Senza paura: la de Filippis racconta Maserati

Mancata stanotte a 89 anni la "contessa volante". Per ricordarla, vi riproponiamo un'intervista che ci ha rilasciato nel 2010. Buon viaggio...

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Dagli Stati Uniti arriva un bellissimo filmato. Anche se commerciale, è un piccolo capovaloro per appassionati, imperdibile. Con l’occasione ne approfittiamo per riproporre di seguito la bella intervista che Maria de Filippis concesse al nostro Dario Mella, pubblicata su Automobilismo d’Epoca di Febbraio 2010.

 

 

Maria Teresa de Filippis era soprannominata “il pilotino”, per il fisico minuto: ma il soprannome è inversamente proporzionale alle doti di guida. In quella giovane donna graziosa c’era (e c’è tuttora) grande energia, che le ha permesso di esprimersi ai più alti livelli con le potenti e difficili F.1 a motore anteriore come con le scorbutiche Sport, nelle gare in pista e su strada. Le doti di guida le valsero la stima e il rispetto degli altri piloti. Per il suo attaccamento alla Maserati, la de Filippis è stata nominata presidente onorario a vita del Club del Tridente; tra le tante cariche che riveste, è anche vice-presidente del Club International des Ancièns Pilotes de Grand Prix F1, socio onorario del British Racing Driver’s Club e membro del Comitato d’onore della Mille Miglia. Insomma, protagonista dell’età d’oro delle corse, e oggi del mondo dell’automobile in generale. L’abbiamo incontrata, manco a dirlo, in occasione dell’ultima “Mitiche Sport” a Bassano del Grappa, dov’era madrina della manifestazione.

 

Una ragazza, non ancora maggiorenne, che vuole correre in auto: non un fatto comune, in quegli anni. Come reagirono i suoi familiari?

Papà non era più vivo, ma ne sarebbe stato felicissimo. Mamma la prese con la sua solita, simpatica maniera di risolvere le cose senza fare tante storie. Mi disse: “Bambina mia, vai piano e vinci”.

 

Quale fu la molla interiore che la spinse verso le corse?

Fu una scommessa con i miei fratelli. Uno diceva che non sarei stata capace di di prestazioni pari agli altri piloti, l’altro sosteneva il contrario ed io ho cominciato con le prime gare: la Sorrento-Sant’Agata per esempio. Erano corse in salita, importanti per imparare a pilotare e che mi hanno sempre divertita. Correre in salita è stato entusiasmante. Bisognava partire forte e andare subito via veloci e poi continuare senza incertezze od errori, che in salita si pagano assai cari.

 

Quali piloti le sono stati più vicino?

Gigi Villoresi, specie quand’ero agli esordi. L’altro va a Luigi Musso, che mi ha insegnato le finezze della guida di una Formula Uno. Luigi, che chiamavo affettuosamente “Gè”, era un perfezionista. Mi ha insegnato a migliorare lo stile e a rendere più pulite e redditizie le traiettorie. Si trattava, ripeto, di finezze, ma nella guida da corsa sono molto importanti per abbassare il tempo sul giro. Un altro ringraziamento va a Jean Behra, un uomo senza paura che mi incitava ad andare sempre più forte.

 

Come definisce il suo stile di guida? Pensa di assomigliare a qualcuno?

Posso definirmi una stilista. Ho fatto mio quello che mi suggeriva Musso, che non era teoria, ma pratica. Mi diceva: “Siediti lì e vai”. Mi ha insegnato, tra l’altro, a partire bene, che non è poco. Non ho mai bruciato una frizione, per esempio, cosa che invece ogni tanto capitava a qualcuno. La prima volta che salii sulla Maserati 250 F di F1 fu a Siracusa. Mi fu consegnata sul circuito di gara: non l’avevo nemmeno provata prima. Lui allora prese la sua Ferrari e mi disse di seguirlo. Cominciò a girare davanti a me dettandomi le traiettorie e il ritmo che avrei dovuto tenere in gara. Ecco, se c’è qualcuno a cui posso dire di somigliare nello stile di guida è proprio Luigi Musso.

