Volvo P 1800: questione d’immagine

Un coupé era quello che serviva alla Casa svedese per smarcarsi dal cliché delle auto robuste ma poco affascinanti. In produzione per oltre un decennio, piacque molto in America, diventando una piacevole hatch-back nella serie finale ES

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Uno dei tre prototipi di Frua esposti nel 1960 al Salone di New York

Al Salone di Bruxelles, nel gennaio 1960, la Volvo presentò il coupé granturismo P 1800. Il fatto destò curiosità perché la Casa svedese, poco avvezza alle auto sportive, aveva già esplorato quel mercato con la sfortunata spider P 1900.

A insistere era stato soprattutto Assar Gabrielsson, fondatore, assieme a Gustaf Larson, della Volvo. Egli riteneva indispensabile avere in listino un coupé 2+2 per rinfrescare l’immagine della Casa svedese, fatta di auto robuste, affidabili, ben curate nel montaggio e nell’attenzione alla qualità del viaggiare in automobile. Insomma, si poteva dirne un gran bene, ma non erano auto eccitanti da guidare. E in un mercato in espansione, la mancanza di sportività iniziava a farsi sentire. Quando, nel 1956, Gunnar Engellau divenne amministratore delegato, uno dei suoi obbiettivi fu di orientare il lavoro in questa direzione.

Il primo passo fu individuare il carrozziere al quale rivolgersi non soltanto per disegnare la vettura, ma perché si facesse carico della costruzione, dato che gli stabilimenti svedesi erano saturi.

Su suggerimento di Tore Bjurström, agente Ferrari per la Svezia, fu interpellato Vignale che costruiva carrozzerie per Maranello, ma non se ne fece nulla. Poi toccò a Ghia, ma era troppo legato alla Volkswagen.

Helmer Petterson, un consulente della Volvo, aveva un figlio di nome Pelle (che sarebbe divenuto famoso come designer di scafi da regata), all’epoca un ragazzo di belle speranze che aveva studiato come stilista in America e al quale il padre propose di dare forma alla futura sportiva. Quando sul tavolo di Engellau giunsero i bozzetti delle due proposte scelte, quella della carrozzeria torinese Frua e quella di Pelle Petterson, Engellau preferì quella di Pelle e si narra che ebbe una reazione piuttosto accesa, sentendosi preso in giro, quando seppe da chi proveniva. Perché Petterson padre non glielo aveva detto. Ma Engellau stesso l’aveva scelta: adirarsi era quindi fuori luogo per la semplice ragione che i contenuti giusti c’erano. La proposta di Pelle Petterson, rielaborata da Frua, divenne così la P 1800 che i visitatori poterono ammirare al Salone di Bruxelles.

Prodotta in Inghilterra

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Una 1800 S durante i test in galleria del vento

Scelto lo stile, restava da individuare il sito produttivo, dato che lo stabilimento di Torslanda era lungi dall’essere completato. La soluzione, visti anche i favorevoli dazi doganali, fu trovata in Scozia presso la Pressed Steel Co. Ltd, che sembrava ben attrezzata per produrre il lamierato. L’accordo con la britannica Jensen Motor Ltd, che si trovava in Inghilterra a West Bromwich, risolse il problema dell’assemblaggio e della verniciatura della P 1800, che così diventava più “inglese” che svedese (e fu un argomento pubblicitario per il mercato inglese) poiché altri importanti componenti erano fabbricati sul suolo britannico, come l’impianto elettrico Lucas, i cuscinetti di banco Vandervell, i carburatori S.U., l’overdrive Laycock de Normanville, che completava il cambio a quattro rapporti, i cerchi ruota Sankey e i freni Girling, anteriori a disco e servoassistiti.

L’avvio della produzione presso la Jensen (gli organi meccanici provenivano dalla Volvo), fu preceduto dalla costruzione di tre prototipi presso la Carrozzeria Frua, il primo dei quali, quello visto a Bruxelles, era stato visionato a Torino dallo stesso Engellau per essere spedito, nel mese di aprile del 1960, all’International Auto Show di New York. Con l’occasione il nome P 1800 divenne ufficiale, laddove la lettera P stava per “personvagn” (vettura ad uso privato) e 1800 la cilindrata di 1.780 cc per 100 CV-SAE di potenza.

