di Luca Gastaldi - 25 April 2023

Romano Artioli: passione ambiziosa

Un racconto di Romano Artioli e di quando gli venne in mente di far rinascere la “Marque”. Un sogno d’infanzia divenuto realtà e terminato tra mille ostacoli, non prima di aver mostrato progetti d’avanguardia. Come la berlina-coupé e la supersportiva a metano

Romano Artioli nasce a Moglia, in provincia di Mantova, il 5 dicembre del 1932. E’ l’uomo che, alla fine degli anni Ottanta, portò il marchio Bugatti in Italia facendone rinascere la produzione automobilistica. La storia è lunga e intricata, ed è lo stesso Artioli a raccontarla svelando i retroscena più interessanti.

Prima di tutto, volevamo scoprire se dietro un’avventura simile c’è stata solo l’iniziativa di un imprenditore o se il marchio Bugatti ha significato per Artioli qualcosa di più…

In realtà - ammette subito Artioli – rimasi folgorato dal mondo Bugatti quando avevo 12 anni, leggendo un libro di notte. Ho scoperto chi fosse e cosa avesse fatto Ettore: l’adozione delle 4 valvole in testa per cilindro, ad esempio, inclinate e comandate da un unico albero a camme. Un miracolo per la tecnica dell’epoca. Parliamo del 1914. Ha imparato da apprendista e a 20 anni ha costruito la sua prima automobile, vincendo il primo premio al concorso per automobili e cavalli di Milano alla Fiera del 1901. Sono stato affascinato da tutte le sue intuizioni tecniche, dalla qualità dei suoi prodotti. Anche per Enzo Ferrari Bugatti era un maestro da seguire, ed io sarei andato in ginocchio a conoscere un personaggio del genere.”

Da quel momento, Bugatti è diventato un vero obiettivo per Artioli. E – coincidenze della vita – l’anno di inizio dell’attività professionale di Artioli, il 1952, è stato lo stesso in cui la Bugatti ha chiuso i battenti. “Per me fu uno shock – ricorda Artioli – ma è stato in quel momento che il mio ‘obiettivo’ si è impresso ancora più chiaro nella mia mente: la Bugatti, un giorno o l’altro, sarebbe rinata.”

Dalle Ferrari alla Suzuki

Artioli, trasferitosi a Bolzano durante la seconda guerra mondiale, ha aperto quello che diventerà negli anni il celebre Garage Mille Miglia. “Con l’aiuto di mio fratello comprai all’asta una BMW cabrio – prosegue Artioli – che subito rivendetti per comprare un banco prova. Sono stato il primo ad averlo nella regione. I motori revisionati da noi duravano 3 volte di più rispetto a quelli Fiat dell’epoca. I primi 6 mesi avevamo 4 operai, dopo il primo anno arrivammo a 18. Lavoravamo come dei matti, giorno e notte, riparando auto, vendendole, facendo i recuperi con il carro attrezzi”.

L’azienda si ingrandì presto vendendo Alfa Romeo e Opel. Artioli divenne anche presidente del locale Automobile Club.

Poi si aprì una bella parentesi firmata Ferrari. “Verso la fine degli anni Settanta cominciammo a fare assistenza alle vetture di Maranello, quelle che transitavano da Bolzano per andare in Germania. Abbiamo presto conquistato la fiducia di molti clienti. Così allacciai rapporti con Ferrari, fino a diventare il riferimento per il mercato tedesco. Ho fatto promozione insieme a Niki Lauda e poi ho iniziato a fare tutti i manuali tecnici in tedesco. Abbiamo decuplicato il mercato da 65 a 650 macchine vendute. Alla fine, subentrata la Fiat, il nostro contratto è stato sciolto.”

Dalle grandi modenesi alle piccole giapponesi. “Dal 1985, con la Autexpò, siamo riusciti a fare un bel lavoro con la Suzuki - spiega Artioli -. Con 20.000 auto importate all’anno, la Suzuki è stata la prima marca giapponese in Italia.”

Ed ecco che il sogno Bugatti si affaccia sempre più all’orizzonte.

