Maserati Quattroporte aperte al lusso

Nel 1963 la Maserati mise per la prima volta d’accordo, nella stessa automobile, il temperamento e le prestazioni delle GT del Tridente con il lusso e il comfort delle migliori berline presidenziali. In una formula destinata a essere riproposta in diverse generazioni di modelli

INTRO

Sandro Pertini, quando era presidente della Repubblica, da ex partigiano qual era nella vita privata amava spostarsi soprattutto a piedi, ma nelle uscite ufficiali diede prova di fedeltà inossidabile a una maxi berlina italiana al 100%, di lusso non sfacciato e di prestazioni decisamente sportive: la Maserati Quattroporte. Un’auto che amò particolarmente frequentare, al punto di chiedere che l’esemplare messogli a disposizione (del 1980) fosse dotato di uno speciale vano porta-pipe: una civetteria che la stampa e la gente commentarono con simpatia. Un’auto sorprendente, per un uomo sotto ogni altro aspetto alieno dall’apparire e lontano mille miglia dagli stili di vita più borghesi e conformisti? Tutt’altro: perché, come lo stesso Pertini era solito ricordare, chi ha un ruolo importante deve avere un’auto importante. Così l’auto di rappresentanza più che un privilegio è un obbligo. Ne va del prestigio dell’istituzione che si rappresenta. Nel mondo sono poche le aziende specializzate in questo genere di vetture. Una è nata ai tempi del kaiser Guglielmo II e ha una stella a tre punte nello stemma, un’altra debuttò ai tempi di Edoardo VII e in cima al radiatore mostra una statuetta alata. Per entrare in concorrenza diretta con queste solide realtà ci voleva un bel coraggio. Ma alla Maserati, abituata alle sfide delle piste, il coraggio non mancava. Come dimostrò quando lasciò ufficialmente le corse per dedicarsi a modelli di serie che dovevano per forza essere diversi dalle utilitarie della Fiat, dalle sportive dell’Alfa Romeo, dai “classici” della Lancia ma anche dalle GT estreme della Ferrari. Per iniziare il nuovo corso, la Casa del Tridente scelse di costruire una gran turismo di gran classe, veloce ma confortevole, all’inglese insomma, nella tradizione delle Aston Martin e delle vecchie Bentley: la chiamò 3500 GT e la presentò nel 1958 con un motore a sei cilindri derivato da quello della 350 Sport. La 3500 GT divenne la capostipite di una fortunata serie di modelli. Ma quando quella parte della clientela Maserati che aveva una famiglia numerosa da scorrazzare nei fine settimana o in vacanza cominciò a chiedere a gran voce una berlina a quattro porte capace di grandi prestazioni, l’ingegner Giulio Alfieri, progettista storico della Casa, giudicò insufficienti sei cilindri e preferì un motore 8V.

MOTORE

MOTORE V8 QUATTRO LITRI DA 260 CAVALLI

In casa c’era il 4, 9 litri con quattro alberi in testa dell’esclusiva 5000 GT “Scià di Persia”, a sua volta derivato dall’otto cilindri a V della 450 Sport. L’ingegner Alfieri partì da quella base. Anni dopo spiegherà, con lineare semplicità, che “un punto fondamentale nella progettazione della Maserati dovevano essere i tempi brevi: 12 mesi al massimo dovevano bastare per studiare e realizzare un nuovo modello. Il progetto doveva avere un elevato grado di sicurezza perché la Maserati non poteva permettersi periodi di sperimentazione lunghi e costosi. Ciò imponeva di impiegare soluzioni note, cioè quelle che derivavano dalle corse. Però in un modello di serie bisognava semplificarle per ridurre i costi di produzione e aumentarne l’affidabilità. Ecco perché scartammo alcune soluzioni che avrebbero permesso più potenza, come la doppia accensione e la distribuzione con cascata d’ingranaggi, in favore di altre meno complicate”. Il progetto del capolavoro chiamato Quattroporte richiese pochi mesi e condensò decenni d’esperienza nelle corse per trasformarla nel meglio in fatto di comfort, sicurezza e prestazioni: in altre parole, in un compendio dell’arte modenese nel costruire automobili. La Quattroporte non era solo un concentrato delle migliori tradizioni: era anche pioniera di un nuovo modo di pensare e costruire le auto di lusso. La Casa del Tridente curò in modo particolare la stabilità e il controllo in ogni condizione di marcia. Perciò arretrò il motore dietro l’asse anteriore, per distribuire i pesi in modo più equilibrato; adottò un raffinato ponte posteriore tipo de Dion, per permettere reazioni rapide e contatto al suolo sicuro; montò uno sterzo a circolazione di sfere per garantire un’azione leggera e precisa. Nelle mani di un guidatore consapevole anche la riserva di potenza ha il suo peso per la sicurezza attiva. Per ottenere prestazioni da primato fra le berline, l’ingegner Alfieri ritenne sufficiente una cilindrata attorno ai quattro litri, invece dei quasi cinque della 5000 GT, a vantaggio di una robustezza a tutta prova.

