di Francesco Pelizzari - 26 May 2023

Brabham BT 55 (1986): l'essenziale complicato

In piena era F1 turbo Gordon Murray tenta il ritorno alle origini: una monoposto bassissima per sfruttare appieno i CV del motore BMW. L’idea è buona, ma l’applicazione difficile funzionerà ... alla McLaren

È mercoledi 14 maggio 1986, sul circuito francese Paul Ricard, a Le Castellet, si tiene una sessione di prove private a cui partecipano alcune delle migliori scuderie di Formula 1. Sono presenti la McLaren con il campione del mondo Alain Prost e il compagno Keke Rosberg, la Lotus con Ayrton Senna, la Tyrrell e la Lola-Haas. C’è anche la Brabham, nel tentativo di capire come sviluppare e migliorare la BT 55, la monoposto rivoluzionaria progettata da Gordon Murray, che ha richiesto ingenti investimenti alla BMW ma non ha dato finora i risultati sperati. Le squadre sono reduci dal GP di Monaco disputato tre giorni prima, dove la Brabham ha dato un segnale di speranza con Riccardo Patrese, anche se in gara entrambe le monoposto del team di Bernie Ecclestone si sono dovute ritirare con i soliti problemi meccanici.
Il circuito provenzale di Le Castellet è usato molto spesso dai team sia per il clima mite della Provenza, sia per le caratteristiche del tracciato, velocissimo ma anche dotato di una parte mista stretta e un’altra misto-veloce; c’è tutto quello che serve per sviluppare una Formula Uno. Alla Brabham BT 55 invece manca tutto: velocità, affidabilità, maneggevolezza; inoltre consuma molto gli pneumatici. A De Angelis montano un nuovo alettone posteriore che dovrebbe aiutare a migliorare la trazione. Dopo il rettilineo dei box c’è una “S” velocissima, chiamata “La vetreria”, che le F1 affrontano in quarta, quinta per le Brabham che hanno il cambio a sette marce. A metà mattino De Angelis transita davanti ai box; dopo pochi secondi l’urlo del suo quattro cilindri BMW s’ interrompe improvvisamente, poi dai box vedono salire un filo di fumo in lontananza. La gente ai box capisce subito, qualcuno sale in macchina e si dirige verso il luogo di quello che appare senza dubbio come un incidente. Gli altri piloti in pista sono già sul luogo. La Brabham di De Angelis ha perso l’ala posteriore appena prima del punto di staccata, a circa 250 km/h; incontrollabile, si è girata e poi capovolta cinque o sei volte, fino a fermarsi centinaia di metri più in là, capovolta incendiata. Il pilota romano ha perso conoscenza. Sul circuito i soccorsi sono pochissimi e male organizzati, a quel tempo i test privati si svolgono praticamente sotto la responsabilità dei team. Passa molto tempo prima che si riesca ad estinguere le fiamme e ribaltare l’auto per estrarre dall’auto il povero De Angelis, che morirà il giorno dopo in ospedale a Marsiglia.