La prima P 1800 uscita dalla Jensen giunse in Svezia nel marzo del 1960, destinata a un’esposizione. Questo primo esemplare fu seguito da un lotto di 250 esemplari che furono oggetto di un accurato controllo prima di essere consegnante ai clienti. In questa fase emersero alcuni problemi qualitativi riguardanti l’assemblaggio delle lamiere e la verniciatura. Voleva dire che il metro di giudizio dei controllori svedesi era più severo di quello in uso alla Pressed Steel e alla Jensen. Su questo punto il contenzioso con le maestranze inglesi non fu mai del tutto risolto, tanto che la dirigenza Volvo paventava un insuccesso analogo a quello che aveva decretato la drastica fine della P 1900 e, per prevenirlo, inviò stabilmente in Inghilterra un proprio ispettore. Intanto a Torslanda fu aperto un primo reparto di produzione, ciò che permise di trasferire nel 1963 l’assemblaggio delle P 1800, pur conservando la Pressed Steel la produzione del lamierato. La Volvo, che si era impegnata a produrre presso la Jensen diecimila vetture, preferì rescindere il contratto pagando una penale, anche se finì comunque per mantenere a West Bromwich la produzione di alcuni componenti.

Apprezzata per le sue doti stradali

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Una P 1800 in azione al Circuito del Mugello nel 1964

La P 1800, intanto, iniziava a piacere. Piaceva agli americani che la premiarono per il design, anche se la Casa, nel comunicato stampa datato 17 maggio 1961, tacque l’apporto di Pelle Petterson e sottolineò invece l’opera di Frua, perché si sapeva che lo stile italiano era apprezzato e ciò dava un vantaggio in più. Piaceva per le doti stradali, tanto che fu impiegata come “pace-car” nel 1963 e 1964 all’autodromo di Sebring. Piaceva al mondo del cinema, in particolare a Roger Moore che se ne servì nella fortunata serie televisiva “Il Santo”. E fu la pubblicità più efficace. Piaceva in Europa per l’abitacolo ricco ed elegante, per la bella linea e per la strumentazione da sportiva che comprende tachimetro, contagiri, indicatore livello carburante, orologio, termometro acqua e olio e manometro olio. E c’erano pure le cinture di sicurezza, accessorio assai raro in quegli anni.

Le doti stradali erano un riuscito compromesso tra le prestazioni richieste ad un coupé granturismo (la velocità massima si attestava tra i 155 e i 160 km/h, con accelerazione sui 400 metri in poco più di 18”) e il comfort che l’acquirente della P 1800 esigeva da una Volvo.

La versione definitiva presentava alcune differenze rispetto ai prototipi di Frua.

Erano stati eliminati i coprimozzi con finti raggi e il motivo a V al centro della calandra. I finestrini posteriori non erano più apribili, forse per i costi di industrializzazione ed erano stati modificati i paraurti. Altre modifiche erano visibili nell’arredamento interno.

L’obiettivo di produzione era di 7.500 vetture l’anno, cifra raggiunta però soltanto tra il 1963 e il 1964 nello stabilimento di Göteborg. L’avvio della produzione in patria fu sottolineato con l’aggiunta della lettera S di Svezia alla sigla.

Sul piano estetico si notavano alcuni aggiornamenti: nuovi coprimozzi mutuati dalla berlina Amazon e indicatori di direzione anteriori di colore arancione. All’interno i pannelli porta erano stati ridisegnati e i sedili rivestiti in finta pelle. La vernice era ora del tipo sintetico e alcune varianti sul piano meccanico, tra le quali il nuovo albero a camme e il rapporto di compressione portato a 10:1, innalzavano la potenza a 108 CV-SAE. Il regime di rotazione più elevato fu evidenziato con l’innalzamento della zona rossa del contagiri da 6.000 a 6.500.

