Talbot Sunbeam Lotus: maneggiare con cura

A cosa vi fa pensare una utilitaria a trazione posteriore con motore Lotus? Esatto: una piccola bomba che scoda da tutte le parti ma, gestita da mani sapienti, vincente. Proprio come la Sunbeam Lotus, auto da appassionati puri, che nelle mani di Frequelin e Toivonen regalò al gruppo Peugeot il mondiale Rally prima della 205

La Talbot Sunbeam Lotus è il prodotto degli sforzi compiuti dalla Chrysler Europe per essere competitiva nelle gare su strada e più specificamente per arrivare a battere la castigamatti Ford Escort RS. E' proprio questa la missione che i vertici della Casa americana assegnano a Chris O’Dell, direttore del reparto sportivo europeo. Proveniente dal Gruppo Rootes, rilevato dalla Chrysler nel 1967, O’Dell da tempo cercava un’alternativa più agile alla Hillman Avenger, che invano stava tentando di rendere competitiva.

Nel 1977, al debutto della piccola due volumi Chrysler Sunbeam, dotata del telaio della Avenger con passo accorciato di 80 mm, e più leggera di circa 80 kg, intuisce che quella può essere la base giusta per i suoi intenti.

Una breve parentesi ci sembra utile per spiegare che il Marchio Sunbeam, che per molti anni aveva caratterizzato una serie di brillanti vetture come, per esempio, la berlina Rapier e la spider Alpine, dopo l'acquisto del Gruppo Rootes da parte della Chrysler sparisce gradatamente come Marchio a se stante per concludere la sua vita come semplice denominazione di modello, per di più strettamente utilitario.

Da 928 a 2.172 cc: la potenza è quattro volte tanto

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Le vistose fasce adesive color argento e i cechi specifici sono gli unici elementi che identificano la Sunbeam in versione Lotus

Malinconie a parte, la Chrysler Sunbeam è graziosa, esteticamente equilibrata e vanta alcune soluzioni originali come il portellone interamente in cristallo, un po' piccolo ma sicuramente piacevole a vedersi. Nella meccanica è invece fin troppo tradizionale: la trazione posteriore, soprattutto, è una soluzione già ampiamente obsoleta in questa categoria, comportando maggiori costi e minore spazio a bordo. Ai tempi del debutto di questa vetturetta, che monta il motore da 928 cc derivato da quello della Hillman Imp, nessuno immagina che dentro di lei possa covare l'embrione di una campionessa dei Rally anche se, per la verità, già le prime foto sulla stampa specializzata la vedono a volte intraversata (sul bagnato) pur con soli 42 CV a disposizione. E’ il modo della piccola Sunbeam per avvertire, in una sorta di messaggio subliminale, gli appassionati della guida che con lei ci si può divertire davvero.

Ma torniamo agli occhi luccicanti di O’Dell nel 1977 che, ormai sicuro di avere imboccato la strada giusta, si guarda attorno per trovare il propulsore adeguato ai suoi scopi; ed ecco entrare in gioco la casualità, in questo caso molto benevola, che gli pone accanto come assistente Wynne Mitchell, amico fraterno del direttore generale della Lotus Mike Kimberley.

La Lotus dispone già del bellissimo motore due litri tipo 912, tutto in lega leggera e con distribuzione bialbero in testa con quattro valvole per cilindro, che equipaggia tutti i suoi modelli più prestanti (Elite, Esprit ed Eclat) oltre alla spider Jensen Healey, appena uscita di produzione; lo spazio lasciato libero da quest' ultima nella capacità produttiva della Lotus appare ideale per essere occupato dalla fornitura di motori alla Chrysler Europe. O' Dell però è incontentabile e, per avere più coppia motrice a parità di potenza (155 CV), esige un aumento della cilindrata di circa il dieci per cento: a questo la Lotus provvede adottando l'albero motore della Vauxhall Victor per allungare la corsa di 6,9 mm per un totale di 2.172 cc contro gli originari 1.972 cc. Un intervento non proprio economico e contrario alla filosofia del progetto, in quanto comporta la sostituzione del monoblocco mentre l'ottima testata, saggiamente, rimane.