Baricentro

È il punto più basso della scuderia in quel momento di proprietà di Bernie Ecclestone, un team glorioso che ha vinto sei titoli mondiali, di cui quattro Conduttori. Il progetto della BT 55 si rivela fallimentare nonostante le premesse fossero tutt’altre. L’intento del progettista, il geniale sudafricano Gordon Murray, era quello di creare una vettura che tornasse all’essenza di una monoposto, cioè avere il baricentro più basso possibile per avere il massimo della tenuta di strada, la miglior frenata e in generale una maneggevolezza superiore grazie alla minor sensibilità ai trasferimenti di carico. E, soprattutto, liberare l’ala posteriore per sfruttare la potenza senza dover spostare il peso indietro. Per fare questo, Murray mette il pilota in posizione quasi sdraiata ed elimina quasi del tutto la carrozzeria ad eccezione della copertura dei condotti di aspirazione del motore. Questo grazie al fatto che BMW realizza un quattro cilindri, il suo che spinge le Brabham da fine 1982, inclinato verso sinistra rispetto al senso di marcia. La Casa bavarese tra progetto e realizzazione di una trentina di motori per la stagione, spende 17 miliardi di lire, una cifra mostruosa per l’epoca: le due squadre di ingegneri, quella inglese e quella tedesca, realizzano 732 disegni tecnici in 117.000 ore di lavoro.
Alla presentazione a gennaio 1986 la nuova monoposto della scuderia di Ecclestone stupisce il mondo delle corse: è bassissima e affusolata, sembra una macchina tagliata a metà e senza la parte superiore della carrozzeria tanto che, nella vista frontale, l’ala posteriore è completamente visibile. È uno dei pregi della macchina, che lascia completamente libero il flusso d’aria che la investe. Per ottenere questo risultato, il motore è inclinato di ben 72°, tanto che il cassoncino di aspirazione è quasi verticale (ed è l’elemento più sporgente dell’intera monoposto). Un’altra novità assoluta, nascosta, è il cambio: Weissman a 7 rapporti, quando le altre hanno 5 marce e qualcuno inizia soltanto a ipotizzare di montarne 6. Il volante è inclinato quasi come su un kart (dopo i primi collaudi sarà spostato quasi in verticale), per consentire la posizione sdraiata del pilota, le cui spalle restano comunque quasi del tutto esposte. Per la sua snellezza la BT 55 è subito ribattezzata da pubblico e addetti ai lavori “sogliola”.

Con le regole attuali del fondo piatto

- dice Gordon Murray nelle interviste dell’epoca -

era molto difficile per noi ottenere dei miglioramenti nello sfruttamento dell’effetto suolo, perché il nostro motore ha un solo turbo e un solo scarico da far soffiare nell’estrattore posteriore. Inoltre il motore BMW è molto alto rispetto ai 6 cilindri e questo penalizza l’efficienza dell’ala posteriore. Così sono tornato al concetto base di una macchina da corsa, che sia più bassa possibile


Gli faceva eco John Barnard: “La BT 55 ha solo vantaggi - diceva il neo direttore tecnico Ferrari -. È indubbiamente una strada molto difficile, ma ingloba in sé delle soluzioni estremamente geniali. Potrebbero esserci dei problemi per la disposizione degli accessori, per l’adattamento del motore, ma può essere una carta vincente”. Barnard era il tecnico più in voga in quel momento, autore dei primi telai in carbonio per la McLaren e del disegno rastremato al posteriore delle F1, imitato da tutti; nel 1989 la sua Ferrari farà scuola.
Il motore BMW è molto potente, ma in generale il quattro cilindri nell’era del turbo è un motore non competitivo in confronto ai sei cilindri, a meno di trovare soluzioni particolari. Nel 1983 Ecclestone si inventa i rifornimenti in gara e il motore bavarese rimarrà l’unico a fregiarsi di un titolo (ma grazie a benzine speciali, fuori dal regolamento). Quando nel 1984 i rifornimenti sono vietati e le regole impongono i 220 litri massimo per un GP, le cose cambiano. Negli stessi anni 1985/86 anche Brian Hart, valentissimo motorista britannico ma non supportato da una casa ufficiale, fornisce i suoi potentissimi 4 cilindri alla Benetton, che coglie delle pole position viaggiando a 5 bar di pressione e oltre, ma in gara spesso i suoi motori esplodono anche con la pressione del turbo ridotta a 2/2,5 bar. Insomma, con i regolamenti restrittivi in termini di consumo (nel 1986 il limite scende ancora a 195 litri), i turbo a 4 cilindri sono alle corde (a quell’epoca tanta benzina serve anche per gestire il raffreddamento dei pistoni), perciò chi li monta deve cercare di trovare competitività inventandosi soluzioni progettuali originali. E uno di progettisti più originali è senza dubbio Gordon Murray della Brabham, che tenta di controbattere l’affidabilità dei motori Honda e Porsche con le soluzioni progettuali. Sulla BT 54 del 1985 aveva tentato la carta di spostare il peso il più possibile indietro per avere il massimo della trazione, ma arriverà la sola vittoria al GP di Francia, peraltro con grande merito delle gomme Pirelli.

