Materia prima – La Fiat S 61 (1908)
Sulla macchina di appoggio, con il fotografo nel bagagliaio per scattare i “camera car”, cerchiamo di sfuggire a un mostro che sbuffa, fischia e scoppia. Ci giriamo per controllare la distanza tra le due auto e incrociamo la tremenda smorfia di Raffaele Terlizzi, curatore e responsabile tecnico delle collezioni di FCA Heritage, nostro pilota in questa occasione, impegnato nel cercare di domare il mostro e farlo curvare. La belva è una macchina da “Grand Prix”, il caso di dire una nonna inferocita: ha la bellezza di 116 anni! La Fiat S61 è del 1908, cilindrata 10 litri, potenza stimata vicino a 120 CV, a un regime di poco inferiore a 2000 giri.Ci rimettiamo in osservazione della strada, anzi della pista: siamo sul circuito del Centro Sicurezza di Orbassano: la sede stradale non è molto larga, come una strada di campagna a due corsie, e circondata per tutta la lunghezza da una lama di guard-rail a destra e sinistra. Sullo sfondo, la cornice delle Alpi, con il Moncenisio così vicino che sembra di toccarlo. Il circuito è lungo 1,8 km, vagamente ovale con due curve sopraelevate e una, piatta e di raccordo tra i due rettilinei, a raggio variabile. I due km scarsi non sono del tutto adatti a contenere la forza di bielle (in acciaio stampato) lunghe 360 mm e dal peso di 1300 grammi l’una: la S61 scalpita, sembra voler mordere l’asfalto con i suoi pistoni da 130 mm di diametro. Coordinarsi nell’operazione fotografica è complicatissimo: quando noi deceleriamo per lasciarci avvicinare dalla S 61, l’enorme coppia motrice prende il sopravvento e di inerzia ci supera; viceversa, nel momento in cui si molla il gas, la Fiat secolare sporca un po’ le candele e la nostra automobilina moderna allunga senza volerlo. È un maledetto elastico: servirebbe un circuito di km e km di rettilinei, come quelli su cui questa “Grand Prix” amava correre agli albori dell’automobilismo.Controlliamo di nuovo lo specchio retrovisore, proprio nel momento in cui il rilascio del gas sulla Fiat da Gran Premio provoca un’orrenda torsione della catena di trasmissione finale che, sotto quelle infernali sollecitazioni, sbatte come una frusta e sembra sul punto di cedere e cadere sull’asfalto come un serpente travolto da una forza ancestrale. Miracolosamente, invece, regge e arriviamo alla fine dei giri. A questo punto l’impresa è spegnere il poderoso prodigio di meccanica: dopo essere partita alla… prima spinta (manovrare la manovella di avviamento è impresa per la quale servirebbe Lothar, il gigantesco assistente di Mandrake il mago) non ne vuole sapere di mettersi a riposo. La Fiat S 61 ha voglia di andare, di correre libera verso l’orizzonte come faceva allora, su chilometrici circuiti polverosi. Come sono diversi da quelli d’oggidì questi motori: non basta girare la chiave in un verso e poi nell’altro. Bisogna dargli da bere, acqua olio e benzina, per avviarla; e per metterla a riposo modificare l’anticipo finché non si estingue da sola. Ma a volte non è sufficiente, l’autoaccensione è dietro l’angolo. Sembra un motore magico, l’aggettivo sulfureo non è usato a sproposito perché quei quattro enormi pistoni che immaginiamo mentre si muovono nei cilindri come se fossero tarantolati, paiono vivere di vita propria.
Sulla macchina di appoggio, con il fotografo nel bagagliaio per scattare i “camera car”, cerchiamo di sfuggire a un mostro che sbuffa, fischia e scoppia. Ci giriamo per controllare la distanza tra le due auto e incrociamo la tremenda smorfia di Raffaele Terlizzi, curatore e responsabile tecnico delle collezioni di FCA Heritage, nostro pilota in questa occasione, impegnato nel cercare di domare il mostro e farlo curvare. La belva è una macchina da “Grand Prix”, il caso di dire una nonna inferocita: ha la bellezza di 116 anni! La Fiat S61 è del 1908, cilindrata 10 litri, potenza stimata vicino a 120 CV, a un regime di poco inferiore a 2000 giri.
Ci rimettiamo in osservazione della strada, anzi della pista: siamo sul circuito del Centro Sicurezza di Orbassano: la sede stradale non è molto larga, come una strada di campagna a due corsie, e circondata per tutta la lunghezza da una lama di guard-rail a destra e sinistra. Sullo sfondo, la cornice delle Alpi, con il Moncenisio così vicino che sembra di toccarlo. Il circuito è lungo 1,8 km, vagamente ovale con due curve sopraelevate e una, piatta e di raccordo tra i due rettilinei, a raggio variabile. I due km scarsi non sono del tutto adatti a contenere la forza di bielle (in acciaio stampato) lunghe 360 mm e dal peso di 1300 grammi l’una: la S61 scalpita, sembra voler mordere l’asfalto con i suoi pistoni da 130 mm di diametro. Coordinarsi nell’operazione fotografica è complicatissimo: quando noi deceleriamo per lasciarci avvicinare dalla S 61, l’enorme coppia motrice prende il sopravvento e di inerzia ci supera; viceversa, nel momento in cui si molla il gas, la Fiat secolare sporca un po’ le candele e la nostra automobilina moderna allunga senza volerlo. È un maledetto elastico: servirebbe un circuito di km e km di rettilinei, come quelli su cui questa “Grand Prix” amava correre agli albori dell’automobilismo.
Controlliamo di nuovo lo specchio retrovisore, proprio nel momento in cui il rilascio del gas sulla Fiat da Gran Premio provoca un’orrenda torsione della catena di trasmissione finale che, sotto quelle infernali sollecitazioni, sbatte come una frusta e sembra sul punto di cedere e cadere sull’asfalto come un serpente travolto da una forza ancestrale. Miracolosamente, invece, regge e arriviamo alla fine dei giri. A questo punto l’impresa è spegnere il poderoso prodigio di meccanica: dopo essere partita alla… prima spinta (manovrare la manovella di avviamento è impresa per la quale servirebbe Lothar, il gigantesco assistente di Mandrake il mago) non ne vuole sapere di mettersi a riposo. La Fiat S 61 ha voglia di andare, di correre libera verso l’orizzonte come faceva allora, su chilometrici circuiti polverosi. Come sono diversi da quelli d’oggidì questi motori: non basta girare la chiave in un verso e poi nell’altro. Bisogna dargli da bere, acqua olio e benzina, per avviarla; e per metterla a riposo modificare l’anticipo finché non si estingue da sola. Ma a volte non è sufficiente, l’autoaccensione è dietro l’angolo. Sembra un motore magico, l’aggettivo sulfureo non è usato a sproposito perché quei quattro enormi pistoni che immaginiamo mentre si muovono nei cilindri come se fossero tarantolati, paiono vivere di vita propria.