GLI AGGIORNAMENTI

PRIMO RESTYLING NEL 1965, PIÙ POTENZA DAL 1969

Per lo stile della nuova ammiraglia seguì immediatamente il lavoro dello stilista Pietro Frua, con il risultato eccellente che si vide ai saloni dell’auto del 1963. I notevoli volumi del padiglione e del corpo vettura apparvero ben innestati l’uno sull’altro, con un effetto finale di leggerezza e luminosità dovuto ai vetri con sezioni curve anche di lato, ai montanti sottili, ai finestrini alti, al parabrezza e al lunotto a doppia curvatura. Fra i motivi stilistici più originali (per l’epoca) c’erano i fendinebbia coordinati con gli indicatori di direzione, la linea a delta del montante posteriore e le creste sui parafanghi posteriori che evocavano due punte di un tridente. Il resto della composizione giocava su linee piane per dare il senso della solidità, su cromature ben distribuite per comunicare serena opulenza, su interni rivestiti con materiali pregiati per suggerire agiatezza e comfort. Il lusso era presente ovunque senza volgari ostentazioni, ma anche senza falsi pudori. Erano i segni di un’antica saggezza artigiana, ma i pulsanti degli alza cristalli e le bocchette del condizionatore d’aria, in una delle prime applicazioni di serie, erano i segni di una tecnologia del comfort nuova e al passo con i tempi, anzi molto avanti: “Abbiamo cercato di anticipare i desideri della clientela” disse l’ingegnar Alfieri presentando la vettura ai giornalisti. A dispetto delle dimensioni, la Quattroporte aveva prestazioni da vera sportiva. La stampa internazionale ne prese atto e la definì la più veloce berlina del mondo. Solo la stampa inglese si limitò a dire “fra le più veloci berline del mondo”, sottintendendo che dalle loro parti anche la Lagonda si dava da fare per costruire “la berlina più sportiva del mondo”. Col senno di poi (55 Lagonda Rapide in quattro anni contro 770 Quattroporte in sette), la superiorità del Tridente sulla berlina con la doppia ala, che costava tre volte tanto, appare schiacciante sia per numeri, sia per continuità nel tempo. Per obiettività, bisogna però osservare che la Rapide rimase invariata nel periodo della produzione, mentre la Maserati nel 1965 beneficiò di modifiche che la resero più gradita ai clienti. Quella più sostanziale fu il ponte posteriore rigido con balestre in luogo del ponte de Dion, che aveva un comportamento più sportivo ma più rumoroso e “ruvido” nel molleggio. Curiosamente i freni posteriori rimasero entrobordo anche con la nuova soluzione. Dal punto di vista estetico, la Quattroporte del 1965 si distinse per i quattro fari tondi in luogo dei due rettangolari e per l’esecuzione più matura, grazie alla razionalizzazione produttiva. Nel bel mondo la Quattroporte diventò l’automobile che “bisognava” avere, con il vantaggio di non essere né inglese né americana né tedesca: cioè di non apparire decadente, volgare o scontata. Nel 1969 l’ingegner Alfieri accontentò i clienti mai sazi di potenza deliberando la versione di 4.700 cc con 290 Cv. Ma solo l’anno dopo la buona stella della Quattroporte sarebbe tramontata improvvisamente perché la Citroën, proprietaria del marchio dal 1968, decise di sopprimerla per spianare la strada alla Indy, spaziosa coupé a quattro posti, che rinnegò il concetto formale della berlina per