Lancia Aurelia B20, prima delle classi

Le varie evoluzioni la costrinsero a competere perfino nella classe Sport, contro le barchette modenesi. Come alla 1000 Miglia del ’53, dove questo esemplare giunse 41° su 481 partenti. Auto di principi e attori, vinse l’assoluta in alcune delle gare più importanti dell’epoca

INTRO

La stupenda Lancia Aurelia GT che vi presentiamo ha un importante trascorso agonistico. Non è di una delle sette B20 ufficiali che dominarono la stagione 1952 ottenendo la vittoria assoluta o di classe nel Giro di Sicilia, nella Mille Miglia, nella 24 Ore di Le Mans, nella Targa Florio e nella Coppa d’Oro delle Dolomiti. L’autore della trasformazione da corsa è Giancarlo Scotti, un gentleman driver fiorentino che come altri piloti privati non ebbe accesso alle  “magnifiche sette”. Cercò quindi di emulare le B20 alleggerite e potenziate, che la Lancia aveva affidato a Salvatore Ammendola, Enrico Anselmi, Felice Bonetto, Giovanni Bracco, Luigi Fagioli, “Ippocampo” (Umberto Castiglioni) e Gino Valenzano. Ognuno di essi aveva immatricolato a proprio nome l’esemplare affidatogli con la targa della sua provincia di residenza. Infatti, la Casa non voleva pubblicità sulla partecipazione ufficiale alle competizioni: l’immagine della vettura doveva essere soprattutto quella della veloce e confortevole Gran Turismo che aveva debuttato per la gente del bel mondo il 2 aprile del 1951, quando l’Aurelia B20 debutta al salone di Torino con il suo magnifico V6 (una primizia assoluta) da due litri progettato dall’ingegner de Virgilio; inizialmente i posti previsti nell’abitacolo sono soltanto tre, sul divano anteriore (cosa permessa dal comando del cambio sotto il volante) ma, ben presto, si passa alla definitiva configurazione 2+2 che la consacra finalmente mamma di tutte le moderne GT: vetture di aspetto e prestazioni sportive ma capaci di offrire grande comfort agli occupanti.

 

Sull’autore della sua linea senza tempo c’è un piccolo giallo, che a tutt’oggi ne rende incerta l’identità: posto che è fuor di dubbio che la B20 sia stata prodotta da Pininfarina (salvo 98 esemplari della prima serie, costruite da Viotti) è diventata opinione comune che egli ne sia anche l’autore. A questa tesi, certamente non peregrina vista la similitudine con altre sue creazioni del periodo (fine anni ‘40), si contrappone una dichiarazione di Felice Mario Boano che ne rivendica la paternità ai tempi della sua collaborazione con la Ghia. Noi ci permettiamo di propendere per questa seconda ipotesi anche perché (è soltanto un indizio, sia chiaro) lo stemma della Pininfarina non è quasi mai apparso sulla carrozzeria delle B20 mentre, al contrario, non manca in alcun’altra creazione del Maestro torinese.

SPORTIVA DI RAZZA

Comunque sia, l’Aurelia B20 è un enorme successo e viene declinata in sei serie consecutive che diventano la scelta “obbligata” della clientela più raffinata, che considera le più prestanti Ferrari e Maserati troppo scomode e vistose. A titolo di esempio, basti il nome del principe Ranieri III di Monaco.

 

D’altronde, nell’impiego di tutti i giorni, la capacità di divorare la strada dell’Aurelia non è molto inferiore a quella di una Ferrari; per convincersene, basta guardare il palmarés sportivo di questa straordinaria automobile che riporta, tra le altre, l’assoluta prodezza del secondo posto assoluto alla Mille Miglia del 1951, con Bracco-Maglioli dietro alla Ferrari 340 (4,1 litri) di Villoresi. Partenza col botto, quindi, seguita nel giugno dello stesso anno da vittoria di classe e dodicesimo posto assoluto alla 24 Ore di Le Mans, sempre con Giovanni Bracco al volante, questa volta in coppia con il giornalista conte Giovanni Lurani.

 

Tali prestazioni non potevano essere prive di risonanza presso la Casa: già dal 1952, anno di nascita della seconda serie della B20, Gianni Lancia decide di allestire, per la squadra ufficiale, i sette esemplari nella citata versione “corsa”, molto modificata rispetto a quella in vendita ai clienti, tanto da presentare la coda arrotondata simile a quella che verrà adottata dalla terza serie in poi. Come si è visto, la stagione 1952 è ricca di soddisfazioni, con il terzo e il quinto posto alla Mille Miglia, il sesto a Le Mans e il quarto nella Carrera Panamericana.

