Lamborghini Urraco: la nuova era

Nel 1970 a Torino Lamborghini presenta la Urraco P250. Stanzani e Gandini (per Bertone) creano una GT 2+2 pensata per l’uso quotidiano, ma anche non troppo costosa da costruire

La sobria Islero, nel 1968, avrebbe potuto indurre qualcuno a pensare che, alla Lamborghini Automobili, il festival dello stile iniziato con la Miura e proseguito con l’Espada si fosse esaurito. Per la clamorosa smentita occorsero due anni di attesa ma, nel 1970, Jarama e, ancora di più, Urraco dimostrarono che la carica innovativa dei propri prodotti, a Sant’Agata, doveva continuare assolutamente ad essere visibile al pubblico fin dalla prima occhiata.

Quattro posti con il motore centrale

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E sulla “piccola” Urraco P250 le novità erano molte, a cominciare dai quattro posti pur con motore centrale: un problema apparentemente irrisolvibile, la cui soluzione sarà ottenuta spostando in avanti l’abitacolo fino a portare il parabrezza quasi sopra alle ruote anteriori; un’operazione che porta però con se una conseguenza marginalmente negativa ed un rischio.

La prima riguarda l’accessibilità all’abitacolo e l’assetto di guida: l’ingombro dei passaggi ruota infatti riduce di molto la possibilità di infilare agevolmente le gambe sotto il volante entrando in macchina e, una volta seduti, ci si ritrova a dover azionare una pedaliera giocoforza posizionata verso il centro dell’auto; un po’ scomodo ma accettabile.

Il rischio è invece quello di non riuscire a vestire questa impostazione meccanica in maniera efficace; ci si rese conto di ciò presto, quando anche un genio come Marcello Gandini non riuscì ad accontentare al primo colpo né Ferruccio Lamborghini né il figlio Tonino, allora ventenne, che assieme al progettista dell’auto, ingegner Paolo Stanzani, si erano recati in Bertone a visionare la proposta di stile.

Certamente quelli furono colloqui fruttuosi visto che, di lì a poco, la matita del "maestro" riuscì a creare una deliziosa piccola gran turismo, del tutto in linea con l’ormai consolidata tradizione di individualità dei modelli della Casa del Toro.

Un progetto ambizioso, ma le prestazioni…

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Per contenere i costi, sia le sospensioni anteriori, sia le posteriori, seguono un semplice schema McPherson

Ora è giusto ricordare che un tentativo del genere perfettamente riuscito e funzionante era già stato fatto con la Marzàl del 1967 ma occorre aggiungere che essa aveva un motore con soli sei cilindri in linea meno ingombrante, se disposto trasversalmente, del nuovo V8 della Urraco. A lungo si era ragionato di questo in Lamborghini e, alla fine, prevalse la consueta linea orientata a surclassare la concorrenza fin dal tavolo da disegno:

la Porsche monta un 2,2 litri a sei cilindri? E noi facciamo un otto cilindri due litri e mezzo

Insomma, una cubatura che comunque sembrava il giusto compromesso tra esclusività e contenimento dei costi. Un mantra, quest’ultimo, che ha seguito tutto lo sviluppo della Urraco: ecco così che le testate sono intercambiabili, le sospensioni anteriori e posteriori sono due Mc Pherson pressoché uguali e non esiste il piantone dello sterzo che tanti problemi arrecava in sede di crash test.

Presentata al Salone di Torino 1970 in versioni base ed S, con condizionatore d’aria, vetri elettrici e fendinebbia di serie, ebbe subito buon successo grazie, soprattutto, alla sua praticità ed al suo stile. Le prestazioni, invece, per una Lamborghini che sfoggiava il nome del toro che aveva ucciso il celeberrimo Manolete e dichiarava una potenza di 220 CV, non erano soddisfacenti: sia la Porsche 911S sia l’Alfa Romeo Montreal non le lasciavano scampo.