Avveniristica

C’è grande attesa per l’avvio del Campionato del mondo di F1 del 1986, dopo che nell’85 si è assistito all’improvviso declino, da metà stagione in poi, della Ferrari che sembrava in grado di vincere il titolo con Alboreto e invece ha dovuto cedere, come i suoi motori, al ritorno della McLaren di Prost. La grande favorita è la Williams, forte dei motori Honda e di una coppia di piloti, Nigel Mansell e Nelson Piquet, che mescola esperienza, grinta e velocità. E si attende la conferma di Ayrton Senna, che se sarà assistito a dovere dalla Lotus-Renault, potrebbe essere in lizza per il titolo.
Tutti aspettano con ansia, i suoi piloti in primis, il responso del cronometro per quanto riguarda la Brabham, la cui BT 55 fa paura a vederla, bassa e avveniristica com’è. Le prove pre campionato hanno messo in evidenza numerosi problemi e aggiustamenti, catalogati alla voce “normali sviluppi di un progetto avveniristico”. Sulla nuova monoposto pesa il giudizio di chi era in Brabham fino a pochi mesi prima, Nelson Piquet, il quale conosce l’idea avendone ovviamente discusso con il progettista Murray:

Il cambio Weismann - dice il pilota brasiliano - richiederà un lungo e non semplice sviluppo. Ne provammo uno già nel 1981 sulla BT49”.

I Weismann sono due coniugi statunitensi di origine germanica, che costruiscono trasmissioni per auto da corsa e hanno grande esperienza nei cambi trasversali. A Murray serve proprio un cambio così sulla sua BT 55, perché il “coricamento” del motore BMW su un lato ha comportato il disassamento dell’albero motore rispetto alla mediana della monoposto (ben 187 mm sulla destra, osservando l’auto da dietro). Per evitare quindi di avere semiassi, e peggio ancora sospensioni, asimmetriche (e in effetti il triangolo superiore della posteriore destra ha un attacco più stretto rispetto a quello della sinistra), serve un cambio trasversale, a cui il moto arriva tramite un rinvio composto da due coppie coniche montate a 90° tra di loro. Alla presentazione, Pete Weismann dice: “Il nostro cambio è molto diverso dal trasversale della Ferrari. Ha ingombri laterali molto contenuti, inoltre si può alzare e abbassare a piacimento nella parte posteriore. Noi abbiamo progettato e realizzato la parte interna, in Brabham hanno pensato alla scatola”. Al progetto contribuisce, come sempre, la moglie Michele: francese di Marsiglia, preferì la passione per le gare automobilistiche agli studi di scienze naturali. Il suo ruolo nella ditta Weismann è importante: “Michele può fare tutto - racconta il marito -: dai disegni alla realizzazione dei pezzi e al loro montaggio. Ora si può dirlo, ma nei primi tempi dovevo tenerlo nascosto perché lavoravamo con i team di Indianapolis e laggiù sono un tantino superstiziosi...”.

