La storia della Fiat 600 inizia al Salone di Ginevra del 1955 e termina nel 1970, quando il modello esce di produzione dopo 15 anni e quasi 2.700.000 esemplari costruiti (4.034.000 con quelli prodotti su licenza). Questi si dividono in due serie principali, con la seconda definita ufficialmente 600 D. Le maggiori differenze tra le due riguardano la cilindrata: al debutto è di 633 cc (valore che dà il nome alla vettura) per 21,5 CV (dal telaio n. 000001 al n. 892.000) poi cresce nel 1960 fino ai 767 cc e 29 CV (dal telaio n. 892.001 al n. 2.452.107) della 600 D. Altre differenze più evidenti riguardano i finestrini, che passano da scorrevoli a discendenti nel 1957 (dal telaio n. 277.970 al 564.781), le portiere che diventano controvento nel 1964 (dal telaio n.1.821.001 al 2.452.107) e l’introduzione dei fari anteriori più grandi (la cosiddetta “fanalona” dal 1965 (dal telaio n. 2.035.001 al 2.452.107).
Il motore posteriore della Fiat 600 è a quattro cilindri in linea con valvole in testa comandate da aste e bilancieri. Il cambio è a quattro rapporti. Le sospensioni sono a ruote indipendenti, con balestra trasversale e ammortizzatori idraulici telescopici all’anteriore e, al posteriore, bracci trasversali, molle elicoidali e ammortizzatori idraulici telescopici. La carrozzeria è a struttura portante.
Accantonato il motore bicilindrico della prima “100”, Giacosa affida le sue idee al disegnatore Francesco Saroglia, che le mette su carta dando vita al motore tipo 100.000 che equipaggia la 600 in versione definitiva. Questo, inizialmente, presenta la cilindrata di 570 cc e sviluppa 16 CV. Ma è soprattutto molto semplice. Giacosa, nel libro “I miei 40 anni di progettazione alla Fiat”, racconta:
Per eliminare il tubo di aspirazione avevo stabilito che esso fosse ricavato nella fusione della testa e il carburatore fosse quindi direttamente applicato su questa
Un lungo braccio cavo -prosegue l’ingegnere- con funzione di condotto per l’acqua, applicato lateralmente al basamento, avrebbe portato all’estremità la pompa dell’acqua. L’asse della pompa avrebbe a sua volta portato il ventilatore per raffreddare il radiatore sistemato a lato del motore”. Questa particolare architettura è anche dettata dal fatto che nel vano motore non c’è sufficiente spazio per sistemare il radiatore tra il propulsore (montato longitudinalmente e a sbalzo) e la parete posteriore. Con la soluzione di Giacosa, “il ventilatore calettato sull’alberino della pompa dell’acqua avrebbe spinto l’aria per la ventilazione del radiatore verso l’avanti, in senso contrario al moto della vettura. Così riscaldata dal radiatore l’aria poteva essere raccolta nel tunnel centrale della carrozzeria e spinta nell’interno per il riscaldamento e fino al vetro anteriore per lo sbrinamento. Veniva così evitato l’uso di un apparecchio riscaldatore”. Insomma, di necessità virtù.
Un’ultima nota sul motore Giacosa-Saroglia riguarda la sua longevità: seppur modificato nella cilindrata e in qualche dettaglio, questo quattro cilindri spingerà le piccole Fiat per moltissimi anni a venire: 850, 127, Autobianchi A112.