Chiarito il motivo della doppia denominazione del modello raccontiamone l’evoluzione: il motore “base” è il sei cilindri in linea 2,2 litri da 120 Cv che risulta un po’ in difficoltà a muovere cotanta macchina, soprattutto nella versione aperta che pesa 70 kg in più rispetto alla già corpulenta Coupé (1450 kg). Molto meglio andiamo con la 300 da 160 Cv, che però è gravata da una serie impressionante di profili cromati; tutte le versioni di questa famiglia hanno già di base cromature piuttosto estese per sottolinearne il lusso in maniera evidente ma in tutte le altre la dose di tali profili appare azzeccata. Con quest’ultima invece, nell’intento di differenziarla dalla molto meno costosa 220, si esagera aggiungendo un profilo a metà fiancata che, combinato con il rivestimento dei parafanghi, è un po’ pacchiano.
EMPIREO
Altro modo per collocare la 300 su un altro piano è la presenza di serie del servosterzo (prerogativa condivisa solo dalla V8 che nascerà, come vedremo, otto anni dopo) e l’esclusiva delle tinte metallizzate perlomeno fino al 1965. In ogni modo è sufficiente, come accennato all’inizio, sporgersi a guardare l’abitacolo di una di queste vetture per capire che siamo nell’empireo dell’automobile: poltrone in pelle, tappeti persiani (pardòn: in moquette spessa un dito) e cruscotto in legno massiccio fugano ogni dubbio. Il “binocolo” della strumentazione è una vera e propria scultura in legno; un po’ di “kitch” però lo hanno voluto mettere anche qui: il volante e il pomello del cambio, volendo, sono forniti in colore bianco. Ma ciò che colpisce è la evidente e sopraffina qualità costruttiva, quella su cui la Mercedes Benz sta ancora vivendo di rendita.
Ogni particolare sembra fatto per durare per sempre: straordinaria la capote delle cabriolet in tessuto a triplo strato con lunotto in plastica, per evitare di appesantirla eccessivamente, ma con plafoniera all’interno; stranamente, mai fu possibile azionarla in maniera automatica e questo ci pare l’unico vero, inspiegabile, difetto nella progettazione di questa automobile. Nell’ottobre del 1965 la versione di accesso delle due vetture adotta il nuovo motore 2.5 tipo M 129 da 150 Cv che vivacizza anche la “piccola” ora chiamata 250 SE (la 300 SE, nel frattempo, ha guadagnato la soglia dei 170 Cv); durano poco anche perché questo M 129 è uno dei pochissimi passi falsi compiuti in campo motoristico dalla Daimler Benz risultando, nonostante i sette supporti di banco contro i precedenti quattro, meno longevo del solito. Le 250 si riconoscono per i cerchi ruota da 14” con copriruota simili a quelli della 230 SL con anello cromato a parte che lascia intravvedere il cerchio.
OTTO CILINDRI
Sia la 250 sia la 300 sono sostituite, alla fine del 1967, dalle versioni 280: nuovi copriruota integrali in un sol pezzo e la possibilità, dall’Agosto 1970, di montare i cerchi in lega la contraddistinguono a prima vista mentre all’interno la pelle prende il posto del legno nella sede degli strumenti principali e gli appoggiatesta ai sedili anteriori diventano di serie; leggermente diverso anche il volante disponibile da questo momento solo in nero. Motorizzate con il nuovo M 130, sul quale è ristabilita la proverbiale robustezza dei motori con la stella a tre punte, i Cv sono ora 160, validissimi ma sufficienti solo per un paio d’anni a tenere il passo dei desideri della clientela sul piano prestazionale.
Dall’estate del 1969 viene in aiuto il nuovo otto cilindri 3.5 M 116 da 200 Cv che riesce a proiettare questi vascelli oltre i 200 km/h, possibilità che è meglio tenere come teorica visti i perduranti problemi di tenuta di strada dell’auto: certamente molti miglioramenti sono stati fatti anche in questo settore durante la vita del modello ma, visto che le prestazioni aumentano via via in contemporanea, il saldo rimane invariato. La protagonista di questo servizio è una di queste ultime caratterizzata dalla nuova calandra abbassata che, vista per la prima volta sulle otto cilindri al loro debutto, da quel momento sarà presente anche sulle 280 a sei cilindri; dotata di tutti gli accessori più esclusivi compreso un condizionatore d’aria in grado di rinfrescare un bilocale, oggi, sul mercato amatoriale, è quotata molto più di una contemporanea e simile Rolls-Royce Corniche: un dato che, per quanto influenzato dalla rarità, ci pare dica molte cose.
La parabola di queste auto magnifiche si conclude nel 1971 con il testimone passato alla serie SLC; degna macchina, ma non in grado di replicare il “glamour” di queste inimitabili Mercedes, ultime testimoni della dolce vita: il Principe Giuliano Maria Niccolani Burgos (personaggio di un memorabile episodio del film “La congiuntura” interpretato da Vittorio Gassman che, con l’inganno, viene indotto a diventare contrabbandiere) mai e poi mai sarebbe andato in giro con una SLC. Tanto più che non è mai stato possibile toglierle la capote.