Né Maserati né Lamborghini: Nicola Pietrangeli ha guidato una Toyota fino alla fine dei suoi giorni | Ne era ossessionato per l’utilità
Pietrangeli @foto di Coni.it _ automobilismodepoca
Negli ultimi anni della sua vita, il campione sceglieva una piccola Toyota iQ: niente fuoriserie esibite, solo una citycar compatta, pratica e perfetta per Roma.
Per chi lo associa alle immagini in bianco e nero del Roland Garros o ai racconti di Ferrari e supercar, l’idea è quasi spiazzante. Dietro il mito della racchetta che faceva impazzire il mondo, c’era un signore che per muoversi in città aveva scelto la più umile delle soluzioni possibili: una micro-car giapponese da usare ogni giorno, senza timore dei sanpietrini né dei parcheggi impossibili.
Nell’intervista in cui ripercorreva la sua vita tra racchette e motori, Pietrangeli lo spiegava con la solita ironia: a Roma fa fatica a camminare, quindi guida ancora, e lo fa a bordo di una Toyota iQ. “Com’era la pubblicità? Toglietemi tutto, ma non la mia iQ”, scherzava, sottolineando quanto si trovasse bene con quella scatoletta a quattro ruote che lo portava “dappertutto” in mezzo al caos della Capitale.
Dalla Ferrari da sogno alla citycar perfetta per i parcheggi impossibili
La storia automobilistica personale era cominciata in tutt’altro modo. Con i soldi del Totocalcio, raccontava, si era tolto lo sfizio di una Ferrari 308, simbolo di un’epoca in cui i campioni del tennis iniziavano a frequentare gli stessi ambienti delle star del motore. Quel V8 rombante gli regalò emozioni e qualche brivido, come il celebre sorpasso sull’Aurelia in cui la “rossa” ebbe un sussulto proprio nel momento meno opportuno.
Eppure, col passare degli anni, il mito delle supercar lasciò spazio a esigenze molto più concrete. La Toyota iQ, auto lunga poco più di tre metri, diventò la compagna ideale per affrontare Ztl, doppie file e posteggi al millimetro: “A Roma è molto ricercata, essendo di dimensioni ridotte e facile da parcheggiare”, spiegava con orgoglio. Niente Maserati rombanti né Lamborghini da copertina: la vera ossessione era trovare posto sotto casa e riuscire a infilarsi dove le altre non entrano.

“Toglietemi tutto, ma non la mia iQ”: la filosofia di un campione pratico
In quella scelta c’era tutta la sintesi di una vita passata tra lusso e quotidianità. Chi poteva permettersi una Ferrari decide di tenersi stretta una microcar fuori produzione, tanto da lamentarsi del fatto che non la fabbrichino più. La misura del successo, per lui, non stava nel valore del listino, ma nella capacità di muoversi ancora in autonomia, arrivare puntuale a un circolo, a una cena, a un impegno televisivo senza perdere ore dietro al traffico o ai posti auto inesistenti.
La piccola Toyota finisce così per raccontare più di tante supercar comparse di sfuggita nella sua biografia. È il simbolo di un rapporto con l’automobile profondamente “romano”: contano l’agilità, le dimensioni, la facilità di parcheggio, più che la potenza al banco prova. Fino agli ultimi anni, la iQ è rimasta il suo strumento di libertà, la prova concreta che, dopo una vita trascorsa tra grandi palcoscenici sportivi e mondani, ciò che davvero conta è poter salire in macchina, girare la chiave e farsi portare “dappertutto” senza complicazioni inutili.