Nel tempo furono apportati altri aggiornamenti: ruote, calandra e paraurti privati dei caratteristici risvolti vero l’alto per diventare diritti e protetti da una fascia in gomma (quello posteriore meno avvolgente sui lati), sigla identificativa senza la lettera P, sedili anteriori e schienale posteriore abbattibile, diversa posizione del comando overdrive -spostato dal cruscotto al piantone di guida e clacson più potente.

Nel 1965 il motore, grazie a nuovi collettori, aumenta la potenza fino a 115 CV-SAE per rispondere agli attacchi della concorrenza che puntava all’innalzamento delle prestazioni. La sicurezza e il comportamento stradale migliorano con il montaggio di un limitatore di frenata al retrotreno e di una nuova taratura delle sospensioni posteriori, dotate (come le anteriori) di snodi for-life.

Restyling nel 1967

A metà anni Sessanta la 1800 era un modello maturo. Le vendite erano in linea con le previsioni della Casa, nel 1966 la produzione totale superò quota 25.000, metà delle quali vendute oltreoceano. Adesso bisognava mantenere l’interesse sul modello: perciò, fu interessata la Carrozzeria Fissore per la realizzazione di una versione con coda fast-back, soluzione che negli Stati Uniti stava prendendo piede. La proposta di Fissore fu presentata al Salone di Torino del 1965 ma poi accantonata. Ci si limitò, nel 1967, a un semplice restyling, visibile nel nuovo profilo cromato lungo la fiancata, ora lineare e prolungato più indietro mentre prima era curvato verso l’alto all’altezza del finestrino posteriore. Per la meccanica arrivò un circuito di raffreddamento sigillato, un nuovo filtro aria e ulteriori modifiche alle sospensioni posteriori. Per il mercato americano, che domandava più potenza, fu reso disponibile un kit comprendente una testa con rapporto di compressione di 11,1:1 e valvole più grandi con relativo albero a camme, per ricavare 135 CV-SAE. Era un modo per assecondare le richieste dei clienti più sportivi, che usavano la 1800 anche in gara. Qualche soddisfazione era arrivata, come confermato dal secondo posto di classe alla 24 Ore di Daytona del 1967.

Di qui in avanti, con qualche costante affinamento visibile nelle nuove maniglie porta esterne, nel nuovo volante con tre razze, nel piantone dello sterzo sdoppiato e in alcune migliorie interne, si arriva alla vera novità del motore due litri adottato nel ‘68, con 118 CV-SAE e maggiore souplesse di marcia; la sigla del modello rimase inalterata e soltanto il logo “B20” sulla calandra dichiarava l’accresciuta cilindrata.

Questa due litri presentava importanti aggiornamenti. C’era il circuito frenante sdoppiato, un ventilatore di raffreddamento del motore più silenzioso, una nuova frizione, un cambio rinforzato, un diverso rapporto al ponte e un carburatore Zenith-Stromberg, sostituito nell’agosto ’69 dall’iniezione elettronica Bosch (motore B 20 E), più adatta alle previste norme anti-inquinamento americane che avrebbero comportato, per le sole vetture destinate a quel mercato, una riduzione della potenza massima a 112 CV-SAE (motore B 20 F).

La modifica fu resa palese sostituendo la S finale della targhetta identificativa con una E, dal tedesco “Einspritz” che significa iniezione. Questa modifica comportò l’adozione di un nuovo albero a camme, di valvole di aspirazione più grandi e fu aumentato il rapporto di compressione a 10.5:1. Altre novità furono i freni a disco su tutte le ruote, ora con cerchi più larghi e in alluminio, i nuovi strumenti sul cruscotto con sedi meno profonde, la plancia rivestita in finto legno e le migliorie all’impianto di climatizzazione. Davanti si notava la nuova calandra in lega leggera di colore nero opaco e sul parafango posteriore erano stati aggiunti gli sfoghi d’uscita dell’aria viziata dall’abitacolo chiusi da una griglia nera.