agganciarsi alla corrente stilistica lanciata dalla fortunata “due posti secchi” Ghibli. Poco dopo, la crisi energetica avrebbe spinto la Maserati, ancora nell’orbita della Citroën, a riprogettare la Quattroporte II col “piccolo” V6 Tipo 114 che equipaggiava la Citroën SM, la Maserati Merak e la Ligier JS2. L’influenza francese sulla Quattroporte II era fin troppo evidente nella trazione anteriore e nelle sospensioni idro-pneumatiche: due soluzioni troppo estranee alla tradizione della Casa di Modena, alla quale nessuno riconobbe di essere una vera Maserati. Ciò ne pregiudicò il successo, impedito inoltre dal ritiro della Citroën dalla proprietà della Maserati e dall’abbandono del progetto ancora prima dell’ottenimento dell’omologazione CEE. Ecco perché le 13 vetture pre-serie costruite finirono in Paesi accomodanti, dai quali sono tornate in Europa solo recentemente, omologate come auto storiche. Il ritiro della Citroën portò la Maserati a vivere un pericoloso periodo di stallo, da cui sarebbe uscita l’otto di agosto del 1975 con l’intervento della GEPI e di Alejandro de Tomaso. Un anno dopo lo sforzo del rilancio si concretò nella Quattroporte III, che riprese il motore V8 e la trazione posteriore. Fra le principali novità meccaniche rispetto al passato c’erano il cambio automatico di serie (a richiesta rimaneva un cinque marce manuale), le sospensioni posteriori a ruote indipendenti, lo sterzo a cremagliera servoassistito e l’accensione elettronica. Mentre il motore riprendeva l’apprezzato schema del Tipo 107, la linea era tutta nuova. Era opera di Giorgio Giugiaro, al quale la Casa aveva richiesto un progetto realizzabile con attrezzature poco costose. Al grande stilista bastarono tre linee: quella di cintura, lo sguscio a mezza altezza e la nervatura sotto le porte, per definire la fiancata “bloccandone” orizzontalmente la cospicua massa. Disegnò i finestrini come trapezi e al padiglione adattò il suo stilema dei montanti larghi, come nella Volkswagen Golf nel 1974 e nella Lancia Delta del 1979, per conferire riservatezza ai posti dietro. In definitiva, il lavoro che più impegnò il designer fu la ricerca dei rapporti più giusti fra le masse, per conferire all’insieme un aspetto importante ed allo steso tempo sportivo. Il risultato della ricerca è visibile nel massiccio volume del muso con paraurti alto e in quello del baule, leggermente rialzato rispetto alla linea di cintura per dare slancio alla coda. Purtroppo la ricerca dell’economia costruttiva portò qualche incongruenza nei fari anteriori e nelle maniglie, presi da auto di gran serie, perché costava troppo costruirli apposta. La Quattroporte III esprimeva il meglio del proprio stile nell’abitacolo, dominato da pelli e legni lavorati con un’artigianalità tutta italiana che non aveva nulla da invidiare a quella inglese e che crea va un’atmosfera calda .La tecnologia del comfort introdotta dalla Maserati nel 1963 con i vetri elettrici e il condizionatore dell’aria fece un altro passo avanti nella Quattroporte III con i sedili (tutti) regolabili elettricamente in altezza, lunghezza e inclinazione, con i retrovisori regolabili dall’interno, la chiusura centralizzata e il condizionamento separato per i posti dietro, con ripetizione dei comandi sulla console davanti ai passeggeri.