 

Nel 1953 la cilindrata, aumentata a 2,5 litri, costringe le B 20 a confrontarsi in una classe più impegnativa, in particolare con le sempre più competitive Ferrari, magari meno agili e sofisticate telaisticamente ma spinte dai poderosi V12; i risultati migliori, pur sempre di grande prestigio, sono la vittoria assoluta alla Liegi-Roma-Liegi e alla Stella Alpina con il contorno dei soliti lusinghieri piazzamenti alla Targa Florio (4a e 7a assoluta), alla Milla Miglia (7a e 11a), al Giro di Sicilia (2a) e alla Coppa delle Dolomiti (6a, 7a e 8a).

 

Dal 1954 questi ritmi si fanno sempre più difficili; tuttavia, una B20 ufficiale guidata da Louis Chiron in coppia con Ciro Basadonna vince il Rally di Montecarlo. Dopodiché saranno sempre più le auto dei privati a vincere per un po’, per quanto in manifestazioni via via meno importanti: la gloria è comunque assicurata ed imperitura.

IL MODELLO DI SERIE

Torniamo alla storia del modello di serie riprendendo dalla seconda serie che, nel marzo del 1952 e dopo cinquecento esemplari esatti, prende il posto della prima, dalla quale si differenzia in sostanza per i paraurti privi dei rostri e il nuovo cruscotto a due elementi con il contagiri, assente sulla prima serie; il motore, sempre due litri, ha ora 5 CV in più, grazie all’aumento del rapporto di compressione, per un totale di 80 CV.

 

Nella primavera del 1953 arriva la terza serie con il motore 2,5 litri da 118 CV e coda arrotondata; oltre alle caratteristiche codine, questa serie perde anche le “conchiglie” sui cristalli dei fari anteriori; leggermente più lunga della precedente, è anche più pesante di una cinquantina di kg. Il Salone di Torino 1954 è l’occasione del debutto della quarta serie, caratterizzata dal retrotreno “De Dion” e, modifica immediatamente visibile, dai cristalli verdi. È ora possibile avere la B20 con guida a sinistra (pochi la sceglieranno) mentre all’interno si assiste a un deciso ammodernamento, attraverso volante e pomelleria di colore nero anziché crema; sulla bilancia si sommano altri 50 kg circa.

 

A questo punto della storia siamo giunti al momento in cui l’appassionato Gianni Lancia, depauperato dalla sua passione per le competizioni, è costretto a vendere l’azienda all’industriale del cemento Gianpiero Pesenti, il quale si dimostra assai meno interessato allo sport. I periodici aggiornamenti sulla B20 risentono di questo cambio al vertice, come pure dell’intervento del nuovo direttore tecnico Lancia, Antonio Fessia, ancor più nemico delle corse di Pesenti.

 

Ecco quindi l’imborghesita (potenza ridotta da 118 a 110 CV) ma splendida quinta serie, portatrice di modifiche finalizzate soltanto al miglioramento dell’uso stradale e, vorremmo dire, famigliare vista la nuova panchetta posteriore molto più comoda, almeno per un paio di ragazzini. Ci sono anche altre modifiche: un magnifico volante sportivo a tre razze in alluminio con corona in legno, il comando avviamento con chiave, il lunotto ingrandito e importanti migliorie al riscaldamento. L’unica modifica meccanica viene dal potenziamento dei freni anteriori, reso ancora più urgente dall’ulteriore aggravio di peso (circa 60 kg) che comporta l’adozione di cerchi ruota ridisegnati.

 

La sesta serie, nel 1957, è praticamente un’appendice nella storia dell’Aurelia che continua ad essere molto richiesta nonostante l’imminenza del lancio della Flaminia destinata a succederle; e che appendice... Ancora più lussuosa, si distingue per la presenza dei deflettori ai cristalli laterali e per i nuovi anelli satinati alle ruote, vede la potenza risalire a 112 CV e si presenta quasi sempre con la guida a sinistra che rende più facili i frequenti sorpassi che questa GT, ormai a tutte lettere cubitali, consente.

LA SERIE COMPLETA

Esaminando la velocissima disamina che precede, si capisce, tra tante versioni e cotanta automobile, quanto sia difficile individuare la miglior B20 da possedere. Si può così capire come, non riuscendo a trovare una soluzione, un appassionato emiliano abbia deciso, negli anni in cui per farlo non era ancora necessario essere il cugino più ricco di Paperone, di acquisirle passo passo tutte e sei. Della sua collezione fa parte la seconda serie di queste foto, che ha una storia molto interessante.

