08 May 2023

Le auto mai nate: la Fiat con motore Guzzi

Retroscena di una storia poco nota. Il possibile matrimonio tra la Moto Guzzi, che cercava una via per uscire dalla crisi, e la Fiat. Obbiettivo: realizzare una versione sportiva della Nuova 500. A Mandello infatti sperimentarono per alcuni anni un bicilindrico nel tentativo di proporlo al colosso di Torino. Che valutò, ringraziò, ma respinse

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Dopo la cessazione dell’attività agonistica della Moto Guzzi con la sottoscrizione del «Patto di astensione» con Mondial e Gilera della fine del 1957, l’ufficio studi che faceva capo all’ingegnere Giulio Cesare Carcano (nominato nell’occasione Direttore della progettazione) con i progettisti Enrico Cantoni e Umberto Todero, iniziò a lavorare su altri progetti. La Casa di Mandello stava attraversando un periodo di crisi: le auto utilitarie stavano diventando accessibili a tutti ed erano diventate l’oggetto del desiderio delle famiglie a danno delle moto, le cui vendite stavano crollando. Carcano aveva da poco impostato lo Stornello 125, concepito all’insegna della massima economia di costruzione ed esercizio e che darà importanti riscontri di mercato una volta messa in produzione. Ma da tecnico motorista di vaglia chiedeva per sé e l’azienda ben altro.

Due nuove idee per il rilancio

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La vista frontale del bicilindrico destinato alla Fiat 500

Cessata l’attività nel mondo dei GP, Carcano si diede da fare per cercare nuove vie tecniche e industriali che potessero dare slancio commerciale alla Moto Guzzi. Si concentrò allora sul progetto di due motori a V frontale a 90°, disegnati a partire dal 1958. Uno era destinato ad essere provato su una Fiat 500 di proprietà dello stesso Carcano, il secondo per il “mulo meccanico” destinato all’esercito e denominato 3x3. I primi esperimenti erano stati realizzati munendo il mezzo militare chiamato a sostituire i muli in carne e ossa con un monocilindrico da 500 cc derivato dall’Ercole, motocarro da trasporto, ma le necessità dello straordinario mezzo alpino erano ben altre. Il motore doveva essere più flessibile e adeguato a traini decisamente pesanti su terreni difficili.
La prima fase costruttiva del “mulo meccanico”, compreso il motore, era stata avviata nel 1955 sotto la guida dell’ing.Antonio Micucci, altro nome importante della Moto Guzzi. Il compito di seguire lo sviluppo del 3x3 venne affidato poco dopo all’ing. Teodoro Soldavini.
Dopo un primo esperimento documentato da fotografie ancora esistenti di un 3x3 munito del monocilindrico dell’Ercole 500, il motore destinato a questo mezzo fu il primo bicilindrico frontale con V di 90° nella storia della Moto Guzzi. Di questa progettazione esistono oggi solo i disegni in tavole di piccolo formato. Il motore venne declinato in due versioni con diverse potenze: uno per il “mulo meccanico” e il secondo con destinazione sperimentale sull’auto di Carcano. Il Presidente della Guzzi Enrico Parodi era piuttosto incline alla sperimentazione e anche Carlo Guzzi non si oppose allo studio di fattibilità dei nuovi motori, anche se l’architettura non apparteneva alla storia di Mandello. Dei due motori iniziali restano poche tracce negli archivi della Moto Guzzi: della prima versione da 500 cc del V a 90° con alesaggio e corsa da 66x73 mm (449,5 cc) esistono uno studio di massima eseguito da Enrico Cantoni, pochi disegni di particolari e il prototipo provato sull’auto. Il motore è conservato nel magazzino del museo Moto Guzzi e sarà esposto in futuro con altri prototipi, si ipotizza sino all’ultima versione V2. Singolare è la denominazione che era stata scelta, ossia RLR, che stava per Roma-Liegi-Roma, attribuita a questo primo motore che non era certo destinato a partecipare alla corsa automobilistica per vetture turismo. Il nome forse venne scelto per non lasciare intuire che lo scopo finale era quello di esaminare con la Fiat l’ipotesi di montarlo su una versione speciale della Nuova 500, iniziativa del tutto estranea alla Casa torinese. Il bicilindrico realizzato alla fine degli anni Cinquanta come prototipo fu così montato sulla Nuova 500 di Carcano che utilizzava per spostarsi da casa alla fabbrica. Si trattava di un motore con carter di tipo automobilistico, distribuzione con asse a camme unico centrale comandato a catena e teste a tetto con valvole parallele inclinate di 12° sulla verticale. L’albero a gomiti e le bielle erano su bronzine, la lubrificazione affidata una pompa dell’olio posta frontalmente sotto l’albero motore, comandato da una coppia di ingranaggi. La coppa dell’olio era in lega leggera per dissipare il calore ed era corta e larga, imbullonata sotto il carter motore. La ventilazione forzata si avvaleva della ventola assiale all’albero motore con convogliatore in lamiera che indirizzava il flusso di aria su cilindri e teste. La dinamo era posta superiormente al motore, comandata da una cinghia trapezoidale, mentre l’accensione era a spinterogeno ed era affidata a due ruttori il cui accesso appariva quasi impossibile, coperti da uno dei supporti motore. Volano, frizione e cambio erano quelli della Fiat 500.

