La fine degli anni Cinquanta rappresenta forse il momento più ottimista ed effervescente della storia italiana recente. La guerra è un ricordo sempre più lontano, una primitiva elettronica fa capolino nelle abitazioni, c’è voglia di crescita sociale ed economica. In campo automobilistico, la Fiat 600 prima, la Nuova 500 poi, rendono accessibile ai più libertà e indipendenza tanto desiderate negli anni precedenti, e l’avvento di un moderato ma diffuso benessere porta con sé il desiderio, per chi se lo può permettere, di distinzione sociale ed economica. Se 500 e Lambretta finalmente muovono il popolo, una classe di vetture superiore identifica lo strato sociale più abbiente, che fino a poco prima era distinto dal semplice possesso di un’automobile. Il modello nazionale che meglio soddisfa questa esigenza è la “Mille- cento”: cilindrata doppia rispetto a quella delle utilitarie più diffuse, quattro portiere, un vero baule, finiture di classe superiore e cromature in abbondanza, che magari non sono utili ma ancora oggi fanno tanto “status”. Grazie a un progetto moderno del poliedrico Dante Giacosa, a partire dal 1953 la Fiat 1100/103 è la macchina del professionista, del funzionario, del medico.
Non è una grossa e lussuosa Lancia o una sportiva Alfa Romeo, che sono appannaggio di proprietari terrieri e capitani d’industria, ma regala quella giusta dose di signorilità sufficiente per distinguersi. Preferita fin da subito nella più costosa e curata versione “B”, la berlina di Torino diverrà, nell’arco di quasi vent’anni, sempre più leziosa, guadagnando cromature, accessori, verniciature bicolore e un discreto palmarès sportivo. In Inghilterra, altra patria dell’automobile europea, le cose vanno in modo un po’ diverso. L’auto che muove le masse, la “loro” 600, è una… mille (a metà anni ‘50: in precedenza aveva montato motori di 918 e 803 cc). Figlia della vulcanica mente di Sir Alec Issigonis, la Morris Minor è semplice e funzionale, di concezione non modernissima: nasce nel 1948, è spartana ma spaziosa, con uno stile classico che fa il verso a berlinone di ben altra caratura, e declinata in una miriade di versioni: berlina due e quattro porte, cabriolet, familiare e addirittura furgonata. Le vetture del nostro servizio appartengono allo stesso collezionista, il romano Alessandro Cacciotti, già in passato ospite delle pagine della nostra rivista. La Morris Minor di questo servizio è una seconda serie del 1957, distinguibile facilmente dalla precedente per la mascherina a listelli orizzontali, e dalla successiva per gli indicatori di direzione anteriori piccoli e interamente bianchi.
L’aggiornamento principale della seconda serie, al debutto nel 1962, riguarda tuttavia il propulsore, che passa dal glorioso BMC A-Series di 948 cc, montato su una buona metà delle vetture inglesi dell’epoca, al più prestante 1098 cc che la rende, almeno in teoria, una concorrente ancor più diretta della berlina Fiat. Nella realtà, le due vetture raramente si sono trovate faccia a faccia: la Morris all’epoca in Italia era più rara di una mosca bianca, dato che moltissimi esemplari degli oltre 1,6 milioni prodotti furono venduti in Inghilterra e USA (oltre il 75%), dove le Fiat non hanno mai riscosso grande successo. L’esemplare di queste pagine però è un rarissimo caso di Minor “italiana”, perdipiù con una storia notevole: nel 1957 è acquistata nuova, da Alberto Moravia, come regalo alla moglie, la scrittrice Elsa Morante. Il loro matrimonio finisce nel 1962, ma la convivenza tra la Morante e la vettura dura fino alla sua dipartita, a metà anni ‘80, quando la Morris finisce nelle mani di un nuovo proprietario che, senza curarsi della provenienza della vettura, se ne disfa dopo pochi mesi. Sandro Cacciotti, notata la macchina lungo una via consolare, un giorno si ferma a chiedere informazioni. La richiesta è ragionevole, più o meno sette milioni di lire, e la trattativa va in porto; soltanto al momento di estrarre i documenti per il passaggio di proprietà salta fuori l’illustre prima intestataria.