 

Com’era il rapporto fra voi piloti, fuori e dentro la pista?

Eravamo tutti amici. Il rischio che si correva in quegli anni creava un clima di intesa, di rispetto e di reale amicizia. I circuiti e le macchine non erano sicuri come oggi: la morte era sempre in agguato e uscire da un incidente con qualche osso rotto era una vittoria. In pista si duellava, ma fuori eravamo un gruppo molto affiatato. Allora, inoltre, non si guadagnava come oggi. Si correva per passione pura e per divertimento. Sì, c’erano i premi, gli ingaggi, ma spesso i piloti dovevano mettere i soldi di tasca propria. Io le auto da corsa le ho acquistate e pagate. In più c’era la possibilità di conoscere i campioni che correvano in F1 incontrandoli nelle gare riservate ad altre categorie. Fu così che, quando approdai alla F1, almeno potevo dire di essere amica di qualcuno di loro che avevo conosciuto nelle gare Sport.

 

Ci racconti di quella volta che Alberto Ascari le fece le linguacce...

Accadde al Circuito di Posillipo, nel 1951. Durante le prove si ruppe il motore della mia auto. Mi fermai e parcheggiai la macchina in un punto particolare del circuito, dopo una discesa che terminava con una curva a gomito. Scesi e mi sedetti su una balla di paglia a guardare gli altri che passavano. Tra questi c’era Ascari. Quando si accorse che ero lì, passandomi vicino, mi mostrò la lingua sorridendo. E lo ripetè per altre due o tre volte. Non ho mai saputo il motivo. Si poteva fare: non c’era ancora il casco integrale...

 

Nel 1959, a Montecarlo, lei passò alla guida della Behra-Porsche RSK a motore posteriore. Com’era quella macchina?

Una vettura da corsa a motore posteriore all’epoca era una rivoluzione. Era l’auto che avrei dovuto pilotare nella stagione 1959. Uso il condizionale perché la scomparsa di Jean Behra in un incidente all’autodromo dell’Avus cambiò totalmente il corso degli eventi. La macchina era stata costruita a Modena da Neri e Bonacini e aveva un motore Porsche da un litro e mezzo di cilindrata per la F2. Era una monoposto veloce ma non la conoscevo perché l’avevano portata al circuito solo il giorno prima del GP. Non avevano fatto in tempo nemmeno a verniciarla. Feci alcuni tentativi per qualificarmi, ma nulla da fare: il tempo non usciva. La provò anche Hans Herrmann, ex-pilota Mercedes, che peraltro non riuscì a girare nemmeno sui miei tempi, anche se bisogna dire che l’abitacolo era stato costruito sulle mie misure e un uomo alto e robusto come Herrmann dentro quell’angusto spazio si trovava a disagio. Alla fine, comunque, la qualifica saltò fuori e Jean (Behra, che corse quel GP con una Ferrari, n.d.r.) e i meccanici non stavano nella pelle dalla contentezza. A quel punto però arrivò la doccia fredda: l’organizzazione mi escluse dallo schieramento perché, secondo loro, il giro buono per la qualifica era stato fatto quando il tempo a disposizione per le prove era scaduto. Non era vero: dissero questo per ragioni politiche, per ammettere al via Cliff Allison, pilota Ferrari, che altrimenti sarebbe stato escluso. Almeno, così mi fu detto. Fu un vero e proprio scandalo. Rimasi fuori dallo schieramento di partenza e mi misi a piangere per la rabbia. Il resto della stagione fu condizionato dal diverbio che Jean Behra ebbe con Enzo Ferrari e che lo portò ad abbandonare Maranello. Poco tempo dopo, il 1° agosto 1959, Jean perse la vita.