 

Acquistata dal nostro amico a Forlì nell’autunno del 1976, in seguito alla segnalazione del mai abbastanza ricordato Giorgio Guiduzzi, commissario ASI della prima ora e vero maestro per tutti coloro che lo hanno conosciuto, subito essa gli manda messaggi stuzzicanti: strumentazione supplementare centrale (nel vano autoradio) e cambio al pavimento fanno pensare a un uso agonistico in qualche periodo della vita di questa vettura. In quel momento l’auto si presenta in allestimento stradale, con i suoi bravi paraurti e i cristalli discendenti alle porte; ma del suo corredo fanno parte due strane porte in alluminio con maniglia verticale e vetri in plexiglas scorrevoli. E ci sono anche due enormi prese d’aria sui freni anteriori, apparentemente inutili perché, ad un primo esame, non si capisce in che modo potessero rifornirsene.

 

Così, per il momento questa Aurelia finisce in garage, con la convinzione che abbia gareggiato in gare di secondo piano, come accadeva spesso in quella terra dei motori che è l’Emilia Romagna, mentre le porte aggiuntive sono accuratamente stivate sullo scaffale dei ricambi.

LA 522

Dopo un salto temporale di una trentina d’anni, durante i quali l’unica emozione forte è il cambio di targa da FO 43518 a BO 677145, si arriva al 2005, quando l’allora Presidente del Registro Aurelia Italiano, Francesco Gandolfi, si imbatte al Salone di Padova in un collezionista inglese possessore di svariate fotografie di Aurelia ritratte in gara nei primi anni ‘50.

 

Acquistate le foto in blocco, la sua attenzione è catturata in particolare da quella di una B20, con il numero di gara 522, ritratta durante una sosta della Mille Miglia che, in un primo tempo, si crede quella del 1952: sono proprio le porte a incuriosirlo, perché egli le aveva viste in possesso del collezionista e amico di cui parliamo. Nasce più di un presentimento e, con il numero di targa ben visibile, è facile ottenere un estratto cronologico dal quale emerge che la FI 63719 della foto e la BO 677145 sono la stessa auto.

 

Da appassionati non ci è difficile immaginare l’emozione scatenata nell’animo del proprietario da una tale scoperta che ha immediate conseguenze: una volta verificato che, oltretutto, l’auto monta ancora lo stesso motore punzonato alla partenza della Mille Miglia 1953 (non poteva essere quella del 1952 in quanto l’auto risulta finita di costruire il 29 agosto) si procede a rimontare le porte “agonistiche”, a rimuovere i paraurti e ad una rinfrescata generale alla vernice, giusto in tempo per esporre la vettura così configurata al Museo Bonfanti in occasione della mostra “Aurelia, sintesi di un secolo di Lancia” tenutasi nel 2006.

 

Rimane da indagare sulle prese d’aria dei freni che, finalmente, guadagnano un senso dalle feritoie ovali visibili nella foto “incriminata” sul muso della macchina: è quasi superfluo segnalare che è bastata un’attenta ispezione dall’interno per trovare le saldature dei “coperchi” usati per richiuderle: rimossi quelli e ripristinata la reticella di protezione il gioco è fatto. L’auto torna uguale a quella che era in quella indimenticabile notte della fotografia.

 

Una notte che precedette il giorno glorioso in cui la Lancia Aurelia B20 II serie, scocca n. 00881, telaio n. 1877, motore n. 1988, guidata da Gian Carlo Scotti e Gianfranco Pierattelli taglia il traguardo di Brescia al quarantesimo posto assoluto (su 481 partenti) e settimo della classe Sport Internazionale fino a due litri risultando, inoltre, la più veloce tra le Aurelia al “Via!”; interessante da notare è il numero di gara 522, testimonianza dell’orario tardo di partenza (le 5,22 del mattino) tipico delle Sport.

 

Oggi che ci troviamo al cospetto di questa vettura, protagonista di una storia come questa, e che possiamo ascoltare la melodia del suo equilibratissimo motore mentre passa davanti al fotografo, mettendosi in posa, orgogliosa delle proprie prodezze giovanili e visibilmente grata a chi l’ha riscoperta e conservata con tanto amore, diventa proprio difficile trasmettere la profondità delle nostre emozioni: non ci proveremmo neppure se non sapessimo che siamo accomunati, con chi ci legge, dalla stessa passione. 

MECCANICA DI ALTA SCUOLA

La meccanica dell’Aurelia B20 GT è innovativa e raffinata. Il motore, sviluppato da Vittorio Jano e dall’ing. Francesco De Virgilio, è un vero gioiello della tecnica. È stato il primo V6 al mondo perché prima si riteneva impossibile risolvere il problema dell’equilibratura con un’architettura simile. De Virgilio, con la supervisione di Vittorio Jano, scelse un angolo di 60°, quindi disegnò un albero con le manovelle sfasate di 60° secondo un’elica destra. Ottenne così una buona equilibratura, con il vantaggio aggiuntivo dei flussi d’aspirazione e di scarico regolari. La lavorazione del particolarissimo albero motore divenne un capolavoro delle officine Lancia, che lo ricavavano “dal pieno”, ovvero asportando il materiale in eccesso da un intero lingotto d’acciaio. Il monoblocco, altra novità, era in alluminio fuso in conchiglia. Le teste erano anch’esse in alluminio, fuse in conchiglia nella parte esterna. Un particolare sistema di bilancieri permise un angolo incluso fra le valvole idoneo a creare camere di scoppio di buon rendimento. Originale, e come tale brevettato, debuttò anche il tendicatena idraulico della distribuzione.

