24 May 2023

Alfa Romeo Alfetta GT V8: il Sacro Graal degli alfisti

L’Alfetta GT V8 3.0 è un’auto tra mito e leggenda. Ideata in Autodelta, fece pochissime gare prima che il programma Rally del Biscione fosse sacrificato in favore della Formula 1. La filiale tedesca avrebbe voluto una V8 di serie con il 2.6 della Montreal, come anti-Porsche

Una delle pochissime foto ufficiali dell’Alfetta GT V8, ovviamente scattate a Balocco. La macchina aveva il fascino delle auto sportive sperimentali, dove tutto è in funzione dell’efficacia

In questo articolo cerchiamo di approfondire le conoscenze su due versioni dell’Alfetta GT nate con obiettivi e caratteristiche molto diverse tra loro: la versione da Rally, realizzata dall’Autodelta nel 1975 e destinata esclusivamente alle competizioni, il cui progetto fu accantonato prima ancora dell’omologazione in Gr. 4, ed un’altra che potremmo definire “special”, nata tra i confini teutonici e dotata del motore 8 cilindri della cugina Montreal che, però, poi non ebbe alcuno sviluppo commerciale.

L’Alfetta GT V8 3000 è un modello da competizione realizzato nel 1975 dall’Autodelta. Partecipò a poche gare nel 1975-76. Nel ‘75 al Rally delle Valli Piacentine (Trofeo Elecar), pilotata da Amilcare Ballestrieri. La vettura fece ottimi tempi, spadroneggiando in gara, ma come si temeva la trasmissione non resse alla coppia del poderoso V8 3.0, si ruppe un semiasse e fu costretta al ritiro. Disputò qualche altra competizione minore nelle mani di Ballestrieri e anche Jean Claude Andruet dimostrando grandi potenzialità, ma ben scarsa affidabilità. In un test all’autodromo di Casale Monferrato, Andruet fu più veloce della stessa Lancia Stratos.
Perché quest’auto fu abbandonata? In proposito ci sono tante leggende. A seguito di alcune ricerche effettuate con il supporto del Centro Documentazione Alfa Romeo di Arese, abbiamo scoperto che verso la fine del 1975 si tennero ad Arese delle riunioni finalizzate a studiare l’impostazione del coupé 116 (Alfetta) con motore 8 cilindri. È lecito pensare che in Alfa Romeo si pensasse a produrre i 500 esemplari (400 dal 1976) necessari all’omologazione in Gr. 4. Si valutava la realizzazione di una carrozzeria in lamiera di spessore ridotto, nonché di porte in alluminio. Avrebbe fatto la gioia di tutti gli alfisti, invece, come in tanti altri casi nella storia del Biscione, non ebbe seguito.
Le ragioni furono diverse: l’Alfa Romeo era già impegnata nel mondiale Marche con le 33, con relativi costi. Poi riattivare la linea di produzione dei motori V8 cilindri avrebbe richiesto tempo e denaro. Infine, Carlo Chiti, direttore generale dell’Autodelta, non amava i Rally, mentre invece voleva un coinvolgimento dell’Alfa Romeo in F1, che si sarebbe concretizzato nel 1976.
Marcello Gambi, ex-dipendente Autodelta, al momento della chiusura di quest’ultima rilevò il materiale residuo con cui completò un secondo esemplare di Alfetta GT V8, su una delle due scocche fornite da Arese a Settimo Milanese, già lamierate in alluminio. Egli provvide a modificare gli attacchi per il V8, ad allargare la campana della trasmissione e a tagliare la parte anteriore per installarvi un radiatore maggiorato. Fu quindi adottato un cofano motore con presa d’aria NACA, nonché dei parafanghi in grado di accogliere i larghi cerchi con pneumatici slick (nei posteriori fu ricavata una presa d’aria per il raffreddamento dei freni entrobordo). I cofani motore e posteriore erano in vetroresina di colore nero antiriflesso, i finestrini in plexiglass. L’auto fu portata alla festa per il 30° della Giulia GTA al Mugello, organizzata dal RIAR nel 1995; era chiaramente bisognosa di messa a punto. Il rombo del motore era però entusiasmante: non il 2.6 della Montreal, bensì il 3.0 di derivazione marina, con manovellismi di biella a 180°. Un motore da circa 350 CV, secondo alcuni addirittura da 470 Cv a 10.500 giri, nella versione a 32 valvole e iniezione meccanica Lucas. L’esemplare assemblato da Gambi è stato inseguito rilevato dallo specialista olandese Bob van der Sluis, restaurato e messo in vendita a 50.000 sterline con un annuncio sulla rivista “Auto Italia” no. 19 del 1998. Fu quindi acquistato, sempre quell’anno, dalla Sauerbier Beheer Inc. di proprietà dell’omonimo collezionista olandese. Da informazioni che abbiamo raccolto, sembra che l’altro esemplare sia stato invece venduto ad un collezionista giapponese già nel 1990.

