Maserati Shamal

Alla fine degli anni Ottanta la parabola della Maserati Biturbo,controverso modello che nel bene e nel male aveva salvato la Casa dalla bancarotta, era entrata nella fase discendente. Oltre ai noti problemi di affidabilità meccanica, peraltro confinati alle primissime serie e già in massima parte risolti con le versioni a iniezione, e di scarsa durata di carrozzeria ed elementi accessori, anche la linea, uno dei punti più riusciti della vettura, cominciava a non essere più in sintonia con il mercato. Inoltre, pur con una gamma ampliata dalle versioni a quattro porte, dalla Spyder di Zagato e dalle varie coupé a tiratura limitata, mancava un modello “definitivo” che abbinasse alle sempre valide doti stradali un motore da supercar, che portasse la vettura a fare un salto di qualità rispetto alle precedenti sei cilindri.Gli ingredienti per la“super” Biturbo erano in avanzato stadio di sperimentazione,a partire dal nuovo V8 in alluminio da oltre 300 Cv. Per quanto riguarda il telaio, all’epoca la Maserati aveva a disposizione tre varianti di passo per le sue sportive di ingresso: oltre all’originaria per le coupé, c’era quella allungata per le berline a quattro porte e quella accorciata e irrigidita delle Spyder. Quest’ultima, caratterizzata da un’agilità superiore grazie al passo corto e all’irrigidimento complessivo della struttura, era la migliore per sopportare un ulteriore aumento di cilindrata, potenza e coppia e avrebbe potuto quindi soddisfare i requisiti richiesti dall’inedito otto cilindri. Rimaneva da scegliere il no-me, che doveva proseguire la tradizione delle migliori auto del Tridente, da sempre legati ai venti. La scelta cadde su uno del Golfo Persico, spesso annunciatore di violenti temporali nella regione che un tempo fu la Mesopotamia: Shamal. Nonostante la la carrozzeria simile alle precedenti, la nuova auto evolveva il progetto Biturbo verso una sportività ancor più esclusiva e da intenditori, più della precedente Karif, anch’essa derivata dalla Spyder di cui aveva conservato il V6 da 2,8 litri.Un’evoluzione logica, se si pensa che alla base della gamma si sarebbero aggiunte, nel medesimo periodo,la 2.24v e poi la Racing,sempre con carrozzeria della Biturbo e motore da oltre 300 Cv. E, come canto del cigno, avrebbe poi portato alla Biturbo sei cilindri “definitiva”, ovvero la Ghibli con carrozzeria simile ma meno esasperata della Shamal e motore sempre da due litri portato oltre la soglia dei 300 Cv.

Alla fine degli anni Ottanta la parabola della Maserati Biturbo,controverso modello che nel bene e nel male aveva salvato la Casa dalla bancarotta, era entrata nella fase discendente. Oltre ai noti problemi di affidabilità meccanica, peraltro confinati alle primissime serie e già in massima parte risolti con le versioni a iniezione, e di scarsa durata di carrozzeria ed elementi accessori, anche la linea, uno dei punti più riusciti della vettura, cominciava a non essere più in sintonia con il mercato. Inoltre, pur con una gamma ampliata dalle versioni a quattro porte, dalla Spyder di Zagato e dalle varie coupé a tiratura limitata, mancava un modello “definitivo” che abbinasse alle sempre valide doti stradali un motore da supercar, che portasse la vettura a fare un salto di qualità rispetto alle precedenti sei cilindri.

Gli ingredienti per la“super” Biturbo erano in avanzato stadio di sperimentazione,a partire dal nuovo V8 in alluminio da oltre 300 Cv. Per quanto riguarda il telaio, all’epoca la Maserati aveva a disposizione tre varianti di passo per le sue sportive di ingresso: oltre all’originaria per le coupé, c’era quella allungata per le berline a quattro porte e quella accorciata e irrigidita delle Spyder. Quest’ultima, caratterizzata da un’agilità superiore grazie al passo corto e all’irrigidimento complessivo della struttura, era la migliore per sopportare un ulteriore aumento di cilindrata, potenza e coppia e avrebbe potuto quindi soddisfare i requisiti richiesti dall’inedito otto cilindri. Rimaneva da scegliere il no-me, che doveva proseguire la tradizione delle migliori auto del Tridente, da sempre legati ai venti. La scelta cadde su uno del Golfo Persico, spesso annunciatore di violenti temporali nella regione che un tempo fu la Mesopotamia: Shamal. Nonostante la la carrozzeria simile alle precedenti, la nuova auto evolveva il progetto Biturbo verso una sportività ancor più esclusiva e da intenditori, più della precedente Karif, anch’essa derivata dalla Spyder di cui aveva conservato il V6 da 2,8 litri.

Un’evoluzione logica, se si pensa che alla base della gamma si sarebbero aggiunte, nel medesimo periodo,la 2.24v e poi la Racing,sempre con carrozzeria della Biturbo e motore da oltre 300 Cv. E, come canto del cigno, avrebbe poi portato alla Biturbo sei cilindri “definitiva”, ovvero la Ghibli con carrozzeria simile ma meno esasperata della Shamal e motore sempre da due litri portato oltre la soglia dei 300 Cv.