C’è chi dice che Michelotti fosse troppo occupato oppure, pensiamo noi, si sarà rifiutato di rimaneggiare in economia un suo disegno ancora così valido, fatto sta che l’incarico è affidato alla tedesca Karmann, non solo per la fornitura degli stampi e dell’attrezzatura per la produzione, e questa sarebbe un’ottima scelta, ma anche per il “restyling”; e questa, invece, è un’idea meno geniale in quanto i nuovi muso e coda concepiti ad Osnabrük, nel cuore della Bassa Sassonia, appaiono poco amalgamati con il corpo centrale della carrozzeria che rimane quello della TR5, come la parte meccanica, versione USA a carburatori compresa.
Ora però stop alle critiche sullo stile, innanzitutto perché la macchina ha un ottimo successo commerciale, quindi piace e non è corretto prescindere dal gusto generale; poi perché occorre anche riconoscere che oggi, a distanza di anni, la TR6 ha il pregio indiscutibile di avere una forte personalità: prerogativa decisiva, ancor più di tanti preziosismi stilistici, a conferire fascino ad una automobile.
Traspare con chiarezza, inoltre, la potenza nascosta sotto il cofano, non fosse altro che attraverso le grandi ruote in acciaio a canale allargato che, a partire dal secondo anno di produzione della TR6, sostituiscono fortunatamente le già criticate Rostyle: sono perfettamente coerenti e molto belle, come lo è il tetto rigido fornito a richiesta che, quando montato, contribuisce oltretutto in maniera determinante alla rigidezza della vettura: molto raro in Italia fin da allora, oggi è un ago nel pagliaio che conviene cercare.
La Triumph TR6 rimane in produzione dal 19 Settembre 1968, il giorno stesso in cui la TR5 PI le cede il testimone, fino al 15 Luglio 1976, quando i suoi ultimi esemplari, destinati agli USA, lasciano le linee di montaggio di Coventry. A quel punto è già iniziata la produzione della TR7 a scocca portante che, seguendo la denominazione dei modelli, dovrebbe essere considerata l’erede; cosa che non avviene poiché essa è prodotta per quasi un lustro soltanto come coupé, smentendo il proprio stesso nome (TR starebbe per “Triumph Roadster”) in perfetta sintonia con le follie di quel periodo storico in seno alla British- Leyland; ma anche perché nessuno degli appassionati e degli storici dell’automobile si sono mai sognati di accostare questi due modelli, troppo diversi tra loro, nella stessa dinastia.
La TR6, quindi, è da considerare l’ultima rappresentante di tale famiglia, costituita da generose vetture decapottabili a due posti, con telaio separato ma con sospensioni indipendenti anche dietro, molto brillanti e, al crepuscolo della loro storia, dotate di un motore che le renderà desiderabili per l’eternità; apparentemente sempre uguale a se stessa, in realtà la TR6 ha subito moltissimi aggiornamenti e variazioni tanto da configurare due serie...
L'articolo completo è stato pubblicato su Automobilismo d'Epoca - giugno 2017