Oggi la domanda che sorge spontanea, osservando la Beta Montecarlo, è come mai la Lancia abbia deciso di limitare la potenza del due litri a 120 CV. La risposta va cercata nelle nuove regole sulle emissioni che nel frattempo erano entrate in vigore anche in Italia, ma soprattutto nelle incertezze di quegli anni a metà dei Settanta, quando i rincari dei carburanti ponevano fondati dubbi sulla sopravvivenza stessa delle auto più veloci. Si preferì così aumentare la cilindrata senza innalzare il picco di potenza massima, per privilegiare l’erogazione di coppia motrice a vantaggio dell’economia nei consumi e della facilità di guida. L’allungamento del rapporto finale consentiva inoltre di sviluppare una superiore velocità massima nei confronti della Beta coupé. Quando poi si voleva “esagerare”, la potenza di 120 CV, complice il peso ridotto della Beta Montecarlo (tra 970 e 1040 kg secondo le versioni), era sufficiente a garantire emozioni da sportiva autentica.
Nel corso degli anni l’evoluzione di questo modello causò la perdita del nome Beta. A partire dal 1979, la seconda serie fu chiamata semplicemente Montecarlo, con l’ovvio aggiornamento della scritta identificativa che fu stampata su un unico inserto in alluminio anziché essere sdoppiata come in precedenza.
Dietro il cambiamento del nome si celavano altre modifiche, come l’adozione delle ruote in lega da 14 pollici per ospitare dischi-freno di maggiore diametro. Da un ulteriore affinamento del motore, ferma restando la potenza massima, fu possibile ricavare un incremento di coppia motrice per esaltare ancor più la grande disponibilità del quattro cilindri a tutti i regimi.
Sul piano estetico gli spessi montanti posteriori, che avevano posto qualche problema di visibilità in manovra, furono svuotati per poterci vedere attraverso e, per non perdere le caratteristiche aerodinamiche, chiusi con vetro che poteva essere, a richiesta, di tipo atermico. Il frontale evidenziava la nuova calandra con un motivo comune agli altri modelli Lancia. Nel frattempo, dal 1976, il Codice della Strada aveva reso obbligatori gli indicatori di direzione anteriori di color arancione, che alla presentazione del modello l’anno prima erano invece bianchi. Comparve il marchio Lancia anche sul cofano posteriore. Si potevano notare, inoltre, altre piccole differenze: erano in genere semplici migliorie a piccoli problemi che si erano manifestati. Un esempio è costituito dalle griglie di ventilazione praticate sul cofano posteriore, che furono parzialmente chiuse per evitare indesiderati ingressi d’acqua piovana che andavano a depositarsi sulla testata del motore. All’interno c’era un nuovo volante a tre razze, dietro al quale si intravedeva la nuova grafica della strumentazione con numerazione più fitta: ad intervalli ogni 20 km/h anziché 30. Il fondo scala restava invariato a 260 orari.
Figlia di un’industria automobilistica che viveva un periodo di profonda crisi, la Beta Montecarlo seppe ugualmente farsi valere. Fece appena in tempo a vedere la ripresa economica degli anni ’80, quando però, oramai da sette anni in listino, il fascino della novità se n’era purtroppo andato.