Ingaggio top

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Amilcare Ballestrieri in azione al Rally delle Valli Piacentine del 1975 (belleepoque.it)

Qualche tempo fa Amilcare Ballestrieri ci raccontò che nel 1974 fu contattato proprio da Carlo Chiti perché l’Alfa Romeo voleva entrare nei Rally dato il ritorno commerciale che procuravano. Andruet aveva già firmato per l’Alfa e quando seppe che avevano contattato Ballestrieri, gli suggerì di chiedere un ingaggio molto alto. Il pilota italiano chiese più del triplo di quanto prendeva in Lancia, e gli fu accordato senza troppe difficoltà! Quando comunicò a Cesare Fiorio che sarebbe passato all’Alfa Romeo per le stagioni 1975/76, egli fece leva proprio sull’aspetto economico e sembra che Fiorio gli rispose stupito: “Amilcare, perché non gli chiedi se hanno bisogno anche di un direttore sportivo?”. Evidentemente, all’epoca, le partecipazioni statali non badavano troppo ai costi. Purtroppo quel progetto non diede le soddisfazioni attese. Si cominciò con le Alfetta GT Gr. 2, per la quale nel 1975 erano disponibili due tipi di motore: un 2.0 16 valvole testa stretta a iniezione Spica, da circa 240 CV e sviluppato soprattutto per la pista, e un altro 8 valvole a doppia accensione che sfiorava i 200 Cv. Il primo aveva un’erogazione molto appuntita ed i famigerati problemi dell’iniezione Spica. Tuttavia Andruet con quel motore fece terzo assoluto al Tour de Corse di quell’anno, Battuto soltanto dalla Stratos di Darniche e dalla Alpine di Nicolas, entrambe Gr. 4. In seguito Chiti decise di sperimentare una versione Gr. 4 dell’Alfetta GT facendovi installare una versione riveduta e corretta del V8 della Montreal. Iniziò così la storia del modello descritto in questo articolo. Ballestrieri ci ha raccontato che la GT V8 era molto competitiva, molto più potente della Lancia Stratos, anche se molto meno agile. Era tutta da sviluppare, ma la base era ottima. La coppia molto elevata provocava la rottura dei semiassi, la trasmissione doveva essere adattata. Al Rally delle Valli Piacentine, di cui abbiamo detto, Ballestrieri suggerì a Chiti di usare la Gr. 2, perché la V8 era ancora acerba. La risposta fu: “Lei pensi a guidare che a fare la macchina ci penso io”. Come detto, finì con il ritiro mentre l’auto era comodamente in testa.

La 2600 tedesca di Reiff

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A proposito di Alfetta GT V8, gira voce nell’ambiente degli appassionati che nel 1977 fossero stati prodotti in Autodelta 20 esemplari con il 2.6 Montreal innestato sulla GTV 2000, su commissione di Horst Reiff, il principale venditore del Biscione nell’allora Germania Ovest. L’Alfa Romeo, da noi interpellata, non ne sa nulla. Nel sito www.alfetta-gt.de si trovano fotografie e perfino la prova, pubblicata all’epoca dalla rivista tedesca “Auto Zeitung”. Qualcosa di vero dunque sembra esserci. E d’altra parte in Sud Africa era venduta l’Alfetta GTV6 3.0, allestita laggiù con alcuni pezzi di motore realizzati in Autodelta su commissione dell’Alfa Romeo Sud Africa: questo per dire che la versione speciale dell’Alfetta V8 non è un’ipotesi peregrina.
A tal proposito riportiamo quanto ci disse tempo fa un ex-dipendente Autodelta, Pietro Baldo. Secondo i suoi ricordi, l’amministratore delegato della filiale dell’Alfa Romeo di Francoforte, Giancarlo De Bona, chiese di concepire una vettura in grado di competere, in termini di prestazioni, con le più avanzate sportive tedesche dell’epoca. Fu dato mandato all’Autodelta, che allestì un’Alfetta GT con motore Montreal. La filiale tedesca ne avrebbe ordinati subito cinque esemplari. Il V8 si installava agevolmente nel cofano dell’Alfetta; inoltre furono rinforzate tutte le saldature della scocca. Sempre secondo i ricordi di Baldo, a inizio 1976 il primo esemplare fu spedito in Germania dove furono condotte alcune prove sulle autostrade prive di limiti di velocità. Sfortunatamente, durante uno di questi collaudi, effettuato direttamente dal De Bona assieme al capo-officina della filiale, Corcito, ci fu un incidente in cui quest’ultimo perse la vita e De Bona rimase gravemente ferito. Dopo questo episodio, calò il velo sullo sviluppo dell’Alfetta GT V8, fino alla comparsa di Horst Reiff. Egli, grazie alla sua forza commerciale, avrebbe convinto i vertici del Biscione a consentirgli di allestire un centinaio di Alfetta GT V8 con il 2.6 della Montreal, il cui assemblaggio sarebbe stato effettuato presso le officine di Aachen di proprietà dello stesso Reiff, con il coinvolgimento della Delta Autotechnik, il famoso “tuner” tedesco dell’Alfa Romeo. Niente di ufficiale, dunque. I piani prevedevano la produzione di un lotto di cento esemplari. La vettura apparve al Salone di Francoforte nel 1977, colore champagne metallizzato con i interni tipo Alfasud Sprint, cerchi in lega ATS e presa d’aria sul cofano motore. Reiff poi fallì e, in conclusione, gli esemplari di GT V8 prodotti furono molti meno di quelli previsti. Secondo alcune fonti addirittura soltanto due.

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