“Per la Bugatti non volevo fare un museo, ce ne sono tanti e ci sarebbero voluti 100 anni. Io volevo fare un centro di eccellenza ingegneristica per la progettazione di automobili. Per riuscire ad avere il marchio Bugatti sono andato in Francia almeno 100 volte. All’epoca era di proprietà dello stato francese. Finalmente, sono riuscito a convincere il ministro dell’Industria francese ad autorizzare l’acquisto Bugatti. Era il periodo in cui gli italiani stavano comprando molto in Francia, da De Benedetti agli Agnelli e Berlusconi. I francesi avevano paura per uno dei loro marchi simbolo. Presero tutte le informazioni necessarie per verificare il nostro passato, ma poi diedero il nullaosta. Arrivai al momento giusto per comprare, era la fine del 1988. Dovetti fondare una società in Lussemburgo, perché in Italia non si poteva comprare solo un marchio senza le fabbriche. I macchinari degli stabilimenti francesi erano stati portati via dai tedeschi durante la guerra”.

Nel 1992 la prima EB 110 GT

“La ELF era nostro sponsor – continua Artioli - ci dava olio e carburante gratis per le prove delle nostre auto. Ma avevamo bisogno di un altro partner. Presentammo la nostra attività a, Campogalliano (in provincia di Modena, ndr) a tutte le banche. C’era Credit Suisse capofila, ma di punto in bianco si ritirò. Di sicuro c’era qualcuno che ci remava contro”.

Nel 1989 nacque il Centro Culturale Ettore Bugatti di Ora (BZ), creato per proteggere il marchio: 2200 registrazioni a livello mondiale in ogni categoria per non far “scadere” il marchio stesso. Un lavoro incredibile. Nel 1990 fu inaugurata la fabbrica di Campogalliano e iniziò la produzione. “Ma abbiamo aspettato il 1991 per presentare le auto – sottolinea Artioli - in occasione dei 110 anni dalla nascita di Ettore Bugatti”.

Nel 1992 fu consegnata la prima EB110 GT, per la quale fu organizzata una grande manifestazione in Francia, con Alain Delon come testimonial. “Arrivarono 1450 giornalisti da tutto il mondo, i giapponesi avevano le lacrime agli occhi per l’emozione”.

Il telaio della EB 110 era realizzato in fibra di carbonio dalla francese Aerospatiale: robustissimo, con un carico incredibile. Il progetto EB110 decollò definitivamente: motore 12 cilindri sovralimentato, 5 valvole per cilindro, 570 CV (un record per una Gran Turismo), trazione integrale e cambio a 6 marce. Sulla pista di Nardò si ottenne un record di velocità, con una versione alimentata a metano da 660 CV per dimostrare che si poteva fare anche una supersportiva ecologica.

“Venivano quelli della Porsche, della Mercedes a visitarci – ricorda Artioli - era un progetto eccezionale. Doveva essere una macchina al top e così è stato e per questo Ferrari e Fiat non ci perdonarono”. Poi, nel 1992, nacque la versione Super Sport da 650 CV e 351 km orari: un aeroplano sulla terra.

Nel 1993, altra macchina: la EB112, berlina coupé a 4 porte, antesignana delle attuali Mercedes CLS e Porsche Panamera, con una storia dolorosa. Disegnata dall’Italdesign di Giorgetto Giugiaro, con telaio in carbonio e stessa meccanica della EB110, aveva motore aspirato da 6 litri: “Era molto più bella da guidare della 110 – sostiene Artioli - perché aveva il motore anteriore centrale, era persino più veloce in curva. L’ideale. Poteva essere guidata da tutti. Le sospensioni erano a bilancieri come in F1, fantastica. Giugiaro era affascinato dal progetto di realizzare una berlina ad alte prestazioni. Non era facile passare da una vettura super aerodinamica a una dalle forme arrotondate. Quello cui adesso tutti sono arrivati dopo 14 anni. Delegazioni di quasi tutte le Case vennero ad ammirarla: il presidente della Mercedes, persino il figlio dell’imperatore del Giappone con la moglie. Il colore era amaranto, un colore un po’ sportivo. Ne producemmo due esemplari”.

Ma la produzione non decollava. Tra il 1993 e il 1994 gli ordini c’erano ma non in quantità da permettere il pieno utilizzo della capacità produttiva dello stabilimento. Quando è stato dichiarato il fallimento bloccarono tutto, con debiti per un ammontare di gran lunga superiore a quello che era l’impegno con i fornitori.

Ci trovammo in un mare di guai perché avevamo esagerato. Io comunque sono contento, facemmo ripartire la Bugatti e oggi, dopo più di 100 anni, il marchio esiste ancora

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