Il genio italiano dietro la 2CV: anche il motore è “tricolore”

Non soltanto la linea, di Flaminio Bertoni: il bicilindrico si deve all’estro di Walter Becchia,
che peraltro prese ispirazione dalle moto per il raffreddamento e la disposizione razionale degli accessori
1/7 Il primo motore 375 cc
Cosa fa di una 2CV una 2CV? Molte cose: le sospensioni morbidissime a grande escursione, pensate per viaggiare anche dove la strada non c’è, poi il tetto in tela che con pochi gesti inonda l’abitacolo di luce e trasforma la berlina in cabriolet; ancora, gli originali fari anteriori che agli occhi dei bambini trasformano la 2CV in una grande “lumaca di latta”; infine, il rumore del motore, inconfondibile. Motore che, come la linea di Flaminio Bertoni, è frutto del genio italiano: quello di Walter Becchia.
Becchia emigrò giovanissimo, per la scarsa simpatia verso il regime fascista, trovando lavoro alla Talbot-Lago, dove ebbe modo di misurarsi con i complessi e prestazionali motori delle eleganti auto sportive di quel marchio. Notato dai vertici di Citroën, fu invitato a trasferirsi al quai de Javel già nel 1939, ma soltanto nel 1941 accettò l’incarico e fu assunto al Double Chevron.
Tra le ragioni che portarono all’ingaggio di Walter Becchia, c’era la necessità di dare un motore alla futura 2CV: per quella che ancora si chiamava TPV (Toute Petite Voiture), André Lefebvre aveva richiesto un bicilindrico “boxer”, che garantiva un ottimo bilanciamento, riducendo le vibrazioni tipiche del bicilindrico.
La TPV aveva già quindi il suo motore, di circa 350 cc, raffreddato ad acqua e montato in blocco con cambio e differenziale. A Becchia era affidato il compito di migliorarlo per consumi, affidabilità e potenza. Una sfida tutt’altro che semplice!

La moto di Bertoni
Becchia iniziò a lavorare in clandestinità, visto che durante l’occupazione tedesca di Parigi a Citroën era vietata ogni attività che non fosse quella di costruire e riparare camion e motrici. La svolta arrivò quando Becchia mise le mani sul relitto della moto personale di Flaminio Bertoni: una BMW R12 con cui lo stilista, nel 1940, aveva avuto un grave incidente.
Becchia smontò il motore, un boxer bicilindrico raffreddato ad aria, e ne esaminò con cura le parti, valutando pregi e difetti di quell’architettura. Prese spunto della tecnica di raffreddamento ma ritenne che i cinematismi fossero inadatti alla mole di una pur leggera autovettura e preferì progettarlo da zero, mantenendo l’asse a camme centrale dove dapprima calettò anche la dinamo, oltre al distributore con le puntine d’accensione. Una bobina a doppio effetto faceva scattare la scintilla contemporaneamente in tutti e due i cilindri ad ogni mezza rotazione del motore, semplificando così anche il sistema d’accensione, riducendo le componenti e le possibilità di guasto.
Dopo la liberazione di Parigi, con Bertoni arrestato in quanto cittadino italiano, ma presto liberato per intercessione della direzione Citroën, anche Becchia, pur dichiaratamente antifascista, fu messo sotto controllo e così non aveva accesso ai laboratori di Citroën dopo le sei di sera.
Il motore comunque fu pronto per la seconda metà del 1945, anche se lo sviluppo proseguì fino al 1948, anno di lancio della vettura, e poi fino alla fine della produzione nel 1990. Il motore “tipo A” di Walter Becchia era un 375 cc, con 9 Cv di potenza a 3500 giri, sufficienti per raggiungere i 60 km/h richiesti dal capitolato della 2CV consumando circa tre litri di benzina ogni cento km. In seguito la cilindrata passò a 425 cc, con potenza tra 12 e 18 Cv , fino all’apparizione di un motore riprogettato, nel 1970, nelle cilindrate 425 e 602 cc con potenza tra 26 e 29 Cv per una velocità di quasi 120 km/h.
Parco e affidabile, il bicilindrico Citroën progettato da Walter Becchia animò anche altre creature del Double Chevron, come le AMI, la Méhari, la Dyane e tutte le altre “derivate” della 2CV, ma fu utilizzato anche a bordi di altri veicoli: dai deltaplani ai mezzi militari a sei ruote della Poncin.
www.citroen.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA