Alfa Romeo Alfetta: la sportiva di papà

Un’elegante berlina per famiglia su un autotelaio che è un concentrato di tecnica sportiva. Così l'Alfetta si presenta nel 1972, la la sua "carriera" proseguirà fino al 1984

Sul finire degli anni ‘60, Alfa Romeo deve trovare un’auto che sostituisca la 1750. Si tratta di una sfida tecnica importantissima perché la brillante e spaziosa berlina derivata dalla Giulia era stata un successo e non sarebbe stato facile trovare una sua erede. L’ingegner Orazio Satta Puliga, direttore tecnico della Casa milanese lo sapeva bene: erano in gioco la leadership tecnica e di mercato della Casa milanese e non si poteva sbagliare il colpo.

Ponte De Dion e cambio al retrotreno

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La ricetta tecnica risolutiva impiegò come base una berlinetta da competizione che piaceva a Giuseppe Busso, uno dei grandi progettisti dell’Alfa Romeo in forza ad Arese fino al 1977. Si chiamava 2000 Sportiva e ne erano state costruite soltanto due nel 1954. Aveva una sospensione posteriore a ponte De Dion, una soluzione già attuata sulla monoposto Alfa Romeo 159 (soprannominata “Alfetta”), con la quale l’asso argentino Juan Manuel Fangio aveva vinto il Campionato del Mondo di Formula Uno nel 1951.

La tentazione era forte: riprendere su una berlina di serie il discorso affrontato in pista vent’anni prima. Riuscire in un’impresa simile voleva dire dar vita una macchina che avrebbe dato tante soddisfazioni nella guida sportiva.

Si partì dal motore anteriore di 1.779 cc e 122 CV (DIN) derivato dalla 1750; cambio al retrotreno in blocco con frizione e differenziale per ripartire in modo uguale le masse tra i due assi. E ancora: freni posteriori “inboard” (con i dischi montati all’uscita del differenziale) per alleggerire le masse non sospese, sospensioni a quadrilateri deformabili all’avantreno (con barre di torsione come elemento elastico) e ponte De Dion dietro.

Bisognava però capire quale fosse, su strada aperta, l’effettivo vantaggio dato da una tecnica così raffinata. Così furono effettuate delle prove comparative tra la 2000 Sportiva e due Giulia GTA sperimentali: una con sospensione posteriore a ruote indipendenti della Giulia TZ e l’altra dotata di un sistema a quadrilateri trasversali.

I prototipi furono affidati ai collaudatori Alfa Romeo guidati da Consalvo Sanesi, un pilota che vantava un notevole passato agonistico e che aveva capacità straordinarie di messa punto dell’assetto delle vetture. Quando si pronunciò a favore del ponte De Dion, la via da seguire fu chiara a tutti.

Alfetta, il soprannome della monoposto 159

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A quel punto fu questione di un attimo decidere anche il nome della nuova berlina. Si sarebbe chiamata “Alfetta” in onore della monoposto che aveva ispirato tutto.

Trovato il carattere giusto della nuova Alfetta, restava da confezionare il vestito.

Il Centro Stile della Casa riuscì a disegnare una linea giovane di forte impatto, che manteneva l’aria di famiglia nel frontale a quattro fari percorso da tre profili orizzontali cromati, confluenti nel classico scudetto. Nella vista laterale si notava il rialzo della coda all’altezza del montante posteriore: una soluzione che permetteva anche di ottenere un bagagliaio molto spazioso. Con questa scelta, però, la fiancata appariva meno slanciata. Allora si rimediò dipingendo di nero opaco la lamiera sottoporta e separandola dalla battuta delle portiere per mezzo di un profilo in acciaio inox. Sui montanti posteriori risaltavano le mostrine per lo sfogo dell’aria viziata dell’abitacolo, dal disegno così esclusivo che bastavano da sole a far riconoscere l’automobile.

La parte posteriore era caratterizzata dal taglio obliquo del baule e dai nuovi gruppi ottici a tre settori orizzontali, dal tipico disegno delle cornici cromate. La scritta identificativa, in carattere corsivo, si trovava sul cofano bagagli a destra, mentre al centro campeggiava lo stemma Alfa Romeo.

Presentata a Trieste nel 1972

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Alla presentazione, avvenuta a Trieste nella primavera del 1972, gli osservatori affermarono che questa nuova Alfa Romeo fosse tecnologicamente avanti di dieci anni. Ne lodarono la generosità del collaudato bialbero a quattro cilindri, la grande tenuta di strada, la stabilità e la prontezza di inserimento in curva che non aveva uguali nelle concorrenti di allora.