Calore


Fin dalle prove libere pre campionato in Brasile, emergono grossi problemi per la neonata monoposto di Murray, in particolare le difficoltà di raffreddamento, aumentate dalla temperatura atmosferica sul tracciato di Rio de Janeiro. Anche aprendo molte feritoie nelle fiancate le cose non migliorano. Le prime due gare, in Brasile e Spagna, sono un calvario e soltanto De Angelis a Rio vede il traguardo, ma staccato di tre giri dal vincitore Piquet. Seguono tre giorni di test a Imola, in preparazione del GP di San Marino e delle altre gare europee, dove la BT 55 si dimostra leggermente più veloce della vecchia BT 54.
Al GP di Monaco il team sembra vedere una piccola luce in fondo al tunnel, perché Patrese in gara è a lungo sesto, ma alla fine entrambi i piloti si ritirano; la pista tortuosa mitiga un po’ i problemi di trazione della monoposto. La trasferta seguente, in Belgio, vede la Brabham prostrata dalla morte di De Angelis e il solo Patrese è 8°, staccato di un giro. Due ritiri anche in Canada, dove il pilota padovano è affiancato da Derek Warwick, che sostituisce De Angelis. A Detroit, altro circuito cittadino, Patrese conquista il 6° posto che sembra un brodino, ma in Francia, su una pista di nuovo veloce, il telaio della BT 55 va di nuovo in crisi.
Si arriva così al GP di Gran Bretagna, a Brands Hatch, dove Murray, essendo vicino alla sede del team, decide di rispolverare la BT 54 per Patrese e per condurre delle prove comparative con la vecchia auto, che si dimostra più lenta della nuova, ma non di molto. Seguono prove a Silverstone in cui si tenta la strada di accorciare il passo, anche qui senza risultati apprezzabili, e il GP di Germania dove Patrese, scaricando l’aerodinamica al massimo sui lunghi rettifili di Hockenheim, ottiene un buon 7° tempo in prova che non porta però a nulla in gara, dove il padovano si ritira con motore rotto e Warwick termina 7° a un giro.
Ormai è evidente, quando è passata metà stagione, che il progetto è fallimentare, ma quale sia la causa principale non è chiaro, per colpa dei continui rimpalli di responsabilità tra Brabham e BMW. Negli ultimi sei GP arrivano soltanto ritiri, non una volta vedono la bandiera a scacchi né Patrese né Warwick, per problemi tecnici o per difficoltà di guida che portano a uscite di strada. Gordon Murray a quel punto ha già firmato per la McLaren, avviandosi alla seconda fase della sua carriera, quella più vincente. E con sé porterà i disegni e l’esperienza della BT 55, da applicare alla scuderia di Ron Dennis che, di lì a un anno, avrà i super competitivi motori Honda.

Troppo brutale

Nonostante gli ingenti investimenti (17 miliardi di lire dell’epoca per l’intero progetto; per dare un confronto, nello stesso 1986 la debuttante Minardi spese meno di 5 miliardi per disputare l’intero campionato con una monoposto) e l’enorme sforzo progettuale, la BMW (e anche la Brabham) probabilmente sottovalutarono le implicazioni dell’idea di riprogettare parzialmente il 4 cilindri. L’idea di “coricare” i cilindri risultò un lavoro fatto a metà, su un propulsore concettualmente vecchio, benché validissimo nelle origini. Il BMW M12/13 Turbo infatti era stato progettato partendo di fatto da un monoblocco di produzione, risalente ancora alla serie “02” delle berline bavaresi. Un motore eccezionale per prestazioni e affidabilità (si diceva che desse il meglio di sé sulla strada a partire dai 100.000 km di percorrenza), come dimostrò sia nelle gare Turismo sia in quelle di F2 dove vinse il campionato europeo. E fu molto valido anche in F1, tanto da essere il primo turbo a vincere il titolo mondiale piloti nel 1983. Ma quell’anno probabilmente non sarebbe riuscito nell’impresa senza il “trucco” dei rifornimenti. Il 4 cilindri, infatti, era al limite della termodinamica date le dimensioni dei pistoni in rapporto alle enormi pressioni interne, e richiedeva un forte apporto di benzina per il raffreddamento, che venne a mancare con i regolamenti che imponevano la limitazione del consumo. In parole povere, “scaldava” più dei 6 cilindri.
La modifica radicale richiesta dall’installazione sulla BT 55 comportò la riprogettazione dell’intero circuito di lubrificazione, una cosa delicatissima su motori da 800 e più CV/litro di potenza specifica. Lo stesso per l’alimentazione e il raffreddamento. A Monaco di Baviera confidarono troppo sulle proprie capacità ingegneristiche, sottovalutando il fatto che quel motore, ormai al limite dello sviluppo, non avrebbe potuto reggere un tale stravolgimento. Ne venne fuori un motore dall’erogazione impossibile (già era brutale in precedenza, ma lo erano anche i concorrenti), quando i 6 cilindri Ferrari, Honda, Porsche e Renault erano sempre più “morbidi”; il contrario di quello che sarebbe servito per sviluppare una monoposto avveniristica quale la BT 55. Non a caso, i concetti del progetto di Murray funzionarono benissimo una volta applicati alla McLaren con il motore Honda, a partire dal 1988...

