di Francesco Pelizzari - 10 January 2020

Il signor... "Un Altro"

Il futuro tre volte campione del mondo di Formula 1 disputa le prime gare con un semplice quanto criptico pseudonimo: "An Other". Così compare negli elenchi iscritti dei meeting all'aeroporto di Charterhall, in Scozia; guida un'auto tutta di legno, una Marcos GT costruita da Jem Marsh e Frank Costin con tecniche aeronautiche: questa che abbiamo fotografato. Interessantissimo il restauro - Foto Alberto Cervetti e Graham Gauld

È il 24 settembre 1961: a Charterhall, in Scozia, si tiene un race meeting. Charterhall è uno dei tanti aeroporti della Royal Air Force disseminati sul territorio del Regno Unito, usato durante i due conflitti mondiali, da cui è stato ricavato un circuito automobilistico. La pista di decollo è il rettilineo di partenza, i raccordi dell’aeroporto creano cinque curve, di cui una molto veloce. La gara fa parte del calendario del Trofeo Autocar, famosa rivista britannica che all’epoca organizza numerosi fine settimana “corsaioli”, a cui sono iscrite decine, centinaia, di automobili; e i piloti della domenica spesso si trovano a battagliare con gente piuttosto conosciuta. Come Jim Clark, per esempio, iscritto quella volta con un’Aston Martin DBR-1, come quella che due anni prima ha vinto la 24 Ore di Le Mans con Carroll Shelby. E magari qualcuno di quelli che in quella domenica si ritrova come avversario il futuro campione del mondo di F1corre con lui diventerà famosa. Scorrendo l’elenco iscritti, l’occhio cade su quella che appare come una vera curiosità. C’è un’automobile, nella classe “GT fino a 1100 cc”, iscritta dal concorrente B. O. Filer; il conduttore è segnalato come “A.N. Other”. È chiaramente uno strano pseudonimo, che peraltro compare anche in un’altra classe, ben più impegnativa: quella delle Sport, dove una Cooper Monaco è iscritta da un concorrente assai noto, l’Ecurie Ecosse; anche qui, il conduttore è “A.N. Other”. Nella classe inferiore, l’auto è indicata semplicemente come “Marcos”. Dietro quel nome, destinato a diventare famoso, si cela una storia che ha del sensazionale: quella di un’automobile da corsa tutta di legno.

Guerra

Facciamo un passo indietro di una ventina d’anni, all’inizio della seconda guerra mondiale. Dopo aver messo sotto scacco e dominio buona parte dell’Europa, la Germania nazista ha come obbiettivo l’Inghilterra. In caso di conquista dell’isola britannica, avrebbe campo del tutto libero anche sull’Oceano Atlantico. Ma Hitler, nonostante abbia l’asso nella manica delle V1 e V2, le bombe volanti con cui colpire Londra e le altre città, deve comunque portare uomini sul territorio del Regno Unito. In poche parole, deve conquistare l’isola. La “Battaglia d’Inghilterra” sarà uno degli episodi principali della seconda guerra mondiale: grazie al valore di giovani uomini ai comandi dei caccia Spitfire e Hurricane, nei mesi dal luglio all’ottobre 1940 i cieli sopra l’Inghilterra, il canale della Manica e la Francia, diventano il teatro della prima battuta d’arresto per i nazisti. Gli aerei e i piloti inglesi hanno avuto la meglio. E l’avranno anche in seguito, nella lunga campagna militare sul territorio europeo, cui l’Inghilterra darà ancora un grande contributo in termini di uomini e mezzi, tra cui il De Havilland Mosquito, caccia bombardiere bimotore fatto di legno, velocissimo e molto versatile.

L’aeronautica è un fiore all’occhiello della Gran Bretagna, e quelle conoscenze saranno messe a frutto anche nell’automobilismo. Oltremanica sanno volare e sanno lavorare il legno allo scopo. D’altro canto la storia recente d’Inghilterra è fatta di un’economia rurale, sviluppata ai massimi livelli dalla rivoluzione industriale e dalla macchina a vapore. Il contrario dell’Italia, dove quel poco di industrializzazione dell’agricoltura ha portato i contadini a evolversi in meccanici, quando il motore ha sostituito il bue. In Italia la cultura applicata all’automobile è quella del primato del motore (Alfa Romeo, Maserati, Ferrari), che in Inghilterra è quasi un accessorio di leggerezza e aerodinamica. Questa storia ne è un bellissimo esempio.

Chapman

Nel 1957 Colin Chapman presenta al Salone di Londra la Lotus Elite, una innovativa coupé sportiva a due posti che si distingue per l’innovativo telaio monoscocca in fibra di vetro, a cui sono imbullonati l’avantreno e il motore (sorretti da un telaietto in acciaio) e il retrotreno; le sospensioni sono tutte a ruote indipendenti. La macchina è spinta da un piccolo motore Climax a quattro cilindri di soli 1,2 litri (peraltro da ben 75 Cv circa) ma ha prestazioni da vera GT grazie all’efficace telaio ed all’impianto frenante a quattro dischi, oltre alla leggerezza: poco più di 500 kg a vuoto, per un rapporto peso/potenza quasi imbattibile. In breve diventa l’auto da riferimento della propria categoria, con numerose vittorie, tra l’altro, alla 24 Ore di Le Mans, e monopolizza le classifiche nelle tante gare dei fine settimana inglesi. La forza della Elite sta nel progetto, nel fatto che Chapman, non avendo a disposizione una meccanica possente come i rivali italiani, si ingegna per sfruttare al massimo quello che ha. E per concretizzare le sue idee, si rivolge a fornitori esterni: per la fibra di vetro, per esempio, stringe un accordo con la Piper, nota ditta aeronautica che costruisce aerei da diporto e commerciali. Il loro rapporto poi rischiò di far fallire entrambi perché alla Lotus serviva un tipo di vetroresina molto resistente, al pari del metallo, e non deliberava mai quello che Piper gli forniva, creando un circolo vizioso perché la ditta aeronautica d’altra parte non riceveva i pagamenti. Alla fine, per la scocca della Elite la vetroresina fu fornita dalla Bristol Aeroplane Company. La Elite è stata l’auto di riferimento per i gentleman driver, allora come oggi nelle gare per auto storiche nel gruppo F: è leggera, maneggevole, potente il giusto, relativamente facile da guidare, ha un nome, una storia e una tecnica interessanti.

(L'articolo completo su Automobilismo d'epoca dicembre 2019-gennaio 2020 in edicola)

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