19 April 2023

Lancia Beta Montecarlo: centro sportivo

Linea e proporzioni da sportiva di razza, tecnica di grande serie. La coupé che doveva nascere Fiat completò la gamma Lancia degli anni ’70. E’ stata la prima automobile costruita negli stabilimenti Pininfarina, che realizzò un disegno all’avanguardia

Il prototipo Fiat denominato X1/8

Montecarlo: agli appassionati dell’automobile questo nome evoca soprattutto il ricordo di epici duelli tra gli assi del volante. Ma è anche il nome che la Lancia scelse per la nuova sportiva della serie Beta, proprio per sottolineare i successi ottenuti dalle sue vetture lungo le strette ed irte strade del rally più famoso del mondo.

E pensare che a far nascere quest’affascinante vettura con lo scudetto della Lancia non furono sofisticate analisi di mercato, ma l’azione combinata delle mani e dei piedi di Gianni Agnelli, Sergio Pininfarina e dell’allora direttore del Centro Stile Pininfarina, Renzo Carli. Costoro, in un sabato d’inizio 1975, presero una calandra Lancia e con l’intuizione del momento la adattarono, sovrapponendola, a quella della nuova Fiat X1/20. Il risultato piacque e fu così che il copué di Torino, ormai definitivo e pronto per la produzione, cambiò il marchio del Lingotto con quello di Chivasso. Con ciò non soltanto si evitava una sia pur relativa sovrapposizione con la Fiat X1/9 di Bertone (diversa cilindrata ma uguale schema meccanico), ma si completava la gamma Lancia nella classe due litri, con un modello di decisa sportività che affiancava la Beta coupé 1800. La vicenda di questa Fiat, che divenne Lancia all’ultimo momento, era iniziata nel 1969 sotto la sigla X1/8, quando la Pininfarina avviò lo studio di un’auto sportiva con la meccanica tutto avanti della Fiat 128. Battezzata con il nome provvisorio “Sport-giovane”, doveva essere un’auto divertente da guidare, innovativa nel design e poco costosa, adatta anche alla clientela giovanile e in generale a chi amava la sportività con pochi compromessi.

Coupé e spider

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La vista laterale rivela un dettaglio interessante: la scritta Pininfarina alla base del montante anteriore, mentre il logo trova posto nella fascia nera che percorre la fiancata

Mentre già circolavano i primi bozzetti di un coupé con il motore anteriore, un improvviso cambiamento di rotta, dettato forse dal dubbio che una sportiva di media gamma a trazione anteriore potesse essere accolta male dai clienti, spostò gli studi verso una vettura con il motore sì trasversale, ma centrale-posteriore anziché davanti: il progetto X1/20. La circostanza fece piacere ai designer della Pininfarina, che si trovarono con ciò maggiormente liberi di esprimere la propria creatività.

Le linee essenziali della nuova auto furono definite nel luglio 1970 e, attraverso successivi affinamenti, arrivarono alla soluzione definitiva dopo una serie di prove nella modernissima galleria del vento di Pininfarina che fu inaugurata proprio da questo modello. Che può vantare anche di essere il primo progettato e assemblato interamente nello stabilimento del carrozziere torinese.

Quando le linee generali erano ormai definitive, fu varato lo studio della versione spider, con un’interessante novità, in linea con la tradizione innovativa Lancia. Il tetto in tela si apre mediante un sistema brevettato dalla Pininfarina: la capote è avvolta e riposta in un’apposita sede ricavata nella struttura del roll-bar, presente peraltro anche sul coupé. Altra innovazione importante, pur se meno visibile, fu il parabrezza incollato a filo della carrozzeria senza moulure di contorno, la cui funzione fu sostituita da una fascia opaca interposta fra i due strati del vetro accoppiato. Con tale soluzione, poi adottata da tutti i costruttori, si ottennero contemporaneamente una semplificazione costruttiva e un miglioramento estetico.

Presentata nelle versioni coupé e spider al Salone di Ginevra del 1975, la Beta Montecarlo si propose come la sportiva al vertice della Casa di Chivasso. Motore centrale, trazione posteriore e due posti secchi erano la ricetta giusta per uscire dalla tenaglia anche psicologica della prima crisi energetica, per ritrovare quel gusto di guidare che sembrava appannato dopo la fatidica data dell’ottobre 1973.