Il risultato è un muscoloso propulsore da 70 CV/litro (così modificato prende il nome di 911) che però, per merito dell'inclinazione di 45° sulla sinistra, e nonostante la presenza di due massicci carburatori doppio corpo da 45 mm, riesce a trovare posto abbastanza agevolmente nel cofano della piccola Chrysler.

Rinasce il marchio Talbot

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Il volante a tre razze, in questo caso privo della copertura centrale in gomma, differenzia la Lotus dalla Sunbeam di serie

Detto fatto, nel 1978 O' Dell decide di abbandonare al suo destino la pesante Hillman Avenger e di iscrivere alle gare solamente la nuova nata (ancora denominata Chrysler); il programma stagionale prevede però soltanto la partecipazione ad eventi minori per sondare la potenzialità del mezzo e convincere i capi a scommettere su di esso accordando il sospirato via libera all'allestimento dei quattrocento esemplari necessari all'omologazione.

Le cose procedono piuttosto bene, come vedremo, quando quella che appare come una possibile tegola cade sulla testa del reparto sportivo: il Gruppo PSA (cui fanno capo Peugeot e Citroën) rileva, con una complessa operazione finanziaria, tutte le attività e gli impianti del ramo europeo della Chrysler. Il timore per uno stop del programma Sunbeam – Lotus gela, per un momento, il sangue di O' Dell e dei suoi, ma ben presto arrivano ampie rassicurazioni e, con esse, un nuovo nome: Talbot. Un antico quanto nobile marchio tirato fuori dal baule dei ricordi per unificare sotto di esso le varie firme (Chrysler Europe, Simca, Matra e Hilmann le principali) recentemente acquisite.

Rimane un piccolo mistero il motivo per il quale si sia “sacrificato” il Marchio delle prestigiose e spesso imponenti creazioni di Anthony Lago per apporlo sul cofano di Horizon, Solara et similia, creando non poco sconcerto tra i più puri appassionati di auto. In ogni caso è con il nome di Talbot Sunbeam Lotus che la nostra protagonista debutta, in versione stradale, al Salone di Ginevra del marzo 1979, anche se fino alla fine del 1980 conserverà sulla calandra il pentagono della Chrysler, come si può notare anche sulle auto delle nostre foto.

Questo modello, con le sue caratteristiche tecniche e prestazionali, si dimostra subito uno dei prodotti del gruppo più degni del nobile nome, anche se le finiture non si discostano granché da quelle delle versioni più popolari: la distinguono dalla “sorellina” da 900 cc soltanto due enormi e comodi sedili avvolgenti dotati di appoggiatesta, il volante a tre razze imbottito ed una strumentazione arricchita da contagiri, amperometro e manometro dell'olio.

All'esterno le modifiche non sono maggiori: cerchi in lega con pneumatici da 185 mm ed alti fascioni autoadesivi alle fiancate di colore argento; per quanto riguarda la carrozzeria, infine, la Talbot Lotus, come la Ford T, poteva essere ordinata di qualsiasi colore purché fosse nero (Embassy Black).

La vita di questo appassionante ibrido nasce nello stabilimento Chrysler tra le brume scozzesi di Linwood per spostarsi poi in quello della Lotus ad Hethel, dove riceve il motore della Casa e il cambio ZF, prima di essere spedita a Coventry, in un'apposita officina, per gli ultimi controlli prima della spedizione ai Concessionari.

Costoro sono ansiosi di avere finalmente in vendita una vettura di categoria superiore e si convincono, assieme con la Casa madre, di poterne vendere oltre 4.000 esemplari nonostante un prezzo che la colloca nella categoria della BMW 323i; in realtà ne verranno consegnate solamente 2.300 circa tra il 1979 ed il 1983 (le ultime con grande fatica), una quantità comunque non disprezzabile per un'auto di nicchia e per di più estremamente contraddittoria.

Guida molto impegnativa

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La Talbot Lotus è molto impegnativa per le reazioni brusche del suo assetto, a maggior ragione sul bagnato...

