Con il diffondersi della motorizzazione, negli anni Cinquanta del secolo scorso l’automobile diventa sempre più un mezzo idoneo a risolvere i problemi legati a necessità contingenti, come ad esempio gli spostamenti dall’abitazione al luogo di lavoro. Non sempre, però, chi si accosta alla guida è in grado di assimilare facilmente i meccanismi ad essa legati: il cambio marcia, per esempio, specialmente nelle utilitarie con cambio non sincronizzato, è l’operazione più ostica da imparare, ostacolo, tuttavia, che viene superato in fretta con la sincronizzazione dei rapporti. Ma anche così resta aperto un problema, cioè la corretta coordinazione di frizione, acceleratore e leva del cambio. In particolare, l'operazione più ostica da digerire è il rilascio della frizione in partenza, peggio ancora in salita.
Da queste constatazioni parte un progetto per semplificare i comandi, così le auto vengono dotate di un pratico accessorio ottenibile a richiesta: la frizione automatica. Che in Fiat ha una storia iniziata con il giunto idraulico della 1900 B e proseguita con il sistema Saxomat montato a richiesta nelle berline di alta e media gamma. Di qui l’estensione verso il basso di gamma con la popolare 850 che diventa 850 Idromatic (o Idroconvert). Sparisce così il pedale della frizione, ma rimane la leva del cambio, che va ugualmente manovrata, anche se meno frequentemente.
Ma una domanda sorge spontanea: perché limitarsi ad automatizzare la sola frizione e non montare invece un cambio automatico? Per una semplice ragione: l’insufficiente coppia motrice erogata dal piccolo quattro cilindri in linea di 843 cc derivato dalla Fiat 600. L’automatismo completo, infatti, richiede una serie di componenti supplementari che assorbono potenza, aggiungono peso e peggiorano il consumo di carburante. E tutto ciò avrebbe ricadute non accettabili per una 850, le cui prestazioni sono quelle di una normale utilitaria.