L’auto più brutta del mondo è una FIAT | La forma di una scatoletta di tonno, gli interni di una soffitta: che flop la “Duna”

L’auto più brutta del mondo è una FIAT | La forma di una scatoletta di tonno, gli interni di una soffitta: che flop la “Duna”

Fiat Duna @automobilismodepoca

Per molti appassionati di motori il nome Fiat Duna è diventato sinonimo di bruttezza: una berlina compatta definita “scatoletta di tonno” fuori e “soffitta polverosa” dentro, capace però di lasciare un segno nella memoria collettiva.

In un immaginario campionato delle auto più brutte del mondo, la Fiat Duna finisce spesso sul podio, quando non direttamente al primo posto. Nata alla fine degli anni Ottanta come versione tre volumi della fortunata Uno, avrebbe dovuto rappresentare la risposta pratica alle esigenze delle famiglie, ma nel tempo è stata trasformata in un bersaglio perfetto per battute, meme e classifiche del peggio su quattro ruote. La sua silhouette squadrata, con il bagagliaio aggiunto come un blocco separato, ha alimentato paragoni impietosi: “sembra una scatoletta di tonno con le ruote”, dicono in molti, mentre gli interni vengono spesso descritti come “l’arredamento spoglio di una soffitta anni Ottanta”.

Dietro le ironie, però, c’è un pezzo di storia dell’automobile italiana. La Duna nasce da un progetto Fiat pensato in Sudamerica, dove viene prodotta a metà degli anni Ottanta e commercializzata con altri nomi, prima di arrivare in Europa tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta. In Italia viene proposta come berlina compatta economica, solida e spaziosa, declinata anche nella versione familiare Duna Weekend. Funzionale, efficiente, robusta: sulla carta c’erano tutti gli ingredienti giusti. Il problema, per molti automobilisti, è che mancava del tutto la seduzione estetica che ci si aspetta da un’auto “di casa nostra”.

Design da “Uno con la coda”: perché la Duna è diventata un’icona di bruttezza

Il punto più discusso della Fiat Duna è sempre stato il design. Derivata direttamente dalla Uno, rispetto alla sorella più famosa aggiunge un terzo volume posteriore quasi “appoggiato”, con linee tese, superfici piatte e un equilibrio generale giudicato da molti poco armonico. La proporzione tra cofano, abitacolo e bagagliaio ha fatto storcere il naso a generazioni di automobilisti, al punto che per anni il modo più rapido per definire un’auto sgraziata è stato proprio paragonarla alla Duna. In varie classifiche di auto più brutte di sempre, il modello Fiat occupa posizioni di vertice, spesso citato come esempio da manuale di design funzionale ma poco riuscito dal punto di vista stilistico.

Eppure, sotto quella carrozzeria così criticata, la Duna offriva alcuni punti di forza difficili da ignorare: un bagagliaio enorme in rapporto alle dimensioni esterne, una meccanica semplice e robusta derivata da modelli collaudati, costi di gestione contenuti. È anche per questo che in diversi Paesi sudamericani è stata usata a lungo come taxi o come instancabile vettura da lavoro. In Italia, però, la sua immagine non è mai riuscita a scrollarsi di dosso l’etichetta di “macchina brutta”, tanto che ancora oggi molti la ricordano più per le battute che per le migliaia di chilometri macinati senza problemi.

Fiat_Duna @wikicommons, automobilismodepoca

Dalla berlina di famiglia al mito pop: la parabola di un flop annunciato

La Fiat Duna non è stata un totale disastro commerciale: in alcuni mercati ha venduto numeri rispettabili e ha svolto fino in fondo il suo ruolo di auto onesta e concreta. Nel racconto collettivo italiano, però, è rimasta incastrata nella narrativa del flop. Nei forum di appassionati, nelle rubriche dedicate alle auto “impossibili” e nelle classifiche delle vetture peggiori di sempre, il suo nome ricorre accanto a modelli diventati sinonimo di errori progettuali o di scelte stilistiche incomprese. La Duna è stata, insomma, il prototipo perfetto di macchina che funziona, ma che quasi nessuno sente il desiderio di guardare con orgoglio parcheggiata sotto casa.

Oggi, a distanza di decenni, la sua immagine oscilla tra la nostalgia ironica e il culto di nicchia. C’è chi la rimpiange come simbolo di un’epoca in cui le auto erano semplici e facilmente riparabili, e chi continua a etichettarla senza pietà come “l’auto più brutta del mondo”.