Alfa Romeo 75 V6 America: il canto del cigno

La 75 V6 3.0 è l'ultima Alfa con quelle caratteristiche di brillantezza e guidabilità associate ai motori del Biscione, di cui il "Busso" rappresenta la massima espressione

Nel febbraio del 1987 vengono presentate due nuove versioni della 75, la Twin Spark e la 3.0 V6 America: è questa la versione top della classica berlina Alfa che raggiunge così lo status di vera e propria Gran Turismo. Era il tempo in cui l’acquisto dell’Alfa Romeo da parte di Fiat si era appena compiuto e già in azienda si respirava un’aria diversa: le tanto temute “economie di scala” erano lì pronte a prendere il sopravvento; del resto era in arrivo la 164 a trazione anteriore, frutto di un accordo per una piattaforma in comune con Lancia, Fiat e Saab.

La classica e costosa impostazione delle berline Alfa, motore anteriore, trazione posteriore, cambio in blocco col differenziale, ponte De Dion, era un lusso ormai insostenibile per la grande produzione di serie. Quindi ad Arese decidono di cogliere l’attimo fuggente e dare un’ultima dimostrazione di dinamismo creativo.

La base di partenza come detto è già di gran valore: la 75 è di per sé un’ottima vettura, ultima evoluzione di un concetto nato già benissimo nel lontano 1972 con l’Alfetta ed evolutosi poi con la nuova Giulietta e tutte le sue derivate. Le qualità di base restano di prim’ordine: perfetta distribuzione dei pesi, ottime maneggevolezza e tenuta di strada, cambio manuale molto migliorato, prestazioni elevate garantite dai classici 4 cilindri in lega leggera ancora sulla cresta dell’onda e ai vertici di categoria. C’è anche un 6 cilindri, il 2.492 cc da 156 CV anch’esso in lega leggera progettato da Giuseppe Busso. E’ un motore splendido, morbido e perfettamente equilibrato, con una grande souplesse ai bassi regimi ma capace di una grintosa brillantezza ai regimi più elevati. E caratterizzato da un rumore estremamente appagante. Così equipaggiata la 75 2.5 Quadrifoglio Verde recita bene il suo ruolo di top di gamma. Ma si può fare di più. E difatti così accade.

Il V6 cresce fino a 3 litri

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La cilindrata del V6 originale in lega leggera viene portata a 3.000 cc con l’aumento di corsa ed alesaggio, rifacendosi di fatto ad una versione dello stesso motore già utilizzata per il mercato sudafricano. La potenza raggiunge i 185 CV a 5.800 giri, con una coppia massima di ben 245 Nm e soprattutto con una curva estremamente favorevole, già a partire da 1.000 giri. I rapporti al cambio non vengono modificati rispetto alla Quadrifoglio Verde, ma la consistente iniezione di potenza consiglia un deciso allungamento del rapporto al ponte, che consente così di raggiungere la punta massima di 220 km/h.

Le premesse per una guida brillante, da vera Gran Turismo ci sono tutte: solo la taratura un po’ morbida delle sospensioni, per quanto lievemente irrigidite rispetto alla Quadrifoglio Verde, e la frenata non proprio al top anche a causa della strana mancanza dell’ABS sono lì a ricordare che in fondo sempre di una quattro porte da famiglia si tratta.

Personalità sportiva

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L’estetica della 3.0 V6 America è strettamente imparentata con quella della 75 Milano e della successiva Milano Verde, e cioè le versioni preparate per l’esportazione negli USA. Di qui il nome America, che contraddistingue un allestimento specifico facilmente riconoscibile dai paraurti ad assorbimento d’energia, obbligatori negli Stati Uniti. Normalmente questo particolare, grosso e fastidiosamente ingombrante, appesantisce la linea nata snella delle vetture europee. Nel caso della 75 invece dona una piacevole sensazione di maggiore completezza e il design complessivo se ne avvantaggia. La caratterizzazione estetica è completata dai codolini e dalle minigonne, perfettamente integrati e nello stesso colore della carrozzeria, e dagli spoiler anteriore e posteriore.