Gordon Muray: auto da corsa e rock ‘n’ roll

La Brabham BT 55 è stato un progetto di Gordon Murray, ingegnere sudafricano nato a Durban nel 1946 da genitori di origine scozzese. Estroverso e simpaticissimo, con l’aria da hippy, la sua carriera di designer comincia da adolescente, quando disegna per diletto auto da corsa; mentre studia ingegneria meccanica, ascolta musica rock ‘n’ roll e va in moto, progetta e costruisce un’auto con cui corre per un paio d’anni in Sudafrica. Una volta laureato, vola in Inghilterra per trovare impiego in una scuderia britannica: vorrebbe andare alla Lotus, invece nel 1970, a 24 anni, finisce alla Brabham di Ron Tauranac, che di lì a qualche anno è acquistata da Bernie Ecclestone. Il futuro “padrino” della F1 lo promuove subito a direttore tecnico e Murray inizia a progettare monoposto una più bella e veloce dell’altra, e soprattutto innovative, come la BT 46 del 1978 che alla presentazione ha una serie di radiatori esterni a sfioramento, per raffreddare il motore; nella versione C, per contrastare lo strapotere della Lotus con le minigonne, monta un ventilatore posteriore che risucchia l’aria creando un effetto suolo potentissimo: la soluzione sarà poi vietata. Nel 1981 arriva il primo titolo iridato di una sua monoposto, con la bellissima BT 49. Finita l’era delle wing-car, la prima monoposto vincente senza minigonne è la BT 52 del 1983, a forma di freccia, con cui Piquet è iridato per la seconda volta. La BT 55 è l’auto più avveniristica dai tempi della Lotus 78, ma non funziona. Tuttavia nel 1987 Murray è chiamato da Ron Dennis a capo dell’ufficio tecnico della McLaren, al posto di John Barnard emigrato in Ferrari, e il sudafricano sfrutterà ampiamente quella esperienza per dirigere i lavori della MP 4/4, che nel 1988 vincerà 15 GP su 16. Sotto la sua direzione si svolgerà tutta l’epopea dei duelli Senna/Prost.
Dopodiché Murray si dedica alle auto stradali progettando la McLaren F1, supercar a tre posti (quello di guida centrale) con una versione corsaiola tanto competitiva da vincere la 24 Ore di Le Mans del 1995; e la supercar Mercedes-Benz SLR McLaren prodotta tra il 2003 e il 2010.
Nel 2007 fonda la Gordon Murray Design che realizza o collabora ad alcuni interessanti progetti di mobilità, sportiva e no. Di recente ha presentato il progetto della sua ultima fatica, la T.50, una supercar come nessun’altra: 980 kg, 700 Cv a 12.000 giri da un motore V12 aspirato di 3,9 litri, aerodinamica sviluppata nella galleria del vento delle F1 e con effetto suolo garantito da un… ventilatore posteriore! Proprio come accadeva sulla Brabham BT 46 del 1978.

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