 

Il motore, nato con la cilindrata di 1750 cc per l’Aurelia berlina B10, fu maggiorato a due litri per la berlina B21 che doveva meglio opporsi all’Alfa Romeo 1900. Meccanicamente la GT non si scostò dalla berlina B21 dalla quale prese il motore, il cambio posteriore in blocco col differenziale, le sospensioni posteriori “pendolari” e l’avantreno. Nella II Serie De Virgilio modificò i castelletti dei bilancieri per ottenere più potenza. Gianni Lancia, ormai preso dal démone delle corse, fu contento a tal punto che offrì al tecnico una gratifica eccezionale.

 

Nella III Serie debuttò il motore 2500 con le teste e il blocco cilindri ricavati da nuove fusioni. La potenza toccò i 115 CV, poi aumentò a 118 CV, perciò i tecnici allungarono il rapporto al ponte e aumentarono la capacità del serbatoio. Infine potenziarono i freni, vista la velocità massima ormai di 185 km/h. Con la IV Serie il motore adottò le bronzine a guscio sottile mentre il retrotreno subì una modifica radicale passando dallo schema pendolare al De Dion. La potenza frenante aumentò ancora e aumentò anche il peso. Sia per i 50 kg in più, sia per limitare le prestazioni ormai giudicate troppo elevate, i tecnici accorciarono il rapporto di trasmissione. Il cammino verso una meccanica meno “rabbiosa” continuò nel 1955, quando debuttò la V Serie con il motore depotenziato a 110 CV, la frizione a comando idraulico e il cambio migliorato nei rapporti e nella manovrabilità. Giunti universali rimpiazzarono quelli in gomma e i freni anteriori diventarono ancora più potenti e raffreddati tramite grandi prese d’aria.

 

Non tutti i clienti gradirono il depotenziamento, perciò nella VI Serie i tecnici rportarono la potenza a 112 CV con il rapporto di compressione di 8,4:1 e il carburatore Weber 40 DCL 5. Migliorarono anche il comfort, con una nuova taratura delle sospensioni, e la frenata, che adottò i tamburi della Flaminia, la cui versione GT poco dopo sostituì l’Aurelia B20. 

SCHEDA TECNICA

Lancia Aurelia B20 II serie (1952-53)

Versione standard

 

Motore

Tipo B20 6 cilindri a V di 60° Alesaggio 72 mm Corsa 81,5 mm Cilindrata 1.991 cc  Rapporto di compressione 8,8:1 Potenza massima 80 CV a 4.700 giri Coppia massima 14 kgm a 3.500 giri Indice di elasticità 1,54 Distribuzione ad albero a camme centrale, valvole in testa Alimentazione a due carburatori monocorpo Weber 32 DR 7 SP Lubrificazione forzata, carter umido Capacità carter olio 5 litri Raffreddamento ad acqua, circolazione forzata Impianto elettrico a 12V Dinamo 200 Watt Batteria 48 Ah

 

Trasmissione

Trazione posteriore Frizione monodisco a secco Cambio meccanico a quattro velocità posto al retrotreno Rapporti del cambio I: 2,86:1; II: 1,84:1; III: 1,24:1; IV: 0,86:1; RM: 3,61:1 Rapporto al ponte 9/40 Pneumatici 165x400 Cerchi in acciaio

 

Corpo vettura

Autotelaio a scocca portante Carrozzeria coupé due porte Sospensioni anteriori indipendenti foderi telescopici con all’interno molle elicoidali e ammortizzatori coassiali Sospensioni posteriori indipendenti con bracci diagonali, molle cilindriche, ammortizzatori idraulici sistema Armstrong Freni a tamburo a comando idraulico Sterzo a vite e rullo Capacità serbatoio carburante 60 litri

 

Dimensioni (in mm) e peso

Passo 2.660 Carreggiata anteriore 1.280 Carreggiata posteriore 1.300 Lunghezza 4.290 Larghezza 1.540 Altezza 1.360 Peso in ordine di marcia 1.050 kg

 

Prestazioni

Velocità massima 162 km/h Consumo carburante 11,5 litri/100 km Accelerazione 0-100 km/h 15,2 sec Accelerazione 0-1000 m 36,9 sec Ripresa 70-100 km/h in IV marcia 12,1 sec

 

Nota: i dati si riferiscono alla versione standard. L’esemplare fotografato è alleggerito e potenziato in misura non esattamente quantificata.

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