Come definire altrimenti un’utilitaria, tra le più modeste del periodo, equipaggiata con un motore da 155 CV di potenza e più di 20 kgm di coppia da trasferire ad un retrotreno a ponte rigido dotato di freni a tamburo (consapevoli di questo, i tecnici cercarono di compensarla montando due servofreni). E’ vero, come premesso all'inizio, che proprio queste scelte ne hanno reso estremamente stimolante la guida ma gli automobilisti che hanno saputo sfruttarne le mirabolanti prestazioni (0 – 100 km/h in 6,9 sec, tanto per dirne una) sono stati pochissimi mentre, nella maggior parte dei casi, il comportamento bizzarro ed imprevedibile del telaio ha piuttosto spaventato i clienti meno smaliziati molto più a proprio agio, per esempio, su una VW Golf GTI con la rassicurante trazione anteriore.

L'immagine e il grado di finitura, poi, non furono mai in grado di accontentare chi poteva spendere cifre di quel tipo (11.900.000 lire nel 1980) e quindi questa simpatica tigre è rimasta sempre un prodotto per iniziati che il Gruppo Peugeot, tra l'altro, aggiorna soltanto marginalmente, nell'arco della sua breve vita, presentando una seconda serie, alla fine del 1980, con calandra modificata dove campeggia finalmente il logo Talbot, fari più grandi e tappezzeria “Piccadilly” in tessuto nero e grigio.

Dopo circa un anno la produzione cessa, non prima però della presentazione del model year 1982 (non più importato in Italia) proposto in colore azzurro (Moonstone Blue) con fascioni argento o neri; ancora nel 1983 restano circa 200 vetture da vendere, cinquantotto delle quali danno vita alla serie speciale Avon, allestita dalla britannica Avon Coachworks, caratterizzate dai loghi della Lotus nell'originale giallo/verde e da nuovi schemi di colore.

E’ il canto del cigno di una vettura che, con poche attenzioni in più, avrebbe ottenuto il successo che meritava (cioè ben maggiore). Tanti che l'hanno posseduta se ne sono disfatti dopo pochi anni magari perché infastiditi dagli scricchiolii delle povere plastiche dei rivestimenti oppure dal consumo portato dai maxi carburatori che forse col tempo erano anche diventati più recalcitranti alle regolazioni; piccolezze che oggi impediscono loro di possedere un'auto unica nel suo genere, con il motore e il carattere dei migliori purosangue.

Nel 1981 arrivano i successi

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Ormezzano al Costa Smeralda del 1981

Alla fine, Chris O’Dell ottenne quello che voleva: un’auto da corsa. La prima stagione, il 1978, fu sperimentale, se non altro perché si gareggiò sempre con lo stesso esemplare, e ciononostante con buoni risultati.

Per il 1979, Tony Pond, che l'anno precedente aveva corso con la Talbot nei ritagli di tempo sfiorando la vittoria al Rally francese Mille Piste, lascia definitivamente la British Leyland per correre ufficialmente con la Talbot. Nonostante tutti gli sforzi e le promettenti qualità dell'auto, i risultati però non arrivano: iscritta ufficialmente ai Rally più importanti, in dieci occasioni è costretta al ritiro per noie al motore o alle sospensioni posteriori, inadatte a gestire tanta potenza sotto pesante sforzo. Per risolvere questo problema la cura è drastica: si decide di adottare il robusto ponte posteriore Salsbury, simile a quello montato sulla Jaguar E.

Nel 1980 Henry Toivonen prende il posto in squadra di Pond e, per quanto l'affidabilità dell'auto non sia ancora del tutto soddisfacente, riesce a vincere il Mille Piste ed il Lombard-RAC interrompendo, per l'enorme soddisfazione dei vertici Peugeot, la serie di otto successi consecutivi della Ford in questa gara.

