Sei cilindri d'autore

Il V6 montato su numerose Alfa Romeo, di produzione e da corsa noto con il cognome del suo progettista, è uno dei motori più longevi e versatili della storia del Biscione, e un vero mito per gli appassionati. L'articolo completo su Automobilismo in edicola.

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Un motore nato molto bene e cresciuto ancora meglio. Questa, in estrema sintesi, può essere la migliore presentazione per il capolavoro di Giuseppe Busso, il tecnico e progettista che in Alfa Romeo aveva già dato un formidabile contributo fin dal suo arrivo, nel 1939, con le prime esperienze sulle auto da corsa del Biscione e una breve parentesi con Ferrari. Nel dopoguerra è uno degli artefici della conversione in grande industria automobilistica dell’Alfa Romeo. Progetta il motore della 1900, l’auto della svolta: un quattro cilindri bialbero, già pensato per esser prodotto interamente in lega leggera anche se poi la versione definitiva avrà il basamento in ghisa. Il passo successivo sarà, nel 1954, il quattro cilindri 1300 della Giulietta, finalmente tutto in alluminio: un motore fantastico, cresciuto poi a 1600, 1750 e 2000 cc ed evoluto senza sosta fino alla doppia accensione e all’alimentazione ad iniezione per essere abbandonato definitivamente soltanto nel 1996, dopo una carriera durata ben 42 anni! Questo giusto per dire chi era Giuseppe Busso e per meglio inquadrare la genialità progettuale che si cela dietro al motore di cui stiamo parlando.

Un nuovo 6 cilindri

È tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 che inizia a farsi avanti in Alfa l’idea di lanciare una berlina di classe superiore, da contrapporre alla crescente supremazia tedesca, che concretizzi al meglio quel mix di prestazioni e prestigio che da sempre sono alla base della filosofia del marchio. Nella storia recente c’è già stato il 6 cilindri in linea delle 2600 Berlina, Sprint e Spider, che però secondo le parole dello stesso Busso ha evidenziato non pochi problemi torsionali, tanto da averne impedito l’ulteriore sviluppo. Da queste considerazioni parte il progetto per un 6 cilindri a V, che da subito mostra due vantaggi importanti: la maggiore compattezza rispetto alla disposizione in linea dei cilindri e il migliore equilibrio di rotazione, con un albero a gomiti su quattro supporti. La crisi energetica del 1973 rallenta il progetto, che però riparte l’anno dopo, tanto che alcuni motori sono collaudati sulle scocche delle Alfetta 2000.

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