È tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 che inizia a farsi avanti in Alfa l’idea di lanciare una berlina di classe superiore, da contrapporre alla crescente supremazia tedesca, che concretizzi al meglio quel mix di prestazioni e prestigio, da sempre alla base della filosofia del marchio. Nella storia recente c’è già stato il 6 cilindri in linea delle 2600 Berlina, Sprint e Spider, che però secondo le parole dello stesso Busso ha evidenziato non pochi problemi torsionali. Da qui il progetto per un 6 cilindri a V, che da subito mostra due vantaggi importanti: la maggiore compattezza rispetto alla disposizione in linea dei cilindri e il migliore equilibrio di rotazione, con un albero a gomiti su quattro supporti. La crisi energetica del 1973 rallenta il progetto, che però riparte l’anno dopo, tanto che alcuni motori sono collaudati sulle scocche delle Alfetta 2000.
Quando, nell’Aprile 1979, l’Alfa 6 è finalmente presentata al pubblico, le reazioni sono contrastanti. L’estetica convince poco, perché si tratta di una nemmeno tanto riuscita rielaborazione dell’Alfetta, di cui eredita il pianale, risalente a sette anni prima. Ma il motore entusiasma. A parte la disposizione a “V” di 60° dei cilindri, quello che incuriosisce è il sistema di distribuzione: monoalbero, che comanda direttamente le valvole di aspirazione, mentre quelle di scarico sono azionate da un bilanciere e una piccola punteria trasversale.
6 CARBURATORI MONOCORPO DA 40 MM
L’altra particolarità riguarda il sistema d’alimentazione: è caratterizzato da sei carburatori monocorpo da 40 mm, cioè un diffusore per ogni cilindro, una nuova applicazione del sistema Alfa Romeo definito ad alimentazione singola. Il risultato è degno di nota: potenza di 160 CV-DIN a 5.800 giri, il che significa una potenza specifica di 64,2 CV/litro, con una coppia massima di 22,4 kgm a 4.000 giri. Prestazioni notevoli, ma questo è il tipico caso di motore per il quale i numeri dicono pochissimo: tradotto in comportamento stradale, il V6 “Busso” è giudicato all’unanimità il migliore di tutti, tedeschi compresi che già nei primi anni ’80 dominano la scena delle “ammiraglie”.