Citroen 2CV

Doveva consumare poco e non rompersi mai, avere sospensioni dolcissime e tenere la strada. Per questo la Citroën 2CV era semplice nell’aspetto, ma sofisticata nella meccanica

Fra le auto moderne sembrava una creaturina preistorica, ma per molti versi era ancora all’avanguardia. Nel 1990 trovava ancora 250 entusiasti acquirenti ogni giorno. Ma alle 16 del 27 luglio di quell’anno, l’ultima Citroën 2CV lasciò la linea di montaggio nello stabilimento portoghese di Mangualde. L’indomani i francesi iniziarono a guardare la 2CV come un monumento degno della storia dell’automobile, o meglio della storia nazionale.

Auto trasversale

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La 2CV era un’auto che ti cambiava dentro. Ti rassicurava, ti invitava a meditare, a guardarti intorno senza fretta, a godere delle piccole cose, a essere in pace con il mondo e con te stesso. Ti cullava con le sue sospensioni e ti proteggeva da brutte sorprese con una tenuta di strada da leggenda. La sua affidabilità era una fede, il suo consumo irrisorio. Fece innamorare belli e brutti. Sedusse la divina Brigitte Bardot con la sobrietà, affascinò gli intellettuali con la filosofia costruttiva, incantò i tecnici con la genialità, conquistò gli operai e i contadini ai quali importava solo che andasse sempre, dappertutto e che consumasse pochissimo.

Nel ‘68 accompagnò gli studenti in rivolta. Per la sua praticità fu giudicata “interclassista”, perciò la contestazione la salvò dal cataclisma che avvilì auto da leggenda. Dalla bufera di quegli anni l’immagine della 2 CV uscì rafforzata, divenne un nuovo mito, uno status symbol alla rovescia, come un paio di jeans sbandierati contro le convenzioni. L’amore per la 2CV crebbe con i figli dei fiori, che la trovarono in armonia con il creato. L’affetto si espresse con alcuni simpatici soprannomi: dal deux pattes (due zampe) degli utenti più rudi, al deuche (intraducibile, contrazione di Deux Chevaux dal suono melodioso simile a douce, dolce) dei più romantici hippy.

Gli italiani impararono ad amarla tardi. All’inizio l’apprezzavano soltanto i tecnici più razionali, ma dopo il ‘68 la 2CV-mania esplose a vari livelli. Con il diffondersi dell’uso, l’automobile non era più solo un mezzo per giungere a una destinazione, era essa stessa una destinazione.

Un’arte di vivere

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Insomma, la 2CV diventò l’auto della gente che sapeva godere dei piaceri che trasformano il semplice possesso di un’automobile in “arte di vivere”. Nacque allora il nomignolo “lumaca di latta”, espressione che evoca la protezione della casa, l’idea del giocattolo e sotto sotto la rivincita della campionessa della lentezza sulla lepre sciocca delle favole.

All’inizio del progetto, la piccola Citroën fu chiamata con una sigla per nulla poetica: TPV. Per esteso suonava meglio: Tout Petite Voiture, cioè vettura molto piccola. Per lei l’allora direttore generale della Citroën, Pierre Boulanger, voleva il massimo:

Per provare la dolcezza delle sospensioni metterò un paniere di uova sul sedile e attraverserò un campo arato, non una si dovrà rompere

Boulanger saliva sui prototipi con il cappello in testa: se il cappello cadeva, cadeva anche il progetto. Nel 1939 250 esemplari pre serie erano pronti per un Salone dell’Auto mai inaugurato a causa della guerra. Quei prototipi mostrarono però un indirizzo tecnico chiaro: materiali raffinati e tecniche costruttive costose contrapposti ad allestimenti assolutamente privi di elementi o accessori non rigorosamente necessari.

Svelata nel 1948

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La 2CV fu svelata al Salone di Parigi il 7 ottobre 1948. I tecnici e il pubblico rimasero stupefatti, non s’era mai visto niente di simile. Le reazioni spaziarono dal dubbioso, al perplesso, allo scettico. Non ci fu entusiasmo, ma ci fu chi chiese malignamente se con la “scatola di conserva” fornivano anche l’apriscatole. La produzione iniziò l’anno dopo. Al Salone del 1949 la gente fu meno sospettosa. Qualcuno prese confidenza e fece oscillare la vettura qua e là, subito imitato da altri. Dondolare la 2CV diventò il divertimento di quel salone. Il gioco ruppe il ghiaccio. Arrivarono i primi ordini. I racconti dei clienti soddisfatti amplificarono i consensi. Nel 1950 l’attesa prevista per la consegna della piccola Citroën era di 6 anni. Il motore boxer bicilindrico di 375 cc, raffreddato ad aria, con teste e cilindri in alluminio, dotato di grandi supporti di banco, era studiato per girare a 5.000 giri, ma la Citroën per sicurezza lo limitò a 3.800, ai quali erogava già 9 CV.

