tenuta (le guide valvola anteriori al 1960, realizzate di solito in bronzo invece che in ghisa, non hanno problemi di lubrificazione di sorta). Per quanto riguarda i segmenti, da almeno 15 anni tutti i pistoni hanno almeno il primo segmento cromato (adatto alla verde), disponibile anche a ricambio. Insomma i motori più vecchi, essendo anche più “unti,” tendono a proteggersi da soli: basta lasciare, in sede di registrazione, qualche centesimo di mm di tolleranza in eccesso piuttosto che in difetto. Qualche problema in più può venire dai motori della prima metà del secolo oppure raffreddati ad aria (FIAT 500, Wolkswagen Maggiolino), perché scaldando molto sono anche più inclini a detonare, specialmente nella stagione calda. I rimedi sono però semplici: potendo rinunciare a qualche cavallo, è facile ridurre il rapporto di compressione, adottando per la testa una guarnizione più spessa. Ancora più semplice è ritardare di qualche grado l’anticipo, un intervento che garantisce un funzionamento più “freddo”.

 

QUANDO L’ADDITIVO E’ DAVVERO NECESSARIO

Nei suoi ultimi anni di vita la qualità generale della rossa, di fatto abbandonata dai petrolieri, era scesa parecchio: sicché è accaduto persino che motori che battevano in testa con la rossa siano miracolosamente guariti con la tanto vituperata verde 95. Nella maggioranza dei casi, si può insomma tranquillamente usare la verde. I casi in cui questa benzina non è indicata sono pochi, fondamentalmente i due estremi dello spettro delle automobili d’epoca: le corse, in cui si arriva al limite delle possibilità dei motori, e le utilitarie. Qualche rischio in più lo si può correre infatti, paradossalmente, proprio in quest’ultimo caso, perché i mezzi utilitari di grande diffusione sono anche (con rare eccezioni) costruiti in economia e utilizzando materiali di minor pregio. Questi motori, specialmente se anteriori al 1950 e raffreddati ad aria, trarranno beneficio dall’uso di un additivo: ogni quattro o cinque pieni se si sceglie un prodotto da usare saltuariamente, a ogni pieno se invece si preferisce un prodotto da usare con continuità (gli additivi si possono dividere infatti in due grandi “famiglie”: i “saltuari” e gli “abituali”, e le istruzioni per l’uso sono sempre espresse con molta chiarezza sulle confezioni). Se il veicolo percorre molti km, di tanto in tanto si può anche fare qualche pieno di V-Power (la Shell consiglia una percorrenza di almeno un migliaio di km), che rimuovendo i residui carboniosi (come verificato da Automobilismo nel test pubblicato sul numero /2000) elimina i punti caldi. Ma nel complesso dalla verde non c’è nulla da temere: anche le voci secondo cui nei veicoli non catalizzati la verde inquinerebbe ben più della rossa erano legate alla composizione delle prime verdi comparse sul mercato, ancora molto ricche di benzene per tenerne alto il NO. Oggi che il benzene e gli aromatici sono scesi drasticamente, la verde è meno nociva della rossa per la salute: nostra e delle nostre auto.

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