 

Fu in quel momento che maturò la decisione di abbandonare le corse?

Sì. Avevo visto morire prima Luigi Musso, poi Jean Behra. Mi trovavo a Riccione quel giorno, a casa di amici, e appresi la notizia alla radio.

 

In un mondo declinato al maschile, lei ha dato di sè un’immagine squisitamente femminile, con una particolare cura della persona e del vestire. Maria Teresa de Filippis era sempre elegante e non aveva mai niente fuori posto.

Beh, quando scendevo dalla macchina non era proprio così: avevo, come tutti, il viso sporco di nero, però, dopo essermi lavata e cambiata, ritornavo ad essere “la signorina F1”, magari con in testa il foulard che a me piaceva.

 

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Nel segno della Maserati

Il battesimo in corsa della contessa Maria Teresa de Filippis avviene a 21 anni, quando, con una Fiat 1100 S coupé partecipa (in coppia con il fratello Antonio) al Giro di Sicilia che si corre il 4 aprile 1948. Fino al 1951 gareggia in salita e su strada, cogliendo ottimi risultati che la fanno conoscere ed apprezzare. Ed è applaudita protagonista, come avviene al 4° Circuito del Castello nel 1952 quando, seconda assoluta, è attardata dallo scoppio di un pneumatico della sua Giaur. Dopo un furioso inseguimento, conclude all’ottavo posto. Nel 1953, con la più potente Osca Mt4 dei fratelli Maserati, Maria Teresa è prima di classe e quarta assoluta alla 12 Ore di Pescara. In quello stesso anno vince la classe alla Catania-Etna e al Trullo d’Oro. Il 1954 la vede ottenere brillanti piazzamenti ed una vittoria assoluta alla Corsa del Redentore in Sardegna. Dopo la Osca Mt4 è la volta, nel 1955, della Maserati A6GCS di 2 litri. Il salto in termini di potenza è rilevante, ma Maria Teresa capisce al volo la nuova vettura interpretandola al meglio come fanno i nomi importanti, quali Villoresi, Bracco e Valenzano. Al Mugello, però, ha un incidente che per poco non le costa la vita. Lo sportello dal lato guida della sua Maserati si spalanca nel bel mezzo d’una curva. Maria Teresa ha la prontezza di afferrarlo e di richiuderlo, ma, nell’effettuare questa manovra, allarga la traiettoria e finisce sul brecciolino. La macchina slitta, esce di strada e si ferma in bilico sullo strapiombo. Nello stesso anno vince ancora la Catania-Etna, è seconda al Premio Pergusa, terza alla 10 Ore Notturna di Messina e quarta di classe, in coppia con Luigi Bellucci, alla Targa Florio. Il 1955 vede la prima trasferta oltreoceano per la de Filippis, la cui notorietà supera ormai i confini nazionali. E’ il 6 novembre quando la forte pilota napoletana corre, con la Maserati A6GCS, il primo Gran Premio del Venezuela. Deve dare forfait per noie alla frizione. A fine stagione la CSAI, in virtù del secondo posto conseguito nel Campionato Italiano Categoria Sport, premia Maria Teresa de Filippis con la Coppa d’Onore. Il 29 gennaio 1956, a Buenos Aires, si corre la 1000 km, un appuntamento in circuito che diverrà un classico nel Campionato Mondiale Sport Prototipi. Su quella pista, dopo una curva che immette sul rettifilo, Maria Teresa entra in collisione con un altro concorrente. La sua vettura termina la corsa contro la rete di recinzione e lei viene catapultata fuori dall’abitacolo Si ritrova stesa sul tracciato con una spalla fratturata e ferite varie, ma riesce a trascinarsi a bordo pista. Una volta ristabilitasi, arriva seconda nel classico appuntamento al Circuito di Posillipo. Il 1958 è l’anno del debutto in F1. Acquistata una monoposto Maserati 250 F, il 13 aprile la de Filippis si presenta al via