Nel 1974 arriva la P300

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Una realtà che non poteva essere consegnata alla storia e così, al Salone di Torino del 1974, dopo 520 esemplari venduti, la Urraco P250 fu sostituita dalla P300 con motore da tre litri bialbero e 265 CV, sufficienti a ristabilire quella gerarchia che ci si sarebbe aspettata fin dall’inizio.

Tra i tanti altri piccoli affinamenti, il comando della distribuzione ora a catena; dal canto loro, i vecchi motori da 2,5 litri monoalbero furono ridotti nell’alesaggio per rientrare nei limiti anti fisco dei due litri ma, nonostante 182 CV per 2.000 cc siano indice indubbio di generosità, la lentezza della risultante Urraco P200 ne limitò le vendite a sessantasei unità contro le duecentocinque della magnifica 3000, penalizzata soltanto dalla crisi energetica.

Dal 1976 al 1979, quando l’ultima Urraco lasciò le catene di montaggio, la 3000 2+2 venne affiancata da una due posti con tetto “Targa”, denominata Silhouette: bellissima, fu costruita in soli cinquantasei esemplari ma fornì le basi per la successiva Jalpa che, dal 1981 al 1988, continuò la tradizione di queste affascinanti Lamborghini “minori”.

SCHEDA TECNICA

LAMBORGHINI URRACO P250

Motore Otto cilindri a V di 90° Posteriore centrale trasversale Alesaggio 86 mm Corsa 53 mm Cilindrata 2.462 cc Rapporto di compressione 10,5:1 Potenza 220 CV a 7.800 giri Coppia 23 kgm a 5.750 giri Distribuzione monoalbero in testa (cinghia) Lubrificazione forzata, carter umido Capacità carter olio 6 litri Raffreddamento ad acqua Capacità circuito 12 litri Alimentazione 4 carburatori doppio corpo Weber 40 10F1 Impianto elettrico 12V Alternatore 770 W Batteria 72 Ah

Trasmissione Trazione posteriore Frizione monodisco a secco Cambio manuale a 5 marce Rapporti: I 2,687 II 2,105 III 1,565 IV 1,185 V 0,903 RM 2,54 Rapporto al ponte 4,25 Cerchi in lega leggera 7Jx14” Pneumatici 205 VR14

Corpo vettura Coupé 2+2 posti Carrozzeria portante Sospensioni a ruote indipendenti, schema Mc Pherson, bracci inferiori trasversali, puntoni longitudinali, molle elicoidali, barra antirollio Freni idraulici a disco sulle quattro ruote, servofreno Sterzo a cremagliera Capacità serbatoio carburante 70 litri

Dimensioni (in mm) e peso

Passo 2.450 Carreggiate ant e post 1.460 Lunghezza 4.250 Larghezza 1.760 Altezza 1.150 Peso a vuoto 1.150 kg

Prestazioni Velocità massima 231 km/h Consumo medio carburante 16,9 litri/100 km Accelerazione 0-100 km/h 8,5 sec Accelerazione 0-1.000 m 30,1 sec

Paolo Stanzani: “Volevamo costruire un’auto in più al giorno”

Riproponiamo parte di un’intervista che facemmo all’ingegner Paolo Stanzani (in una foto di qualche anno fa). Mancato nel 2017, fu proprio lui a sviluppare la “piccola” Lamborghini.

Ingegnere, quale fu il motivo per cui la Lamborghini mise in listino la Urraco?

All’epoca producevamo tre auto al giorno: una Miura, una Jarama e un’Espada. Con la Urraco l’obiettivo era di produrne una quarta, così da incrementare la produzione a circa 1.000 auto l’anno. Il nuovo modello non avrebbe però dovuto rubare il mercato alle altre: così fu inserito in un segmento inferiore; doveva essere un’auto da usare tutti i giorni e meno appariscente della Miura.

