Alfa Romeo Giulietta Sprint, tutta colpa del concorso

La sportiva che avrebbe riportato l’Alfa Romeo alla dimensione del mito: la Giulietta Sprint. Avrebbe dovuto essere prodotta in piccola serie: rimase invece in produzione dal 1954 al 1965, totalizzando quasi 40.000 esemplari. Eccone la storia, le caratteristiche, l’evoluzione e tutto quanto bisogna sapere

Alfa Romeo Giulietta Sprint, tutta colpa del concorso

L'Alfa Romeo Giulietta Sprint nacque nel 1954 da una situazione d’emergenza. L’IRI, l’ente finanziario statale all’epoca titolare dell’Alfa Romeo, aveva infatti immesso sul mercato azionario un cospicuo pacchetto di obbligazioni al fine di rastrellare il denaro necessario ad avviare la produzione di un nuovo modello della Casa milanese. E, per sollecitare i risparmiatori, aveva bandito fra i sottoscrittori una lotteria il cui primo premio era appunto un esemplare del nuovo modello. All’approssimarsi della data dell’estrazione, i dirigenti della Casa si accorsero però che le linee di montaggio della Giulietta berlina (questo era il nuovo modello la cui nascita aveva richiesto quel genere di finanziamento pubblico) non sarebbero mai state pronte in tempo, e perciò decisero di parare la prevedibile figuraccia facendo debuttare in anticipo la sua versione sportiva, che a differenza della berlina avrebbe potuto essere affidata a un carrozziere esterno e, quindi, essere costruita immediatamente. La linea agile e nobile della coupé, che con felice scelta fu chiamata Sprint, fu impostata da Giuseppe Scarnati, designer dell’Alfa Romeo.

 

BOANO, MICHELOTTI, SCAGLIONE

Successivamente però, a vario titolo e in tempi diversi, intervennero altri grandi stilisti italiani dell’epoca: Mario Boano della carrozzeria Ghia, Giovanni Michelotti, versatile free-lance, e Franco Scaglione, stilista della carrozzeria Bertone. Perché in tanti lavorarono attorno allo stesso progetto è presto detto: l’idea della Giulietta sportiva era partita dall’Alfa Romeo, ma alla realizzazione materiale dovevano provvedere la carrozzeria Bertone per l’assemblaggio delle scocche e la carrozzeria Ghia per la verniciatura, la finizione e l’abbigliamento. Quando l’accordo si avviava a diventare operativo, la carrozzeria Ghia perse la guida di Mario Boano, che passò a dirigere il neonato Centro stile Fiat, e rinunciò all’incarico. La direzione dell’Alfa Romeo stava quindi per rinunciare al progetto, quando Nuccio Bertone s’offrì di continuare da solo. Le strutture del carrozziere torinese non erano sufficienti per affrontare un simile impegno, ma le circostanze obbligarono ad accettare la scommessa. Bertone vinse. Ma riuscì a fare il miracolo solo perché si accordò con alcune piccole martellerie artigiane, che allora abbondavano nel Torinese, e così ogni mattina un piccolo esercito di volonterosi battilastra consegnavano chi una coppia di parafanghi, chi una porta, chi un paio di calandre, chi il coperchio di un baule, chi un altro tassello per comporre lo stupendo mosaico di lamiere saldate che formavano la scocca delle prime Giulietta Sprint. Le carrozzerie interamente battute e saldate a mano come pezzi unici d’alto artigianato alla fine ammontarono a ben 6.000: una follia già allora, semplicemente impensabile oggi. Ovvio che nessuna delle auto così prodotte fosse esattamente uguale a un’altra: ancora oggi, mettendo vicine due Sprint della prima ora, si notano minime ma percepibili differenze, un raggio di curvatura del padiglione più morbido, un parafango impercettibilmente più “pieno” o altre minime asimmetrie che rivelano la mano dell’uomo e conferiscono comunque un’anima tutta particolare a ogni esemplare.

 