Motore a corsa lunga

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Il motore deriva da quello della Beta 1800, ma il nuovo albero motore che aumenta la corsa dei pistoni da 79,2 a 90 mm fa crescere la cilindrata fino a 1.995 cc

Il motore derivava da quello della Beta 1.8: un nuovo albero motore aumentò la corsa da 79,2 a 90 mm per arrivare, inalterato l’alesaggio a 84 mm, alla soglia dei due litri. Per l’esattezza 1.995 cc: la potenza di 118 CV (120 per la seconda serie) non era eccezionale, ma faceva parte del gioco. La nuova macchina infatti doveva dare buone prestazioni senza intimorire né per la difficoltà di guida né per l’affidabilità. E la coppia massima a un regime contenuto (16,8 kgm a 3.500 giri) permetteva una guida piacevole e disimpegnata, cosa che si sposava soprattutto con la spider.

Aveva tutto per piacere: infatti piacque anche alla giuria d’esperti che le conferì lo Style Awards 1976, come premio per la linea giudicata la più bella tra le automobili di produzione in quell’anno.

Ma aveva tutto anche per correre, poiché la collocazione delle parti meccaniche permise di ricavare una vettura molto bassa e filante, riducendo la sezione frontale (marcata dalla bella fascia scura di materiale plastico che contorna il musetto) a tutto vantaggio della penetrazione aerodinamica. Efficace, a questo proposito, è anche la linea del paraurti integrale in resina che ospita le prese di ventilazione dinamica e fa da sede ai gruppi ottici secondari. Le esperienze condotte nella galleria del vento suggerirono ai tecnici la forma migliore da dare ai prolungamenti dei montanti posteriori (necessari per non far sembrare la vettura un pick-up), che resero la vettura più stabile riducendo la sensibilità al vento laterale. Con tutto questo, verrebbe logico pensare che la capacità di carico fosse stata sacrificata all’altare della sportività pura. Ma non è così. Alzando il cofano anteriore si scopre invece un vano bagagli profondo e completamente rivestito, con capacità di 300 cc che più o meno è quella del baule di un’utilitaria da famiglia: un fatto reso possibile dall’aver traslocato la ruota di scorta nel vano motore.

L’interno è in linea con i motivi stilistici (all’avanguardia per il periodo) dell’esterno. Accanto ad una strumentazione incassata dentro ad una cornice rettangolare, ma completa e facilmente leggibile, spicca la plancia completamente rivestita ed arricchita con imbottiture protettive che sono applicate anche alle portiere e al mobiletto che fa da console centrale. Ottima, per il tipo di automobile, è l’abitabilità, favorita dalla notevole larghezza del corpo vettura che è di qualche centimetro superiore alla stessa Beta coupé.

Facile e leggera

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Oggi la domanda che sorge spontanea, osservando la Beta Montecarlo, è come mai la Lancia abbia deciso di limitare la potenza del due litri a 120 CV. La risposta va cercata nelle nuove regole sulle emissioni che nel frattempo erano entrate in vigore anche in Italia, ma soprattutto nelle incertezze di quegli anni a metà dei Settanta, quando i rincari dei carburanti ponevano fondati dubbi sulla sopravvivenza stessa delle auto più veloci. Si preferì così aumentare la cilindrata senza innalzare il picco di potenza massima, per privilegiare l’erogazione di coppia motrice a vantaggio dell’economia nei consumi e della facilità di guida. L’allungamento del rapporto finale consentiva inoltre di sviluppare una superiore velocità massima nei confronti della Beta coupé. Quando poi si voleva “esagerare”, la potenza di 120 CV, complice il peso ridotto della Beta Montecarlo (tra 970 e 1040 kg secondo le versioni), era sufficiente a garantire emozioni da sportiva autentica.

Nel corso degli anni l’evoluzione di questo modello causò la perdita del nome Beta. A partire dal 1979, la seconda serie fu chiamata semplicemente Montecarlo, con l’ovvio aggiornamento della scritta identificativa che fu stampata su un unico inserto in alluminio anziché essere sdoppiata come in precedenza.

Dietro il cambiamento del nome si celavano altre modifiche, come l’adozione delle ruote in lega da 14 pollici per ospitare dischi-freno di maggiore diametro. Da un ulteriore affinamento del motore, ferma restando la potenza massima, fu possibile ricavare un incremento di coppia motrice per esaltare ancor più la grande disponibilità del quattro cilindri a tutti i regimi.

