Golf GTD, il ruggito del gasolio

A inizio anni 80 una sportiva a gasolio è una scommessa. Ma la ricetta GTD funziona, grazie al cambio
di immagine, di forme e di filosofia costruttiva già adottato per l'omologa GTI. Il motore è brillante e la tenuta di strada sportiva
1/16 A inizio anni 80 una sportiva a gasolio è una scommessa. Ma la ricetta GTD funziona, grazie al motore brioso e alla tenuta. Le strisce nere sulle fiancate sono una piccola licenza in stile GTI.
La Volkswagen Golf è una di quelle auto che non ha bisogno di presentazioni. Il papà, un amico, un parente, la prima macchina su cui si è presa la patente, quella con cui si portano i figli a scuola: tutti prima o poi hanno avuto a che fare con una Golf.
Presentata nel 1974, la compatta di Wolfsburg è stata la vettura che ha salvato Volkswagen dopo una lunga serie di esperimenti falliti nel tentativo di sostituire il sempreverde Maggiolino, concepito “appena” quarant’anni prima. Possiamo dire che ci è riuscita in pieno: la prima generazione è stata prodotta in versione berlina dal 1974 al 1983, con carrozzeria cabriolet fino al 1993 e in Sudafrica, con la “Citi Golf”, addirittura fino al 2009.

Di forte ispirazione italiana

Facciamo un passo indietro. Siamo agli inizi degli anni Settanta, e in Volkswagen tira un’aria pesante; l’insuccesso degli ultimi modelli a trazione posteriore, antiquati per stile e tecnica, sommato alla crisi del marchio NSU, parte del gruppo VAG assieme ad Audi, ha portato alla peggiore crisi che l’azienda ricordi. Pericolosamente vicini al fallimento, i manager tedeschi giocano la loro ultima carta, cambiando completamente approccio e stravolgendo forme, immagine e filosofia costruttiva del marchio, fino ad allora legato alle meccaniche tutto dietro e alle forme morbide e rassicuranti del Maggiolino e sue derivate, con un prodotto innovativo, compatto, più leggero e dalle linee moderne, ispirato alla rivoluzionaria Fiat 128.
Ebbene sì, c’è stato un tempo, relativamente recente, in cui erano i tedeschi a copiare le auto italiane… Della berlina Fiat viene ripresa l’impostazione tecnica generale, con motore anteriore in posizione trasversale raffreddato ad acqua e trazione anteriore, e una meccanica completamente nuova, basata su motori in linea con albero a camme in testa e cinghia dentata, sospensioni anteriori McPherson e posteriori a ruote interconnesse.
Anche per il design del “vestito”, un mix di funzionalità, eleganza e pulizia formale, si guarda all’Italia: il progetto è affidato a Giorgetto Giugiaro che, rispetto alla classica disposizione tre volumi della 128, preferisce una più compatta e funzionale formula a due volumi con portellone, rendendo di fatto la Golf una vettura unica.
Sebbene meccanicamente e stilisticamente non ci siano novità assolute (ma alcuni dettagli, come il grosso montante posteriore, faranno scuola, ndr), la Golf è la prima a combinare trazione anteriore, distribuzione con albero a camme in testa, carrozzeria due volumi con portellone e sedili posteriori abbattibili, il tutto condito con uno stile moderno e piacevole e una qualità costruttiva degna di un’ammiraglia.
La nuova meccanica viene inoltre per buona parte condivisa con altri modelli del gruppo, sfruttando quindi le economie di scala e dando un’importante spinta verso il rimodernamento dell’intera gamma, dalla Polo alle Passat, ed estendendosi anche al marchio Audi.
Un segreto del successo Golf è l’estrema versatilità del progetto, a livello sia funzionale sia meccanico.
Inizialmente presentata in versione berlina due volumi a tre e cinque porte, due allestimenti, base ed “L”, due motorizzazioni (millecento e millecinque) e una vasta offerta di accessori e optional a integrare la scarna dotazione di serie, col tempo la Golf diventa un autentico banco prova per rimodernare vecchi concetti automobilistici o per sperimentarne di totalmente nuovi.
Per la sola Golf prima serie si passa nel giro di qualche anno dal piccolo motore 1043 cc fino alla soglia dei 1800, passando per 1.3, 1.5 e 1.6 benzina, dai quali derivano i 1.5 e 1.6 diesel, accoppiati a cambi a quattro e cinque marce e tutte le carrozzerie immaginabili: tre e cinque porte, berlina tre volumi, cabriolet, van e pick-up.
Stampa e pubblico premiano il nuovo modello, che si fa notare soprattutto per design, tenuta di strada e qualità costruttiva, e che dopo un solo anno dalla presentazione irrompe sul mercato con una versione che fa capire quali siano le reali intenzioni dei vertici di Wolfsburg: è la GTI, versione sportiva spinta dal motore 1600 da 110 CV trapiantato dall’Audi 80 GTE.
Una coraggiosa novità nel segmento delle compatte, capostipite di quello che nel decennio successivo diventerà un filone di successo, le famigerate “hot hatch” che spesso, oltre alla filosofia, dalla GTI erediteranno anche la sigla.
Dopo la presentazione, la casa delibera la produzione di cinquemila esemplari, che vanno esauriti in appena due mesi; il fenomeno è ormai innescato. Dopo alcuni aggiornamenti di dettaglio, nell’autunno del 1978 arrivano per la Golf le prime vere novità: i paraurti in plastica rimpiazzano quelli in metallo, sottodimensionati e poco protettivi, e le GTI vengono dotate dell’econometro.
L’anno seguente a Ginevra debutta la Cabriolet, seguita a fine anno dalla tre volumi (battezzata Jetta) e dal cambio a cinque rapporti per la GTI.
Esattamente un anno dopo, nell’autunno 1980, un ulteriore restyling porta in dote nuovi fanali posteriori più grandi per la berlina e per tutte un abitacolo rinnovato, con nuovi sedili, pannelli porta e plancia, che ora sfoggia un nuovo quadro strumenti unico e più grande.
Contestualmente è rivista e razionalizzata la gamma motori e sono riorganizzati gli allestimenti, con l’estensione del cambio a cinque marce anche alle versioni diesel da cui, assieme all’introduzione del pick-up Caddy, arriva la più interessante novità del 1982.
L'articolo completo è stato pubblicato su Automobilismo d'Epoca - luglio 2017
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