Quest’ultimo è in materiale morbido e fa corpo unico con la modanatura nera che circonda tutta la macchina. Da notare che nei primissimi esemplari di pre-produzione era anch’essa in tinta. I cerchi in lega da 14 pollici completano il tutto. Nessuna modifica sostanziale dunque, ma solo sapienti ritocchi per conferire una più spiccata personalità sportiva, che si traducono alla fine anche in un vantaggio aerodinamico, confermato dal miglioramento del 4,5% del coefficiente di penetrazione.

Finiture carenti, ma neanche troppo

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Gli interni non si discostano da quelli delle altre versioni della 75, tranne nelle diverse possibilità di scelta per i tessuti di rivestimento. I sedili sono ben profilati e assicurano una buona tenuta laterale, ma la componentistica resta quella di sempre, non particolarmente pregiata e di aspetto piuttosto dimesso.

Rispetto alle versioni di partenza cambia comunque la grafica della strumentazione, mentre il disegno del volante è ora più elegante e piacevole. Con il senno del poi, appare evidente che il livello generale di finitura, pur molto migliorato rispetto agli standard tradizionali Alfa Romeo, era in quegli anni ancora piuttosto carente, non in linea con quanto proposto dalla concorrenza soprattutto straniera, leggi BMW e Mercedes tanto per fare un paio di nomi. Ma in questo ambito tutti erano disposti a chiudere un occhio: del resto, se per essere felice ti fossi accontentato di sedili perfettamente cuciti e di moquette applicata dappertutto, allora sarebbe stato inutile comprarti un’Alfa Romeo…

Restyling nel 1988

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L’esemplare di questo servizio è una versione restyling 1988, riconoscibile per il nuovo musetto ridisegnato in rigoroso family feeling con gli altri modelli coevi dell’Alfa, per la fascia catarifrangente che unisce i gruppi ottici posteriori rossa anziché arancione e per alcuni lievi miglioramenti nella componentistica. Prodotta nel novembre 1989, è stata venduta in Francia e lì è rimasta fino a quando l’attuale proprietario Augusto Clerici, appassionato alfista e possessore di un’altra storica del Biscione, l’ha trovata presso un commerciante e, data l’offerta allettante, l’ha subito acquistata. Le sue condizioni erano eccellenti, del tutto fedeli all’originale salvo l’assetto sportivo. Il ripristino quindi non ha dato particolari problemi. L’unica licenza poetica è stato il montaggio di dischi freno Tarox, che da soli hanno brillantemente risolto quel problema di frenata che è sempre stato un punto debole dell’intera stirpe 75.

Tutto il piacere del V6

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La voce sommessa e rotonda dei 6 cilindri a V è piacevole al minimo e cresce immediatamente di volume appena si sfiora il pedale dell’acceleratore, ma non diventa mai eccessiva. Nell’abitacolo invece l’acustica cambia completamente. Basta tirare un poco la seconda per apprezzarne la tonalità piena e ricca di promesse, che diventano realtà appena si cerca l’allungo in terza e quarta. La spinta è notevole e si viene immediatamente pervasi dalla consapevolezza di essere alla guida di un’auto “importante”, non impegnativa ma comunque da trattare con rispetto. La potenza si sente, ma colpisce soprattutto la grande coppia sempre presente anche ai bassi regimi.

Molto buona la maneggevolezza perché le dimensioni della macchina non sono eccessive e anche la massa è sì importante (1.250 Kg) ma in fondo contenuta rispetto alle auto di oggi. Lo sterzo è servoassistito e piacevolmente sensibile, abbinato all’efficacia del differenziale autobloccante consente qualche digressione facilmente controllabile, sapendo che si può sempre contare su una tenuta di strada pienamente affidabile. Le prerogative per una guida brillante, piacevole e sicura ci sono tutte e si apprezzano subito, fin dai primi chilometri. Come sintetizza bene Augusto dopo sette anni di convivenza con la sua 75 V6 America:

E’ una macchina molto progressiva, puoi andare di quarta e quinta sul misto in piena sicurezza

Sulle strade del lago (di Como, n.d.r.) è un vero piacere. Il motore naturalmente fa la differenza, direi che fa di questa macchina l’auto perfetta per il vero alfista.”

La storia del V6 Busso

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