L’esigenza di nuove proposte, malgrado il modello reggesse ancora benissimo lo scorrere del tempo, si materializzò in alcuni prototipi. Accanto ad alcune idee poco convincenti, come la “Hunter” (vettura “da caccia”) e la “Rocket” (razzo), la casa disegnò un interessante modello dalla coda allungata, con padiglione piccolo, montanti sottili e lunotto fortemente inclinato che rimase lettera morta. Ma le idee migliori vennero da Fissore, che disegnò la fast-back vista al Salone di Torino nel 1965 e da Coggiola nel 1971, con una bellissima fast-back siglata ESC (ma è chiamata anche Viking) dal muso basso e affusolato, più adatta però ad una casa con tradizioni sportive che ad una Volvo. Ma Sergio Coggiola non aveva lavorato invano: nel suo atelier prese forma, infatti, la 1800 ES presentata nell’estate del 1971 su meccanica del coupé.

ES: un mix tra coupé e station wagon

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La linea hatch-back della P 1800 ES è opera di Sergio Coggiola 

Con la versione ES la sportiva Volvo acquista un carattere nuovo, moderno, anticipando il concetto di automobile sì d’immagine ma pratica, a metà tra un coupé e una station-wagon secondo un filone in seguito fatto proprio da altri costruttori.

L’ampio portellone con cerniere in alto, formato in sostanza dal lunotto sul quale è fissata la maniglia di apertura, rende diversa e attraente la 1800 ES, donando quella versatilità e praticità d’uso indispensabili a una famiglia. Ma gli anni trascorsi dalla presentazione sono tanti, troppi per rilanciare le sorti del modello. Malgrado le migliorie apportate (nel 1971 compaiono la calandra in plastica, sedili con poggiatesta, un nuovo divano posteriore, nuovi ammortizzatori e sono apportate altre modifiche meccaniche marginali) e l’incredibile robustezza che questa Volvo ha dimostrato di possedere, la parola fine viene scritta per la 1800 E il 22 giugno 1972, in un momento in cui questo modello, con i vetri azzurrati, la regolazione in altezza del sedile di guida, un allestimento interno degno di un’ammiraglia e la possibilità -dall’agosto 1970- di ordinarla con un cambio automatico a tre rapporti, ha raggiunto il massimo dello splendore. Anche in fatto di prestazioni, perché la velocità massima si attesta sui 185 orari con un’accelerazione da 0 a 100 km/h in meno di 11 secondi.

La sorella resiste per un altro anno: il 27 giugno 1973 l’ultima 1800 ES esce dalla catena di montaggio. E questo nonostante le novità introdotte con la revisione Y (profili paracolpi alle portiere, selleria in materiale ignifugo e altre novità) che portano la produzione della ES a valicare la soglia di cinquemila unità. È un risultato notevole, il secondo di sempre e quasi tutte sono vendute negli Stati Uniti. Ma allora, perché? A breve, proprio nel mercato americano, sarebbero entrate in vigore le nuove norme in materia di sicurezza che prevedevano, fra l’altro, il montaggio di grossi paraurti anti-urto deformabili e l’investimento per adeguare la vettura fu ritenuto troppo gravoso.

5milioni di km e non sentirli...

L'assoluta affidabilità della P 1800 è testimoniata dal servizio pubblicato nel 2021

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Scheda tecnica Volvo 1800 (1961)