Sul piano estetico gli spessi montanti posteriori, che avevano posto qualche problema di visibilità in manovra, furono svuotati per poterci vedere attraverso e, per non perdere le caratteristiche aerodinamiche, chiusi con vetro che poteva essere, a richiesta, di tipo atermico. Il frontale evidenziava la nuova calandra con un motivo comune agli altri modelli Lancia. Nel frattempo, dal 1976, il Codice della Strada aveva reso obbligatori gli indicatori di direzione anteriori di color arancione, che alla presentazione del modello l’anno prima erano invece bianchi. Comparve il marchio Lancia anche sul cofano posteriore. Si potevano notare, inoltre, altre piccole differenze: erano in genere semplici migliorie a piccoli problemi che si erano manifestati. Un esempio è costituito dalle griglie di ventilazione praticate sul cofano posteriore, che furono parzialmente chiuse per evitare indesiderati ingressi d’acqua piovana che andavano a depositarsi sulla testata del motore. All’interno c’era un nuovo volante a tre razze, dietro al quale si intravedeva la nuova grafica della strumentazione con numerazione più fitta: ad intervalli ogni 20 km/h anziché 30. Il fondo scala restava invariato a 260 orari.

Figlia di un’industria automobilistica che viveva un periodo di profonda crisi, la Beta Montecarlo seppe ugualmente farsi valere. Fece appena in tempo a vedere la ripresa economica degli anni ’80, quando però, oramai da sette anni in listino, il fascino della novità se n’era purtroppo andato.

SCHEDA TECNICA Lancia Beta Montecarlo (1975 - 1979)

Motore Numero cilindri e disposizione 4 in linea trasversale centrale, basamento in ghisa, testa in lega leggera, sedi valvole riportate, albero motore su 5 supporti di banco Alesaggio (mm): 84

Corsa (mm) 90 Cilindrata totale (cc) 1.995 Rapporto di compressione 8,9:1 Potenza massima (CV/giri) 120/6.000 Coppia massima (kgm/giri) 16,8/3500 Distribuzione due alberi a camme in testa comandati da cinghia dentata Alimentazione un carburatore invertito a doppio corpo Weber 34 DMTR 24 oppure Solex C34 CIC-1, dispositivo di ricircolo dei gas di sfiato, dispositivo di ricircolo del carburante dal carburatore Pompa carburante elettrica Accensione a bobina e spinterogeno Lubrificazione forzata mediante pompa ad ingranaggi, filtro olio sul circuito principale Capacità carter olio 5 litri Raffreddamento ad acqua forzata mediante pompa centrifuga, radiatore, elettroventilatore ad innesto termostatico, serbatoio di espansione, capacità circuito 14 litri Impianto elettrico 12 Volt Alternatore 460W Batteria (A/h) 45 Candele Marelli CW 78 LP oppure Champion N 7 Y Trasmissione Trazione posteriore Frizione monodisco a secco a comando idraulico Cambio a 5 velocità sincronizzate + RM Rapporti dal cambio I 3,75:1; II 2,235:1; III 1,522:1; IV 1,152:1; V 0,925; RM 3,071:1 Differenziale e rapporto al ponte coppia cilindrica elicoidale 3,714:1 - 14/52 (3,930:1 – 14/55) Ruote 5”1/2 J x 13” in acciaio a richiesta in lega leggera Pneumatici 185/70 HR 13” Corpo vettura

Telaio a scocca portante Carrozzeria coupé o spider a due posti Sospensioni anteriori a ruote indipendenti con schema Mc Pherson, barra stabilizzatrice Sospensioni posteriori a ruote indipendenti con Mc Pherson, barra stabilizzatrice Freni a disco da 227 mm sulle 4 ruote, servoassistiti all’avantreno, doppio circuito frenante, freno a mano meccanico sulle ruote posteriori Sterzo a cremagliera, piantone snodato con due giunti cardanici Dimensioni (in mm) e peso Passo 2.300 Carreggiata anteriore 1.412 Carreggiata posteriore 1.456 Lunghezza 3.813 Larghezza 1.696 Altezza 1.190 Diametro di sterzata 10 Capacità serbatoio carburante 59 litri

Peso a vuoto 980 kg (1.040 in ordine di marcia) Prestazioni dichiarate Velocità massima km/h oltre 190 Accelerazione 0-400 m 16,3 secondi Accelerazione 0-1000 m 30,5 secondi

Lancia Montecarlo (1979 - 1982) Stesse caratteristiche della Beta Montecarlo, tranne

Motore Rapporto di compressione 9,35:1 Coppia massima (kgm/giri) 17,4/3.400 Alimentazione un carburatore a doppio corpo Weber 34 DATR 4/250 oppure Weber 34 DATR 4/150 per i modelli equipaggiati con condizionatore Pompa carburante meccanica Accensione elettronica senza contatti, distributore Marelli SM 801 BX (802 R2- 802 P2), gruppo rocchetto modulo elettronico Marelli AEI 200°, bobina Marelli BAE 207° Candele oppure Bosch W6D Lubrificazione capacità circuito 6,2 litri Trasmissione Ruote 5”1/2 J x 14” H2 Pneumatici 185/65 x 14” tubeless

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