Le prestazioni erano simili a quelle della 1750, con un sensibile progresso in accelerazione dovuto alla migliore motricità ottenuta grazie al maggior peso gravante sul retrotreno. La costante perpendicolarità delle ruote motrici al terreno, garantita dal parallelogramma di Watt che guida il ponte De Dion, consentiva di accelerare, senza perdite d’aderenza, persino su fondi sconnessi e di migliorare la trazione all’uscita delle curve. L’unico neo era la manovrabilità del cambio: preciso ma lento negli innesti a causa dei lunghi leveraggi che collegano il comando a cloche con il cambio messo dietro. Il problema, sia pur attenuato in misura crescente nel corso della produzione, trovò soluzione definitiva solo con le più recenti Alfa 90 e 75.

L’interno manteneva lo stile Alfa Romeo dell’epoca. La differenza principale stava nella strumentazione messa tutta dietro al volante a calice a tre razze con corona di legno, regolabile in altezza. Le finiture erano in linea con quanto la Casa proponeva su altri modelli: rivestimento in legno impiallacciato della plancia, sedili in “texalfa” (trama di tessuto con un trattamento superficiale in vinile) oppure in panno con appoggiatesta regolabili di serie e moquette sul pavimento. Anche il fondo della bagagliera era in moquette con l’eccezione dei passaruota rivestiti di plastica. Pure l’abitabilità era migliorata nei confronti della 1750, grazie alla maggiore larghezza del corpo vettura.

SCHEDA TECNICA ALFETTA (I serie – 1972)

Motore Posizione: anteriore longitudinale Numero cilindri e disposizione: 4 in linea - basamento e testata in lega leggera camere di scoppio emisferiche canne cilindro di ghisa riportate “in umido” smontabili albero motore in acciaio con trattamento di nitrurazione morbida, su 5 supporti di banco con 8 contrappesi cuscinetti a guscio sottile in lega di rame-piombo-indio con antivibratore torsionale Cilindrata (cc): 1.779 Alesaggio (mm): 80 Corsa (mm): 88,5 Velocità media del pistone (m/sec): 16,23/5.500 giri Rapporto di compressione: 9,5:1 Potenza massima (CV DIN/giri): 122/5.500 Coppia massima (kgm-DIN/giri): 17/4.400 Indice d’elasticità (DIN): 1,34 Distribuzione: due alberi a camme in testa mossi da doppia catena con tenditore, valvole a V di 80°, quelle di scarico al sodio, bicchierini a bagno d’olio Alimentazione: due carburatori orizzontali a doppio corpo Weber 40 DCOE/32 a farfalle sincronizzate pompa carburante meccanica Accensione a bobina e spinterogeno Candele Golden Lodge 2HL a scarica superficiale Lubrificazione: forzata mediante pompa a ingranaggi filtro olio a cartuccia sul circuito principale coppa olio a pozzetto in lega leggera e fortemente alettata Capacità circuito olio: litri 6,5 Raffreddamento: ad acqua forzata con pompa centrifuga elettroventilatore a innesto termostatico vaso d’espansione capacità circuito litri 8

Impianto elettrico: 12 V Alternatore: 540 W Batteria: 12 V 50 Ah Trasmissione Trazione: posteriore gruppo frizione-cambio-differenziale collocato al retrotreno e ancorato direttamente alla scocca Frizione: monodisco a secco a comando idraulico Cambio: a 5 marce sincronizzate e RM in blocco con il differenziale capacità carter litri 2,88 Rapporti al cambio: I 3,30:1, II 2,00:1, III 1,37:1, IV 1,04:1, V 0,83:1, RM 2,62:1 Differenziale e rapporto finale: coppia conica ipoidale 10/41 Cerchi: 5”1/2 J x 14” Pneumatici: 165 SR 14 Corpo vettura Tipo telaio: monoscocca in acciaio a struttura differenziata Tipo carrozzeria: berlina a tre volumi, quattro porte Sospensione anteriore: a quadrilateri deformabili barre di torsione longitudinali barra stabilizzatrice ammortizzatori idraulici telescopici Sospensione posteriore: ponte rigido De Dion guidato da parallelogramma di Watt ammortizzatori idraulici telescopici molle elicoidali degressive, non coassiali con gli ammortizzatori barra stabilizzatrice Freni: a disco (i posteriori “Inboard”: montati all’uscita del differenziale) servofreno a depressione doppio circuito frenante con limitatore al retrotreno freno a mano agente sui dischi delle ruote posterioriSterzo: a cremagliera piantone di sicurezza snodato in tre tronchi mediante due giunti cardanici Capacità serbatoio carburante (litri): 49 Dimensioni (in mm) e peso

Passo: 2.510 Carreggiata ant.: 1.360 Carreggiata post.: 1.358 Lunghezza: 4.280 Larghezza: 1.638 Altezza: 1.430 Peso (kg): 1.060 in ordine di marcia

Prestazioni dichiarate Velocità massima: 180 km/h Consumo: a 120 km/h 10,5 litri/100 km (8,9 nel 1982)

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