Il 1981 è l’anno glorioso, in cui la Talbot sfrutta al meglio la clausola del regolamento internazionale che permetteva di sommare al punteggio assoluto i punti di Gruppo. In squadra arriva a dar manforte Guy Frequelin (con Jean Todt navigatore), che si piazza subito secondo assoluto (primo di Gr. 2) al Rally di Montecarlo e vince il Codasur in Argentina, arrivando secondo nella classifica conduttori. Il finlandese Henri Toivonen, dal canto suo, collabora alla conquista della classifica iridata per Marche arrivando quinto al Montecarlo e secondo in Portogallo e a Sanremo, sempre affiancato da Fred Gallagher. L’affidabilità della macchina e l’ottima organizzazione della piccola squadra Talbot risultano vincenti in una stagione in cui ci sono 9 vincitori diversi su 10 gare.

Nel 1982 il regolamento tecnico cambia radicalmente. In seguito a ciò la Peugeot comunica al mondo che concentrerà i suoi sforzi per il Campionato Mondiale su una nuova versione della 205, sviluppata seguendo le indicazioni del nuovo gruppo B e dotata delle ormai irrinunciabili quattro ruote motrici. Quella che diventerà la Peugeot 205 T16 relega così la Sunbeam Lotus, una delle ultime protagoniste di questa specialità con caratteristiche “umane”, nei Campionati minori dove peraltro essa ad eccellere: il Campionato Italiano assoluto, per esempio, già conquistato nel 1981, rimane suo anche l’anno seguente, sempre con Federico Ormezzano al volante.

Le Talbot Sunbeam Lotus protagoniste di queste storiche imprese sportive sono elaborate da vari specialisti. Quella di Ormezzano, preparata dall'inglese Chris Sclater Automotive al pari delle altre che partecipano al Campionato Italiano, sviluppa circa 240 CV a 7.000 giri con una coppia massima di 25,6 kgm a 6.000 giri. Spicca proprio il dato di coppia, perseguito, come detto, fin dall'inizio del progetto: l’elasticità che ne deriva è un vero punto di forza per i piloti assieme al particolare comportamento in curva: la accurata preparazione dell'assetto elimina completamente l'iniziale sottosterzo dell'auto di serie che, accompagnato dal successivo improvviso sovrasterzo di potenza, rendeva la guida al limite particolarmente stressante anche per un professionista. Con la Gruppo 2 occorre fare i conti solo con il sovrasterzo e in questo campo esistono dei veri maghi che riescono letteralmente a “volare” pur procedendo quasi costantemente “di traverso”.

Scheda tecnica

Motore Lotus tipo 911 Numero cilindri 4 Disposizione in linea Alesaggio 95,2 mm Corsa 76,2 mm Cilindrata 2.172 cc Rapporto di compressione 9,44:1 Potenza massima 155 CV a 5.400 giri/min Coppia massima 20,3 kgm a 4.500 giri/min Indice di elasticità 1,18 Distribuzione a doppio albero a camme in testa Alimentazione a due carburatori doppio corpo Dell'Orto DHLA45E Lubrificazione forzata a carter umido Capacità carter olio 6,3 litri Raffreddamento ad acqua Impianto elettrico 12 Volt Alternatore 45A Batteria 40Ah. Trasmissione Trazione posteriore Frizione monodisco a secco Cambio ZF a cinque rapporti Rapporti del cambio I : 3,42:1; II : 1,94:1; III : 1,39:1; IV : 1:1; V : 0,795:1; RM : 3,67:1 Rapporto al ponte 3,89:1 Pneumatici 185/70 X 13 Cerchi in lega leggera 6J X 13 Corpo vettura Tipo telaio autoportante Tipo carrozzeria berlina tre porte Sospensioni anteriori indipendenti tipo Mc Pherson con barra antirollio Sospensioni posteriori a ponte rigido bracci longitudinali molle elicoidali e bracci di reazione Freni a disco anteriori con due servofreni a depressione Sterzo a cremagliera Capacità serbatoio carburante 41 litri Dimensioni e peso Passo 2.410 mm Carreggiata anteriore 1.320 mm Carreggiata posteriore 1.340 mm lunghezza 3.840 mm Larghezza 1.600 mm Altezza 1.400 mm Peso in ordine di marcia 960 kg Prestazioni Velocità massima 200 km/h Consumo carburante 13 litri/100 km Accelerazione 0-100 km/h 6,9 sec Accelerazione 0-1000 m 28,2 sec

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