Da 65 km/h nel 1949 a 100 km/h nel 1960

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La 2CV crebbe passo passo con la crescita delle esigenze della clientela: la velocità massima, che nel 1949 era di 65 km/h, salì a 70 km/h nel 1955, a 80 km/h nel 1957 e a 100 km/h nel 1960. Alla fine negli anni ‘70 la 2CV in pratica triplicò la potenza e raddoppiò la velocità aumentando un po’ la cilindrata, ma mantenendo basso il consumo.

Migliorarono anche gli allestimenti : i modelli del 1951 ebbero la chiave d’avviamento e la serratura sulla porta sinistra. Nel settembre 1954 il modello AZ ebbe di serie la frizione centrifuga per facilitare la guida nel traffico. Nel 1957 la AZL (L= luxe) esibì le civetterie delle cromature sottoporta e sui cofani, della cappotta in tinta con gli interni e del color avorio per il volante e il pomello del cambio.

Nel 1958 la AZLM (M= malle, cofano) presentò uno sportello metallico al posto della tela che prima arrivava fino alla targa. Nello stesso anno debuttò la 2CV Sahara dotata di due motori e 4 ruote motrici. Nel 1960 la AZLM abolì la politica del colore unico aggiungendo il blu ghiaccio con cappotta in tinta. Per tutte arrivò un nuovo cofano motore. Nel 1962 fu proposto il rosso per la AZLM divenuta più potente con una modifica all’alimentazione e al rapporto di compressione. Nel 1963 arrivarono il blu Monte Carlo, il beige antillais e il grigio rosato. Ma la vera rivoluzione fu il tergicristallo elettrico. Il precedente, comandato dal cavo del contachilometri, era ingegnoso e logico poiché d’efficacia proporzionale alla velocità, ma non funzionava da fermo. Nel 1963 debuttò la AZA capace di 95 km/h con 18 CV e il rapporto al ponte 8/29. Nel 1965 arrivarono le porte incernierate davanti. Nel biennio 1966/67 debuttarono i giunti omocinetici rinforzati e gli ammortizzatori idraulici posteriori. Per 4 mesi fu prodotta la 2 CV Export più accessoriata.

Nel 1968 la Dyane, una 2 CV vestita a nuovo, eclissò la Deuche, che tuttavia in seguito si prese la rivincita e sopravvisse alla giovane discendente.

Arrivarono, infine, le versioni speciali: Spot (‘76), Charleston (‘81), James Bond (‘82), France 3 o Beachcomber o Transat secondo i mercati (‘83), Dolly (‘84), Cocorico (‘86) e Perrier (‘88).

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Scheda tecnica Citroën 2CV 6 Special 1990

Motore

Numero cilindri 2 Disposizione boxer Alesaggio 74 mm Corsa 70 mm Cilindrata 602 cc Rapporto di compressione 8,5:1 Potenza massima 29 CV Distribuzione un albero a camme centrale, aste e bilancieri Alimentazione un carburatore Solex 26/35 CSUC. Lubrificazione forzata con filtro a setaccio e radiatore dell’olio Capacità carter olio 2,53 litri Raffreddamento ad aria Impianto elettrico 12 Volt Batteria 25 o 30 Ah Alternatore 28 Ah 400 W Trasmissione Trazione anteriore Frizione monodisco a secco Cambio a 4 marce + Retromarcia Rapporti del cambio 1a: 1:5,203; 2a: 1:2,657; 3a: 1:1786; 4a: 1:1,316 Rapporto al ponte: 4,125:1 (8/33) Pneumatici 125 R15 Cerchi in acciaio 4 J Corpo vettura Tipo telaio a piattaforma in lamiera d’acciaio imbullonato alla carrozzeria Tipo carrozzeria berlina a 4 porte Sospensioni anteriori e posteriori indipendenti con bracci longitudinali e interazione fra le ruote anteriori e le posteriori mediante molle a elica orizzontali, ammortizzatori idraulici telescopici Freni anteriori a disco e posteriori a tamburo, comando idraulico Sterzo a cremagliera Capacità serbatoio carburante 25 litri Dimensioni e peso Passo 2.400 mm Carreggiata anteriore 1.260 mm Carreggiata posteriore 1.260 mm Lunghezza 3.830 mm Larghezza 1.480 mm Altezza 1.600 mm Peso a vuoto 585 kg Prestazioni Velocità massima 115 km/h Consumo carburante 5,4 – 6,8 litri/100 km Accelerazione da 0 a 100 km/h 33,5 sec

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