Motore Tipo B 18 B Numero cilindri e disposizione: 4 in linea, anteriore longitudinale, albero motore su 5 supporti di banco, monoblocco e testata in ghisa Cilindrata (cc): 1.780 Alesaggio (mm): 84,14 Corsa (mm): 80 Velocità media del pistone (m/sec): 14,67 a 5500 giri Rapporto di compressione: 9,5:1 (10:1 type 2 e type 3) Potenza massima (CV-DIN/giri): 90/5500 (96/5600 type 2; 100/5600 e poi 103/5500 type 3) Coppia massima (kgm-DIN/giri): 14,1/3400 (14,3/3800 type 2; 14,8/3500 e poi 15/3800 type 3) Distribuzione: albero a camme nel basamento mosso da ingranaggi, valvole in testa, aste e bilancieri Alimentazione: due carburatori orizzontali SU HS-6, ultime produzioni: filtro aria con preriscaldatore Accensione: a bobina e spinterogeno Candele: Bosch W 200 T 35 (type 1), Bosch W 175 T 1 (type 2 e 3) Lubrificazione: forzata mediante pompa a ingranaggi, filtro olio sul circuito principale, radiatore olio raffreddato dal liquido di raffreddamento del motore, capacità circuito litri 3,75 Raffreddamento: ad acqua forzata mediante pompa centrifuga, radiatore, ventilatore, capacità circuito litri 8,5 Impianto elettrico: 12 V con alternatore da 770 W Batteria: 12V - 60Ah Trasmissione Trazione: posteriore, albero di trasmissione diviso in due tronconi Frizione: monodisco a secco Cambio: tipo M 40 a 4 rapporti sincronizzati e RM, in alternativa tipo M 41 con overdrive sulla 4^ marcia comandato elettricamente Rapporti al cambio: 1^ 3,13:1, 2^ 1,99:1, 3^ 1,36:1, 4^ 1:1 RM 3,25:1 (idem per M41, overdrive 0,76:1; 1800 E overdrive 0,797:1, in opzione cambio automatico Borg-Warner BW 35 a tre marce, rapporti 1^ 2,39:1, 2^ 1,45:1, 3^ 1:1, RM 2,09:1) Rapporto finale: coppia conica ipoidale, 4,1:1 (tipo P 18394 A) oppure con cambio M 41 4,56:1 (tipo P 18395 A), (1800 E rapporto finale 4,3:1, con cambio aut. 3,9:1) Cerchi: 4,5x15” (1800 E 5,5x15”) Pneumatici: radiali 165-15 (1800 E 185 HR 15) Corpo vettura Tipo telaio: carrozzeria portante Tipo carrozzeria: chiusa, coupé a due porte, 2+2 posti (1800 ES coupé a tre porte) Sospensione anteriore: a ruote indipendenti con bracci oscillanti trasversali, molle elicoidali, ammortizzatori idraulici telescopici, barra stabilizzatrice Sospensione posteriore: ponte rigido con molle elicoidali, puntoni longitudinali, barra Panhard, ammortizzatori idraulici telescopici Freni: anteriori a disco Girling, posteriori a tamburo, servofreno Sterzo: a vite globoidale e rullo Capacità serbatoio carburante: 45 litri (1800 E 50 litri) Dimensioni (in mm) e peso Passo: 2.450 Carreggiata anteriore: 1.315 Carreggiata posteriore: 1.315 Lunghezza: 4.400 (4.350 1800 E) Larghezza: 1.700 Altezza: 1.285 (1.280 1800 E) Peso in ordine di marcia (kg): 1.130 (1.230 1800 E)

VOLVO P 1800 2.0 (1968) Come Volvo P 1800 tranne:

Motore Tipo: B 20 B Cilindrata (cc): 1986 Alesaggio (mm): 88,90 Potenza massima (CV-DIN/giri): 105/5500 Coppia massima (kgm-DIN/giri): 15,5/3500 Alimentazione: in alternativa due carburatori orizzontali Zenith-Stromberg 175 CD-2 SE Candele: Bosch W 200 T 35 oppure Bosch W 225 T 35 Lubrificazione: circuito senza radiatore olio

Motore

Tipo: B 20 E Velocità media del pistone (m/sec): 16 a 6000 giri Rapporto di compressione: 10,5:1 Potenza massima (CV-DIN/giri): 124/6000 Coppia massima (kgm-DIN/giri): 17/3500 Alimentazione: iniezione elettronica Bosch K-Jetronic Candele: Bosch W 240 T 35 Raffreddamento: capacità circuito litri 8,6 Lubrificazione: circuito senza radiatore olio

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