LA MANO DI BUSSO

Le primissime Giulietta Sprint avevano un pratico portellone sul bagagliaio, un’intuizione anticipatrice che non trovò però conferma nella produzione. Oltre che dalla carrozzeria molto ben riuscita (anche senza portellone), il successo della Giulietta Sprint fu suggellato da un motore dalle caratteristiche straordinarie per l’epoca e per quella cilindrata. Progettato sotto la direzione dell’ingegner Giuseppe Busso, era leggero e potente. Impiegava molto alluminio e, unico fra i propulsori di piccola cilindrata del suo periodo, aveva la distribuzione a due alberi a camme in testa come le grandi Alfa del passato. Anche la scatola del cambio e quella del differenziale erano di leggero alluminio. Il peso ridotto contribuì alle sorprendenti doti stradali della piccola Alfa Romeo, che indicò nuovi standard di velocità, di tenuta di strada e di frenata per tutte le auto sportive, anche di maggiore cilindrata. Il gruppo di tecnici che lavorava sulle Sprint si potè avvalere di mitici collaudatori come Consalvo Sanesi e Bruno Bonini, che dettero il tocco finale per infondere alla vettura il più autentico “spirito Alfa Romeo”: un insieme di caratteristiche che sfuggono a una codificazione precisa, una somma di qualità che trasmettono impareggiabili sensazioni a chiunque si metta al volante di un’auto del Portello. Una meccanica così aveva una forte predisposizione per l’aumento delle prestazioni. Come dimostrarono subito i preparatori delle Sprint da corsa, che iniziarono subito a dominare l’allora vigente categoria 1500, e come confermò ben presto anche l’Alfa Romeo stessa con il progressivo aumento della potenza, che passò dagli originali 60 Cv della prima serie agli 80 Cv della Sprint Veloce del ‘56, fino ai 90 Cv della Sprint Veloce seconda serie. La Sprint Veloce nacque nel 1956 come versione alleggerita e potenziata da impiegare nelle competizioni, la Mille Miglia prima di tutte.

 

LA GIULIETTA ALLA MILLE MIGLIA

La “Veloce” non mancò l’obiettivo di trionfare nella “corsa più bella del mondo” ma s’impose anche in centinaia di altre competizioni, in Italia e all’estero. La leggerezza, una delle armi non tanto segrete della SV, nasceva dall’utilizzo dell’alluminio per le parti mobili della carrozzeria (cofani, sportelli, paraurti e altri dettagli della finitura), dal perspex al posto del vetro nei finestrini laterali anteriori (scorrevoli invece che discendenti), dall’eliminazione dei materiali fonoassorbenti, dalle finiture semplificate e dall’utilizzo di lamiere d’acciaio di spessore ridotto in alcuni pannelli della carrozzeria. Sul fronte della meccanica si agì sul tasso di compressione, aumentandolo, ma anche sulla fase della distribuzione, sul dimensionamento di alcuni organi particolarmente sollecitati e soprattutto adottando l’alimentazione singola per ogni cilindro mediante due carburatori a doppio corpo Weber 40 DCO3, un po’ scorbutici nel funzionamento ai bassi regimi ma fantastici per permettere al motore una “respirazione” vigorosa con l’aumentare del numero dei giri. Quella della Sprint Veloce è un po’ una storia nella storia. Nata nel ’56 con i vetri scorrevoli, nel 1958 li adottò discendenti con cornici d’alluminio in una versione prodotta in pochi esemplari ufficiosamente chiamata “Confortevole”. Successivamente adottò la nuova scocca del 1959, ma per un po’ continuò a montare sia il motore originario da 80 Cv, sia una nuova edizione del quattro cilindri potenziato, con carburatori Weber 40 DCOE2 per 90 Cv. La stessa promiscuità che caratterizza alcuni elementi meccanici della “Veloce” in questa fase della produzione ricompare anche nella serie delle Sprint model year 1959, nelle quali è possibile trovare esemplari sia con il vecchio sia con il nuovo cambio con sincronizzatori tipo Porsche.

 

SUCCESSO INASPETTATO

La nuova scocca è quindi l’unico punto fermo per le Giulietta Sprint di questo periodo. Essa rappresenta l’ultimo passo di un lungo processo di razionalizzazione e modernizzazione delle tecniche produttive che, per meglio fronteggiare l’inaspettato successo del modello, cercò di adeguare i sistemi produttivi ai numeri assolutamente inattesi delle vendite. Fin dal primo momento l’Alfa Romeo aveva aiutato Bertone ad ampliare i locali e a introdurre progressivamente elementi stampati per la carrozzeria, ma la lavorazione manuale con l’apporto di subfornitori esterni era sopravvissuta, almeno in parte, fino al 1959, anno in cui gli elementi stampati per l’intera scocca presero definitivamente il sopravvento e il ciclo di lavorazione fu ammodernato. In quell’occasione Giorgetto Giugiaro, allora capo-disegnatore di Bertone, ristilizzò alcuni detta estetica la Sprint model year ‘59 perse un po’ di slancio, ma acquistò un’aria un po’ più importante che al pubblico piacque. La carrozzeria aggiornata da Giugiaro rimase in pratica invariata anche nel 1962, quando ospitò la meccanica 1600 cc della Giulia con freni a tamburo a tre ceppi, una plancia rinnovata, nuovo volante e nuove scritte identificative. Nel 1964 una carrozzeria specifica per la meccanica di maggior cilindrata diede vita alla Giulia GT, mentre la vecchia Sprint, che piaceva ancora molto, ritornò in produzione con la cilindrata originaria di 1300 cc. Quest’ultima versione adottò i freni a disco, la plancia della Sprint1600 e un nome semplificato: Sprint 1300, che mandò definitivamente in pensione quello dolce e romantico della celebre fanciulla veronese che aveva fatto innamorare Romeo.

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