GLI ACCESSORI

MOBILE BAR CON FRIGO E TELEFONO DI SERIE SULLA ROYALE

Fino al 1979 la produzione della Quattroporte III non superò i 3/5 esemplari l’anno, poi decollò con la razionalizzazione delle attrezzature, che comportò piccole modifiche, come i paraurti con “soffietti” e i cerchi di nuovo disegno con pneumatici maggiorati. Fra le berline Maserati del passato, la Quattroporte III ha ottenuto il maggiore successo commerciale, concludendo la sua esistenza nel 1990 dopo 2.210 esemplari prodotti. L’ultimo atto della Quattroporte III iniziò nel 1987 e si chiamò Royale: una versione molto esclusiva che portò il lusso ad un livello mai visto in una berlina italiana: bisognava risalire a certe Isotta Fraschini, Lancia e Alfa Romeo degli anni 30 per ritrovare un vano portabicchieri con calici dorati, tavolini di radica di noce e poltrone soffici come nuvole. In più, la Royale aveva due attrattive impensabili sulle regine del passato: il mobile bar con il frigo e il radio telefono. Certo, l’ingombrante apparecchio nero, con la classica cornetta, fa sorridere di fronte ai telefonini di oggi, ma all’epoca destò sensazione. Gli altri elementi caratteristici della Royale erano: nella meccanica il motore potenziato a 300 Cv; nell’interno gli elementi di radica con superfici curve; all’esterno la fascia lucida sotto le porte e i grandi copri ruota. La Royale restò in produzione dal 1987 al 1990 totalizzando solo 53 esemplari, il numero giusto per garantirle un posto riservato nel mondo del collezionismo. Nel quale le berline riscuotono tradizionalmente meno interesse dei modelli più sportivi : ecco perché oggi è possibile acquistare a prezzi relativamente contenuti anche modelli assolutamente straordinari come le Quattroporte. Le 4200/4700 prodotte dal 1963 al 1970 sono le più apprezzate, ma le loro quotazioni raramente superano i 20.000 euro. Le Quattroporte del 1976/1981 sono le più a buon mercato: meno di 7.000 euro, ma è difficile trovare esemplari veramente perfetti. Un restauro a regola d’arte (ma anche una manutenzione scrupolosa) hanno costi elevati e chi li ha sopportati non si separa dall’oggetto delle proprie cure per pochi soldi. 

I RICAMBI

RICAMBI DI CARROZZERIA QUASI INTROVABILI

I punti di forza delle Quattroporte sono le finiture di qualità superiore, i motori generosi in tutte le cilindrate, l’abitabilità regale e le prestazioni sportive. Le Quattroporte permettono di entrare nell’ovattato mondo delle supercar senza spendere follie. Ma attenzione, bisogna prendere in considerazione solo esemplari veramente a posto, magari spendendo qualcosa di più, perché in caso contrario i costi di revisione potrebbero annullare il vantaggio della minor spesa iniziale, o peggio ancora portare il budget a un livello inaccettabile . La maggioranza dei ricambi della meccanica delle versioni 8V sono comuni ad altri modelli Maserati,  mentre quelli delle rarissime V6 sono comuni alla Citroën SM. La reperibilità non pone dunque problemi, anche se qualche volta i prezzi non sono propriamente contenuti. Per i ricambi della carrozzeria la situazione è meno rosea: quelli della V6 ovviamente non esistono, ma anche quelli delle V8 prime serie si trovano con molta difficoltà e quelli delle ultime non abbondano. Ciò significa che può essere necessario ricostruire dal niente un pannello introvabile, con costi ovviamente elevati. Fra i modelli disponibili in due cilindrate, è meglio orientarsi verso la più alta, non solo per la maggior potenza, ma anche perché le più “grosse” di solito erano anche più ricche d’accessori. Come spesso accade con le automobili da collezione, le serie da preferire sono la prima e l’ultima. In questo caso le 4.200 del 1963, con in ponte De Dion, oppure le 4.900 Royale degli anni 80, ricchissime nelle dotazioni e molto rare: solo 53 esemplari costruiti. Certo, i costi di gestione per tutte le serie non saranno paragonabili a quelli di un’utilitaria, a iniziare dai consumi: ma è difficile conciliare il piacere di viaggiare da re con budget più contenuti

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