All’inizio degli anni Ottanta, a fianco della normale produzione di serie, la Ferrari cominciò a proporre al pubblico alcune versioni estreme delle sue GT, eredi delle auto da “gentleman driver” degli anni ’50 derivate dalla produzione di serie in cui erano inseriti alcuni elementi mutuati dalle esperienze in F1. L’obiettivo era anche quello di proporre auto che fornissero un’efficace base per gare e trofei in pista. Nel programma industriale del Cavallino, questa decisione apparve azzeccata anche dal punto di vista del marketing e della segmentazione della produzione: la Testarossa, con le sue estreme evoluzioni, sarebbe stata l’ultima 12 cilindri ad adottare il motore posteriore, mentre le otto cilindri si avviavano verso un’evoluzione complessiva che le avvicinava rapidamente, nelle prestazioni, alle “dodici” della generazione precedente.
Offrire quindi un’alternativa estrema a entrambe avrebbe significato inaugurare un filone che, negli anni, avrebbe permesso di mantenere vivo l’interesse degli appassionati legati al più corsaiolo schema a motore centrale, inaugurando nel contempo una nicchia di prodotto da usare come vetrina tecnologica delle capacità ingegneristiche della Casa. Più in generale, la F40 nata nel 1987 è stata l’ultima auto voluta da Enzo prima della morte nel 1988. Proprio in quell’anno la Ferrari compì 40 anni (fondata, come costruttore, nel 1947) e il nuovo modello doveva festeggiare a dovere questa ricorrenza. Dunque, doveva essere un’automobile in grado di manifestare le capacità e la tecnologia di Maranello a quel momento, e possedere lo spirito con cui il Commendatore intendeva l’auto sportiva: emozionante, potente, estrema nella meccanica e nella linea, senza controlli elettronici: un’auto da corsa targata. Dopo la capostipite 288 GTO e la F40, in questo filone sono nate la F50, la Enzo, la FXX e LaFerrari.
Come a Le Mans
La F40 proseguì la filosofia delle vetture estreme inaugurata con la GTO e la portò a livelli ancora più elevati. Verso la metà degli anni ottanta, alcune riviste automobilistiche iniziarono a pubblicare un certo numero di scatti spia riguardanti nuovi prototipi, sorpresi sulle strade nei dintorni di Maranello. Assieme alle fotografie, circolarono svariate ipotesi che tentavano di spiegare la possibile ragion d’essere di queste automobili. Dopo qualche tempo trapelò che le vetture, in seguito note come “Evoluzione”, erano il banco di prova della prossima F40.
Furono realizzate cinque “Evoluzione” a scopo di test: quattro furono vendute a clienti privati mentre la quinta fu trattenuta dall’azienda. Quando verso la metà del 1987 fu annunciata la F40, la sua carrozzeria disegnata da Pininfarina fece restare tutti senza fiato: era selvaggia e cattiva, una macchina che sembrava un modello da competizione. Invece, la vettura era omologata per uso stradale. La denominazione F40 traeva origine dalla “F” di Ferrari e dal numero 40, che ricordava il quarantesimo anniversario della prima Ferrari omologata per uso stradale. Fu anche l’ultima vettura che vide la presenza di Enzo Ferrari alla sua presentazione, prima del suo passaggio a miglior vita nell’agosto del 1988.
Le sole tracce che rimasero a testimoniare la lontana derivazione dalla 308 furono evidenti attorno al profilo dell’abitacolo e nella linea di color nero satinato ai lati della carrozzeria: tutto il restante styling riguardante il corpo vettura era completamente nuovo, come nuovi erano i materiali che lo costituivano.
Il disegno della F40 si deve a Leonardo Fioravanti, come per la Daytona, la 512 BB e la 308 GTB: mentre però la progenitrice GTO aveva una linea riconducibile alle 8 cilindri di normale produzione, la F40 presenta caratteristiche autonome. Fioravanti qui disegnò linee tese, taglienti, spigolose ed efficienti, dal basso coefficiente di penetrazione (Cx 0.34). Rispetto alla GTO il frontale è più armonico e raccordato, con ampio spoiler inferiore dotato di vistosa presa d’aria, e gruppi ottici sdoppiati spostati sul cofano, con la parte fissa coperta da un trasparente fumé e quella mobile a scomparsa come i modelli di derivazione. In coda invece cambia tutto, e la vista posteriore è quella che conferisce l’immagine da auto da corsa, grazie al grosso alettone, al cofano motore che si apre in pezzo unico con i parafanghi e ha il plexiglass per lasciare in vista la meccanica con i grossi e scenografici intercooler, infine alla griglia opaca che integra i classici gruppi ottici rotondi. Osservando l’evocativo posteriore di una F40 ci si ritrova proiettati con la fantasia a Le Mans, sul rettilineo di Hunaudiéres, pronti a vederla scomparire in lontananza nel sibilo dei due turbo.
Altri particolari rafforzano l’impressione corsaiola:i finestrini sono soltanto a comando manuale -sui primi esemplari addirittura erano formati da un foglio di plexiglass con doppio pannello scorrevole- e l’apertura porta a cavo. La cellula abitativa deriva da quella delle 308/328, ma a parte il giro porta, cambia tutto. All’interno la derivazione dalle otto cilindri è evidente nell’impostazione della plancia, ma l’attenzione è catturata dall’allestimento disadorno, quasi spartano, dell’abitacolo. Niente vetri elettrici, niente profili sparsi qua e là, niente rivestimenti di pregio. Solo sedili a guscio, volante ravvicinato, pedaliera alleggerita e leva del cambio corta. Un invito alla pura guida.