Torniamo a Materazzi ed ai 200 esemplari: perché proprio duecento? “Perché erano quelli che servivano per l’omologazione in Gruppo B” – ci disse l’ingegnere campano -. “La GTO ha cilindrata 2.8 perché, quando partimmo con il progetto, il coefficiente dei turbo per raggiungere la cilindrata regolamentare di 4 litri era 1,4. Ferrari mi disse, ricordo esattamente le parole, che le sue auto si erano esageratamente imborghesite. Il suo amico Pietro Barilla gli aveva raccontato che il figlio aveva superato una Ferrari 308 con una BMW M3. Non ci poteva credere. Eppure le cose stavano così. Gli suggerii che le auto del Cavallino andavano sempre più in mano a clienti a cui forse non serviva la potenza di una Ferrari, dunque non potevano essere loro un riferimento adeguato su cui studiare nuovi modelli. In breve, per me si doveva tornare a correre anche in altri campionati che non fossero la F1”.
Come rispose Ferrari? “Mi disse di procedere con il progetto da cui poi derivare la GTO Evoluzione. Studiammo due motori, uno siglato CR per i Rallye, con 450 CV circa e uno, CK, per la pista con 650 CV. Ma l’abolizione del Gr. B nel 1986 bloccò il progetto, quando la macchina era pronta”.
Però sfruttaste quell’esperienza per l’F40? “Si, che avrebbe dovuto chiamarsi ‘3000 Le Mans’, poi un giornalista suggerì a Ferrari che sarebbe stata presentata nel 40° anno della Ferrari, così cambiò nome. In pratica la F40 è la GTO Evoluzione leggermente rivista esteticamente, e con un’ala posteriore senza limiti regolamentari”. Che ruolo ebbe Michelotto in questo progetto? “Mi rivolsi a lui per montare la Evoluzione, perché a Maranello serviva spazio per montare le nuove 328”. Perché se ne andò dalla Ferrari? “Me ne andai, a fine 1987, perché tornato dalle ferie trovai un direttore tecnico mandato da Fiat, dopo che Enzo Ferrari aveva promesso a me quel ruolo. Un ingegnere che arrivava dalla Carraro Trattori”.