del GP di Siracusa, non valido per il mondiale, ma al quale partecipano tutti i migliori. Non ha mai pilotato una monoposto di F1 e conosce la 250 F il giorno delle prove. Deve familiarizzare con la macchina, capirne le potenzialità e imparare il circuito. Con una difficoltà in più: nella 250 F la leva del cambio passa in mezzo alle gambe e il pedale dell’acceleratore è al centro, tra quello del freno e quello della frizione, anziché sulla destra. E tutti gli automatismi della guida connessi alla posizione dei pedali devono essere rifatti. Il tutto nell’arco di un fine settimana. Ma Maria Teresa imparava molto in fretta e terminò con un ottimo 5° posto. Il 18 aprile si corre a Montecarlo. Ci sono ben sette Maserati (tutte private) su venticinque iscritti, di cui soltanto sedici prenderanno il via, per cui la lotta per qualificarsi è serrata. Maria Teresa non la spunta per un guasto alla sua 250 F che le impedisce di migliorare, ma almeno ha la consolazione di essere la quarta tra i sette su Maserati, nonché la terza degli esclusi, precede gente come Chiron, Gerini, Taramazzo, Cabianca, Emery. La prestazione non passa inosservata: sui giornali fa notizia le giunge l’invito (a cui non darà seguito) di recarsi in Inghilterra per provare una Cooper. Il 15 giugno è in calendario il GP del Belgio e d’Europa, a Spa-Francorchamps. Questa volta Maria Teresa riesce a qualificarsi per il debutto in una gara iridata. Dopo quasi 340 km pieni di insidie e rischi, in un circuito dove non aveva mai corso, chiude con un significativo decimo posto a due giri dal vincitore (Tony Brooks su Vanwall) e subito dietro Joakim Bonnier, su un’altra Maserati. L’appuntamento seguente è in Francia, dove le autorità sportive le negano l’iscrizione, in quanto donna, a causa dell’incidente di due anni prima in cui, a Reims, era morta un’altra pilota, Annie Bousquet. In quel GP morirà Luigi Musso, fatto che la segna profondamente. Il 24 agosto, ad Oporto, si corre il GP del Portogallo. Il circuito è lungo (7.407 metri) e ha un andamento sinuoso nella parte alta, quasi dal lato opposto alla partenza, seguito da due lunghi rettilinei che terminano con curve secche nel primo tratto dopo il traguardo. Durante le prove la de Filippis, a causa di un guasto, va in testacoda in pieno rettilineo a oltre 250 orari. Finisce la corsa abbattendo un palo di cemento. E’ scossa, ma l’incidente, che si risolve senza danni per lei, è presto dimenticato e in gara è costretta al ritiro al 7° giro. Monza, penultima prova del mondiale, è in calendario due settimane dopo. Maria Teresa, però, non sta bene. In più, le rubano l’abbigliamento da corsa e la licenza. Gli organizzatori capiscono e non fanno un problema per la licenza e Jean Behra le presta un suo casco. La gara è una penitenza, anche per la penuria di CV dell’ormai superato motore Maserati rispetto ai concorrenti. Eppure stringe i denti, soffre, non molla. Al 58° dei 70 giri previsti si deve però ritirare per il cedimento d’una biella. Il 1959 si apre a Montecarlo. Accantonata la Maserati 250 F, Maria Teresa attende che le sia consegnata la monoposto preparata per lei da Jean Behra, pilota Ferrari con cui ha un rapporto di sincera amicizia. E’ una F2 di un litro e mezzo, a motore posteriore, adatta al circuito ma da conoscere senza averla provata prima, come l’anno precedente a Siracusa; e come allora ne esce alla grande. Gira, prende confidenza, trova l’assetto giusto e alla fine è qualificata. Poi, la... ragion di stato prenderà il sopravvento.

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