di Rodolfo Solera - 27 January 2023

V6 Alfa Romeo: il capolavoro di Giuseppe Busso

Il V6 montato sul numerose Alfa Romeo, soprannominato “Busso” dal nome del progettista, è uno dei motori più longevi e versatili della storia della Casa del Biscione: un vero mito per gli appassionati

Un motore nato molto bene e cresciuto ancora meglio. Questa, in estrema sintesi, può essere la migliore presentazione per il capolavoro di Giuseppe Busso, il tecnico e progettista che in Alfa Romeo aveva già dato un formidabile contributo fin dal suo arrivo, nel 1939, con le prime esperienze sulle auto da corsa del Biscione e una breve parentesi con Ferrari. Nel dopoguerra è uno degli artefici della conversione in grande industria automobilistica dell’Alfa Romeo. Progetta il motore della 1900, l’auto della svolta: un quattro cilindri bialbero, già pensato per esser prodotto interamente in lega leggera, anche se poi la versione definitiva avrà il basamento in ghisa. Il passo successivo sarà, nel 1954, il quattro cilindri 1300 della Giulietta, finalmente tutto in alluminio: un motore fantastico, cresciuto poi a 1600, 1750 e 2000 cc ed evoluto senza sosta per essere abbandonato definitivamente soltanto nel 1996, dopo una carriera durata ben 42 anni! Questo giusto per dire chi era Giuseppe Busso e per meglio inquadrare la genialità progettuale che si cela dietro al motore di cui stiamo parlando.

Un nuovo 6 cilindri per l’ammiraglia

È tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 che inizia a farsi avanti in Alfa l’idea di lanciare una berlina di classe superiore, da contrapporre alla crescente supremazia tedesca, che concretizzi al meglio quel mix di prestazioni e prestigio, da sempre alla base della filosofia del marchio. Nella storia recente c’è già stato il 6 cilindri in linea delle 2600 Berlina, Sprint e Spider, che però secondo le parole dello stesso Busso ha evidenziato non pochi problemi torsionali. Da qui il progetto per un 6 cilindri a V, che da subito mostra due vantaggi importanti: la maggiore compattezza rispetto alla disposizione in linea dei cilindri e il migliore equilibrio di rotazione, con un albero a gomiti su quattro supporti. La crisi energetica del 1973 rallenta il progetto, che però riparte l’anno dopo, tanto che alcuni motori sono collaudati sulle scocche delle Alfetta 2000.

Quando, nell’Aprile 1979, l’Alfa 6 è finalmente presentata al pubblico, le reazioni sono contrastanti. L’estetica convince poco, perché si tratta di una nemmeno tanto riuscita rielaborazione dell’Alfetta, di cui eredita il pianale, risalente a sette anni prima. Ma il motore entusiasma. A parte la disposizione a “V” di 60° dei cilindri, quello che incuriosisce è il sistema di distribuzione: monoalbero, che comanda direttamente le valvole di aspirazione, mentre quelle di scarico sono azionate da un bilanciere e una piccola punteria trasversale.

6 CARBURATORI MONOCORPO DA 40 MM

L’altra particolarità riguarda il sistema d’alimentazione: è caratterizzato da sei carburatori monocorpo da 40 mm, cioè un diffusore per ogni cilindro, una nuova applicazione del sistema Alfa Romeo definito ad alimentazione singola. Il risultato è degno di nota: potenza di 160 CV-DIN a 5.800 giri, il che significa una potenza specifica di 64,2 CV/litro, con una coppia massima di 22,4 kgm a 4.000 giri. Prestazioni notevoli, ma questo è il tipico caso di motore per il quale i numeri dicono pochissimo: tradotto in comportamento stradale, il V6 “Busso” è giudicato all’unanimità il migliore di tutti, tedeschi compresi che già nei primi anni ’80 dominano la scena delle “ammiraglie”.

Nel 1980 anche per l’Alfetta GTV

Il riscatto arriva però già nel 1980, quando lo stesso motore è montato sulla scocca dell’Alfetta GTV, aggiornato con l’iniezione elettronica Bosch al posto del complicato e assetato sistema a carburatori: nasce così la GTV6, che ha buon successo di pubblico, è apprezzatissima all’estero e vince anche tanto, in pista e nei Rally. Visti gli ottimi risultati, il 2.5 a iniezione è poi montato sull’erede diretta dell’Alfetta, l’Alfa 90 (1984), sulla nuova Alfa 75 Quadrifoglio Verde (1985) e sulla 75 Milano (1986), cioè la versione “America” della 75 Q.V; sarà montato anche sulla 155 V6, già quindi in epoca Fiat: adattato alla trazione anteriore e alla disposizione trasversale, mantiene le ottime prestazioni originarie.

Nel 1983 debutta il 2 litri

3 litri nel 1987

Nel 1991 turbo, un anno dopo 24 valvole

Un successo anche in gara

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