L’idea di un simile modo di costruire una sportiva non era poi così strampalata: basta guardare l’accordo che, più o meno nello stesso periodo, sottoscrissero la Fiat e la Ferrari per dare vita alle Dino Gt e Spider. Le scocche delle 914 erano prodotte dalla Karmann, una sussidiaria della Volkswagen, che poi le allestiva nella versione a quattro cilindri per conto della Casa madre. La versione a sei cilindri (siglata 914/6) era invece montata direttamente dalla Porsche su scocche acquistate un prezzo di favore dalla Volkswagen. E proprio su questo punto l’accordo si deteriorò: nel 1973 il trattamento di favore cessò e la Porsche si trovò a pagare le scocche Karmann a un prezzo non più concorrenziale. Ecco perché la Casa di Stoccarda decise di cessare la produzione della versione a sei cilindri di due litri, che poi fu sostituita da una due litri con motore a quattro cilindri derivato da quello della Volkswagen 412. Ma poiché non c’è mai limite al peggio, la Volkswagen a un certo punto decise di ritirarsi del tutto dall’affare, lasciando sola la Porsche nel caso avesse voluto continuare. La casa di Stoccarda accettò. A quel punto la produzione passò totalmente alla Karmann con la supervisione della Porsche, che si occupò pure della distribuzione delle rinnovate 914/1.8 e 914/2.0 presso la propria rete commerciale.
Quando la 914 venne lanciata, nel 1969, la sua linea anticonvenzionale piacque subito, con i volumi insolitamente allargati, le superfici levigate appena mosse dalle increspature innescate dai lampeggiatori anteriori, il grosso roll-bar con il lunotto incassato, la coda pulitissima e il tetto che, una volta riposto nel baule, trasformava la carrozzeria da coupé a spider. Nel panorama delle sportive di costo magari non popolare, ma neppure da nababbi, era nato qualcosa di nuovo.