La proposta

Questo motore fu testato con successo dallo stesso Carcano che usava quotidianamente la piccola Fiat per i suoi spostamenti. La sua 500 era contraddistinta da una fascia rossa verniciata lungo tutta la carrozzeria. E filava decisamente di gran carriera, mantenendo però una certa rumorosità che ne annunciava l’arrivo… La vetturetta fece molto scalpore con la sua motorizzazione ancora allo stadio di prototipo e fece discutere a lungo di suggestioni piuttosto che di collaborazioni con la Fiat, al punto che dovette essere la stessa Moto Guzzi, attraverso il suo Presidente Enrico Parodi, a smentire a più riprese qualunque ipotesi di collaborazione con la Casa torinese. Nel 1960, chiusa la parentesi del 3x3, il gruppo di progettazione tornò sullo studio del motore da auto per la Nuova 500, definito V1. Carcano ricordò come “…lo schema da noi adottato, che pur risultava ottimo dal punto di vista delle vibrazioni e del bilanciamento, aveva il difetto di avere gli scoppi non equidistanti e, quindi, girando a un minimo veramente basso, il motore sembrava zoppo. Questo fenomeno, però, non dava praticamente nessun fastidio”.
Un anno prima, nel 1959, era stato completamente ridisegnato. Si allungò la corsa a 73 mm e l’alesaggio diventò 66 mm (552,47 cc) con una camera di scoppio emisferica e valvole disposte secondo un angolo di 70°. Il rapporto di compressione passò a 9:1 e le prestazioni salirono: potenza 27 CV a 6.000 giri e coppia di 3,2 kgm a circa 4.000 giri.

Il 1963: arriva il V2

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Il disegno della seconda versione del motore automobilistico che fu creato in 500 cc e quindi portato a 600 cc con pochi elementi di differenza

Un nuovo prototipo venne pronto nel 1963 e provato al banco. La sua denominazione era V2. Offriva una potenza di 32 CV a 6.000 giri e una coppia di 4,5 kgm a 4.000 giri. Tra le varianti si segnalarono due semilune fissate ai contrappesi dell’albero motore per controbilanciare l’incremento dei pesi sui pistoni, segmenti e spinotti, l’aggiunta di un radiatore dell’olio e di una presa d’aria calda sull’impianto di raffreddamento per il riscaldamento interno della vettura. Partì anche una fase di adeguata carburazione e di anticipo dell’accensione. Venne montato su una Fiat 500 D. I risultati indussero Enrico Parodi a segnalare la realizzazione alla Fiat. Una vettura fu così portata a Torino e consegnata ufficialmente agli ingegneri Bono, Giacosa e Lampredi e venne tenuta in prova per tre mesi dalla Fiat e poi restituita con una lettera di apprezzamento per le brillanti prestazioni, ma senza alcun accenno all’accordo per un eventuale utilizzo del motore Moto Guzzi. E così finì la storia.
Va detto che nelle prove condotte anche a Mandello si manifestarono oltre ad una certa rumorosità del motore delle gravi carenze nei semiassi e nei giunti del cambio Fiat che appariva non proporzionato per una potenza quasi doppia rispetto a quella del modello di base. Da qui la necessità di interventi anche sulle parti di non specifica competenza della Moto Guzzi che potrebbero aver fatto sfumare la possibilità di utilizzo in Fiat. Non solo. Dalla memoria dei collaboratori più stretti di Enrico Parodi e dai ricordi della figlia di Giorgio Parodi, Marina, emerge che la Fiat avrebbe chiesto alla Guzzi, qualora si fosse stabilita una fornitura, di non siglare i motori con la loro ragione sociale. Uno smacco a cui Enrico Parodi avrebbe reagito con uno scatto d’orgoglio, interrompendo la trattativa.

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