Detto fatto, nel 1978 O' Dell decide di abbandonare al suo destino la pesante Hillman Avenger e di iscrivere alle gare solamente la nuova nata (ancora denominata Chrysler); il programma stagionale prevede però soltanto la partecipazione ad eventi minori per sondare la potenzialità del mezzo e convincere i capi a scommettere su di esso accordando il sospirato via libera all'allestimento dei quattrocento esemplari necessari all'omologazione.
Le cose procedono piuttosto bene, come vedremo, quando quella che appare come una possibile tegola cade sulla testa del reparto sportivo: il Gruppo PSA (cui fanno capo Peugeot e Citroën) rileva, con una complessa operazione finanziaria, tutte le attività e gli impianti del ramo europeo della Chrysler. Il timore per uno stop del programma Sunbeam – Lotus gela, per un momento, il sangue di O' Dell e dei suoi, ma ben presto arrivano ampie rassicurazioni e, con esse, un nuovo nome: Talbot. Un antico quanto nobile marchio tirato fuori dal baule dei ricordi per unificare sotto di esso le varie firme (Chrysler Europe, Simca, Matra e Hilmann le principali) recentemente acquisite.
Rimane un piccolo mistero il motivo per il quale si sia “sacrificato” il Marchio delle prestigiose e spesso imponenti creazioni di Anthony Lago per apporlo sul cofano di Horizon, Solara et similia, creando non poco sconcerto tra i più puri appassionati di auto. In ogni caso è con il nome di Talbot Sunbeam Lotus che la nostra protagonista debutta, in versione stradale, al Salone di Ginevra del marzo 1979, anche se fino alla fine del 1980 conserverà sulla calandra il pentagono della Chrysler, come si può notare anche sulle auto delle nostre foto.
Questo modello, con le sue caratteristiche tecniche e prestazionali, si dimostra subito uno dei prodotti del gruppo più degni del nobile nome, anche se le finiture non si discostano granché da quelle delle versioni più popolari: la distinguono dalla “sorellina” da 900 cc soltanto due enormi e comodi sedili avvolgenti dotati di appoggiatesta, il volante a tre razze imbottito ed una strumentazione arricchita da contagiri, amperometro e manometro dell'olio.
All'esterno le modifiche non sono maggiori: cerchi in lega con pneumatici da 185 mm ed alti fascioni autoadesivi alle fiancate di colore argento; per quanto riguarda la carrozzeria, infine, la Talbot Lotus, come la Ford T, poteva essere ordinata di qualsiasi colore purché fosse nero (Embassy Black).
La vita di questo appassionante ibrido nasce nello stabilimento Chrysler tra le brume scozzesi di Linwood per spostarsi poi in quello della Lotus ad Hethel, dove riceve il motore della Casa e il cambio ZF, prima di essere spedita a Coventry, in un'apposita officina, per gli ultimi controlli prima della spedizione ai Concessionari.
Costoro sono ansiosi di avere finalmente in vendita una vettura di categoria superiore e si convincono, assieme con la Casa madre, di poterne vendere oltre 4.000 esemplari nonostante un prezzo che la colloca nella categoria della BMW 323i; in realtà ne verranno consegnate solamente 2.300 circa tra il 1979 ed il 1983 (le ultime con grande fatica), una quantità comunque non disprezzabile per un'auto di nicchia e per di più estremamente contraddittoria.