Ha disputato quasi 200 gare con Lancia, Ford, Subaru, Renault, Mitsubishi e l’A112 Abarth del trofeo: ce n’è una preferita?
Hai dimenticato la Skoda R5, che ho collaudato fino a tre anni fa! Ogni periodo ha le sue auto, è difficile tirarne fuori qualcuna dal mazzo. Con quasi tutte sono riuscito a vincere, forse questa è la più grande soddisfazione. Oltre ai collaudi con la Skoda appunto, che abbiamo portato a una bella competitività. Queste R5 di oggi (una via di mezzo tra Gr. A e Gr. N, ndr) vanno più forte delle WRC di pochi anni fa. E d’altra parte quando torni sulle auto d’epoca ti rendi conto di quanto fossero faticose. Qui al Legend nelle speciali notturne per la prima volta mi sono sentito in difficoltà. Gli anni passano…
Come vede il futuro dei Rally? La formula spettacolo come quella del Legend potrebbe rappresentare una possibilità?
Questo è un tema interessante. Ne parlavo proprio pochi giorni fa con Massimo Nalli, il presidente di Suzuki Italia, e dicevamo che siamo all’ultima generazione che vede i Rallye come li conosciamo oggi. Ma è difficile prevedere come evolveranno. Potrebbero anche assomigliare più al Rallycross, chissà…
Non ha mai pensato di dedicarti ai Raid africani, come hanno fatto molti tuoi colleghi?
No, niente Africa, ma forse avrei dovuto, è una specialità che ti allunga la carriera.
Ai suoi tempi i Rallye erano diversi rispetto a ora, più lunghi, si correva anche di notte e spesso su fondi misti, anche nei campionati nazionali. Lei preferiva la terra o l’asfalto?
Io mi sono sempre considerato un “terraiolo”, contrariamente a quanto si diceva all’epoca quando si ritenevano gli italiani piloti da asfalto. Secondo me questa era soltanto una diceria, alla fine chi va forte in assoluto è forte su tutti i terreni. Ovviamente l’allenamento può aiutare.