Come riuscì a conciliare la riduzione dei costi con l’eccellenza nelle soluzioni tecniche indispensabile per un’auto che si chiama Lamborghini?

Progettando interamente la vettura da zero, motore compreso. E lavorando in stretta collaborazione con Marcello Gandini. Con il designer di Bertone mi sono sempre trovato bene: il dialogo tecnico era facile e spontaneo.

Il motore della Urraco è un 8 cilindri a V. Non sarebbe stato più semplice ricavare un V6 dal V12 esistente?

Il problema non era diminuire il numero dei cilindri, ma avere un motore più economico da produrre. Un V6, derivato dal V12 che già avevamo, sarebbe stato un bialbero ugualmente complicato. E inoltre al cliente sarebbe sembrato un motore “dimezzato”. Il V8 della Urraco è monoalbero con una cinghia dentata una catena: una soluzione innovativa, che permetteva una grande semplificazione nelle fusioni: le teste, per esempio, sono intercambiabili. Le camere di scoppio ricavate nel pistone semplificano le lavorazioni della testa. Tutti gli organi accessori, come il distributore d’accensione, la pompa dell’acqua, il compressore per il condizionamento eccetera, erano riuniti in un unico supporto installato nel V delle bancate, e comandati da un solo alberino.

Tuttavia 220 CV sono tanti per un 2.500, oltretutto a due valvole per cilindro.

Una Lamborghini doveva essere una Lamborghini: su questo non si poteva transigere… Questo motore richiese, proprio per le novità che introduceva, un forte impegno nella fase sperimentale per arrivare ai livelli di prestazioni e affidabilità che ci eravamo prefissati.

In una sportiva il comportamento stradale è fondamentale. Eppure la Urraco monta uno schema di sospensione McPherson, economico e facile da montare, ma che non è il massimo in fatto di precisione.

In effetti il McPherson impone dei limiti nella libertà della progettazione ottimale della geometria della ruota e nella sua dinamica (scuotimenti, sterzata). Necessita quindi non solo di un’accurata progettazione della sua geometria, ma anche di una valutazione di tutte le parti elastiche che fanno parte delle masse non sospese, non ultimi i pneumatici. Eventuali deformazioni di questi ultimi, con valori non compatibili, portano, infatti, a un cattivo funzionamento delle sospensioni stesse (con instabilità, consumo eccessivo dei pneumatici, eccetera). Noi risolvemmo il problema montando il gruppo motore-cambio su un telaietto ausiliario che supportava anche le sospensioni posteriori. Queste erano ancorate al telaietto tramite elementi relativamente poco deformabili per assicurare il mantenimento della geometria scelta. Il telaietto, a sua volta, è ancorato alla scocca in modo elastico, così da smorzare le vibrazioni e migliorare il comfort. La sospensione, così vincolata, lavora perfettamente.

Come si arrivò alla soluzione dello sterzo senza piantone?

Il sistema di sterzo era stato progettato pensando prima di tutto alla sicurezza. La scatola sterzo, a cremagliera, è fissata sul parafiamma anteriore: quindi in posizione molto arretrata. In questo modo, in caso d’urto, si evitano i danni provocati al conducente dalla penetrazione del piantone dentro l’abitacolo. Per ulteriore sicurezza, tra il volante e la scatola sterzo c’è un soffietto di lamiera, che assorbe l’urto deformandosi in modo progressivo e controllato. Facemmo anche il volante a calice per evitarne la deformazione causata dalla spinta in avanti delle mani nell’eventuale urto.

I crash-test erano anche allora obbligatori. Ci furono problemi?

Assolutamente no. Avevamo una sola vettura a disposizione da sottoporre al test e dovevamo superarlo: non potevamo permetterci di distruggere molte automobili, bisognava pensarci bene prima, facendo tutti i dovuti calcoli e andando alla prova sicuri del fatto nostro. Ma tutto andò per il meglio

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